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 2012  luglio 20 Venerdì calendario

SCUSACI, EMILIO

Montanelli l’aveva detto 18 anni fa: “Dobbiamo prepararci a presentare le nostre scuse a Emilio Fede”. Il momento è arrivato. Il Tg3 parla di “protagonismo di alcuni magistrati” e “mancato coordinamento fra Procure”, nella migliore tradizione del Tg4 di Fede e del Tg1 di Minzolingua. La Stampa arriva a scrivere: “Essendoci un ricorso alla Consulta, non vi sarà l’udienza in cui si sarebbe dovuto decidere se distruggere le intercettazioni occasionali di Napolitano. E dunque non si correrà il rischio che, essendo presenti anche gli avvocati difensori, le intercettazioni di Napolitano possano diventare di pubblico dominio”. In qualunque paese del mondo, ove mai un presidente si attivasse per favorire un amico in un’indagine, la stampa si scatenerebbe per procurarsi le intercettazioni e informarne i cittadini: qui persino i giornalisti considerano il diritto-dovere di cronaca un “rischio” ed esultano perché le telefonate dello scandalo non si conosceranno mai. Intanto il Corriere avverte che Napolitano non può querelare per diffamazione Di Pietro e il Fatto, però “altri potrebbero avviare un’azione penale a tutela sua e dell’istituzione che incarna”. Non più per diffamazione, perseguibile solo a querela di parte, bensì per un reato procedibile d’ufficio: tipo il vilipendio. Ma sono maturi i tempi per il ripristino del delitto di lesa maestà. Intanto viene abolita la logica. Michele Ainis, sul Corriere, ripete che il conflitto di attribuzioni contro la Procura (caso unico nella storia d’Italia) è solo un’iniziativa tecnica per “colmare i buchi neri del diritto, gli equivoci sulle competenze”, i “vuoti normativi”. Cioè: Napolitano accusa i pm di Palermo di attentato al Capo dello Stato – eversione pura – e questa sarebbe solo una controversia giuridica? Ma scherziamo? Ma si abbia almeno il coraggio di essere conseguenti: se è vero che la Procura ha violato le prerogative del Presidente della Repubblica, non basta certo un conflitto di attribuzioni. Bisogna processare i pm per eversione contro lo Stato. Se, per dire, l’Unità è convinta che abbia ragione Napolitano ad accusare Ingroia & C. di eversione, con che faccia pubblica in prima pagina gli articoli di Ingroia l’eversore? Siccome Ainis si diverte a elencare i “paradossi” dell’interpretazione dei pm di Palermo, eccone un paio della sua, di interpretazione. 1) Se Napolitano vuole che la Consulta colmi i buchi e i vuoti normativi sulle intercettazioni indirette del Presidente, se ne deduce che oggi nessuna legge impone ai pm di distruggerle. Ma, se la norma non esiste, anzi è un buco e un vuoto, non c’è stata alcuna violazione. Anzi, ci sarebbe stata se i pm avessero fatto ciò che chiedono Napolitano, Ainis & C. Ergo, il conflitto di attribuzioni si basa su un buco e su un vuoto. 2) Come ha rivelato Repubblica, nell’aprile 2009 la Procura di Firenze intercettò Napolitano sul telefono di Bertolaso dopo il sisma de L’Aquila. Diversamente dai pm di Palermo, quelli di Firenze e poi di Perugia (dove il processo passò per competenza) han depositato le intercettazioni indirette del Presidente agli atti del dibattimento, a disposizione di tutti gli avvocati, svincolandole dal segreto. Perché Napolitano, informato da tre anni, non ha sollevato conflitto di attribuzioni contro i magistrati di Firenze e Perugia? E perché non lo fa ora che la notizia è di dominio pubblico? Se, come dice, difende il principio – le prerogative della Presidenza e non gli interessi del presidente – dovrebbe fare con Firenze e Perugia quel che ha fatto con Palermo. Se non lo fa, autorizza a pensare che non difende affatto il principio e le prerogative, ma se stesso dalla pubblicazione del contenuto delle sue telefonate con Mancino. Forse perché sono compromettenti, mentre quelle con Bertolaso non lo erano? In questo caso, nel decreto dell’altro giorno, avrebbe detto una bugia. E le bugie non si dicono, specie dagli alti colli. Anche perché hanno le gambe corte.