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 2012  luglio 21 Sabato calendario

L’aspetto rivelatore è che questa volta l’Europa ha preso fuoco quasi senza una scintilla. Semplicemente ormai è infiammabile con poco

L’aspetto rivelatore è che questa volta l’Europa ha preso fuoco quasi senza una scintilla. Semplicemente ormai è infiammabile con poco. La Spagna ha vissuto la sua peggiore giornata sui mercati finanziari negli ultimi anni, e l’Italia l’ha seguita, senza un solo evento preciso che possa aiutare i cittadini a capire perché. Non che i possibili inneschi siano mancati. Le città iberiche sono paralizzate dalle proteste per le misure d’austerità. L’amministrazione di Valencia ieri mattina ha fatto sapere che chiederà il soccorso del fondo di emergenza da 18 miliardi del governo, perché è piegata dai debiti; tutti sospettano che presto dovrà gettare la spugna anche la Catalogna, un’economia grande come il Portogallo, l’area più avanzata della penisola. Quindi da Bruxelles, ieri nel primo pomeriggio, l’Eurogruppo dei ministri finanziari ha varato il piano di salvataggio per le banche, con un comunicato che non fa niente per placare i peggiori fantasmi degli investitori. «Il governo spagnolo avrà piena responsabilità dell’assistenza finanziaria», si legge. In teoria all’ultimo vertice europeo sarebbe stato deciso che non è così: il piano non dovrebbe far crescere il debito del governo, ma tradursi in un aumento di capitale diretto nelle banche. Poiché tuttavia per arrivare a questo stadio serve del tempo, l’Eurogruppo ha rilevato che per adesso i suoi prestiti andranno direttamente ad aumentare il debito di Madrid; ma i mercati non hanno apprezzato che si ricordasse loro questa realtà, benché provvisoria. Infine alle scosse di ieri ha contribuito anche la Banca centrale europea, che per il momento smette di accettare titoli greci come garanzie in contropartita per le sue operazioni di credito. Ma nel complesso sono tutti dettagli, di fronte all’enormità del messaggio di ieri. Non è semplicemente che gli investitori hanno preferito entrare nel weekend e nelle vacanze senza il rischio del Sud Europa nel loro portafoglio, in un momento estivo di scambi debolissimi. Stavolta è più complesso. Il fatto che un incendio del genere possa divampare senza cause immediate rende sempre più difficile per i politici europei negare la realtà: la Spagna, una delle prime dieci economie del mondo e quarta di Eurolandia, ha perso accesso al mercato dei capitali. Non riesce più a finanziarsi da sola, come prima era già successo alla Grecia, al Portogallo e all’Irlanda. Il suo debito pubblico eredità della bolla immobiliare, quest’anno oltre l’80% del Pil, fa sì che il governo di Madrid debba trovare prestiti per circa il 40% del suo prodotto lordo fra quest’anno e il prossimo. Il problema è che non può più farlo: non a tassi d’interesse che siano economicamente sopportabili, perché il 7,27% sui titoli a dieci anni registrato ieri non lo è. La conseguenza di ieri è che il pacchetto fino a 100 miliardi varato in queste ore è solo l’inizio dell’aiuto di cui Madrid ha bisogno. Arginate le banche, probabilmente sarà inevitabile occuparsi dello Stato: le clausole contenute negli accordi di ieri all’Eurogruppo per il possibile acquisto di bond sono un passaggio di routine e presuppongono nuove decisioni all’unanimità dei governi di Eurolandia, senza automatismi. Ma questo non esclude che ci si debba arrivare e paradossalmente il punto non è più se la Spagna ce la fa da sola o no, perché non ce la fa. Il punto è l’Italia. Nei mercati e nelle grandi capitali, tutti stanno cercando di capire qual è il posto della terza economia dell’euro, l’ottava del mondo, in questo vortice che aspira verso il basso un Paese dopo l’altro. Ieri ancora una volta il costo del debito è salito, più lentamente eppure in contemporanea con quello di Madrid. Il Btp decennale è arrivato a rendere il 6,21%. Non che i dati sulla tenuta del debito pubblico italiano siano tutti negativi, al contrario: quest’anno il Tesoro sta emettendo bond a un interesse medio piuttosto basso del 3,34%, meno del 3,61% dell’anno scorso grazie alla tregua di quest’inverno; il costo medio dello stock di debito, ossia la cedola media che il Tesoro deve staccare ai suoi creditori, è anch’esso ragionevolmente contenuto al 3,64% e ciò fa sì che l’onere pubblico almeno per il momento non sia affatto insostenibile. La stessa vita media dei titoli emessi dall’Italia è lunga, a 6,71 anni, abbastanza per non dover finire necessariamente in affanno sui rimborsi. Ma niente di tutto questo garantisce che l’Italia eviti il destino della Spagna, risucchiata nei prossimi mesi nella condizione di dover chiedere aiuto. Per evitarlo il Paese deve assolutamente spezzare la linea del contagio che lo trascina in basso dopo Madrid, ma non sarà semplice senza un enorme sforzo nazionale. Un aiuto da fuori, almeno per ora, probabilmente non verrà: da mesi la Banca centrale europea ha interrotto gli acquisti di titoli di Stato condotti durante la presidenza di Jean-Claude Trichet. E nel suo ultimo rapporto sull’area euro, il Fondo monetario sottolinea che per bloccare l’effetto contagio da un Paese in crisi all’altro sarebbe necessaria un’unione di bilancio e l’eurobond. Tutte decisioni ancora lontane. Nel frattempo, in questi due anni il governo deve rifinanziare titoli pari alla metà del Pil italiano e solo entro dicembre vendere bond e obbligazioni a breve per 218 miliardi. Non è un calendario impossibile. È solo reso più complicato da questa tempesta che fa salire i tassi, mette in fuga gli investitori esteri e la settimana scorsa ha spinto il Tesoro a cancellare le aste di Btp più delicate previste in agosto. Così l’Italia avanza alla giornata, sapendo che per smarcarsi dall’ombra spagnola potrà contare solo sulle sue forze. È l’unico modo di convincere i mercati, se possibile, che questo Paese è diverso. Federico Fubini