Giovanni Sabato, L’espresso 20/7/2012, 20 luglio 2012
Tremila occhi al cielo– Per una volta i due litiganti hanno goduto entrambi. Il radiotelescopio più potente, avanzato e costoso mai costruito sul pianeta sarà suddiviso tra due diverse nazioni
Tremila occhi al cielo– Per una volta i due litiganti hanno goduto entrambi. Il radiotelescopio più potente, avanzato e costoso mai costruito sul pianeta sarà suddiviso tra due diverse nazioni. Anzi, tra due continenti. Da sei anni il Sudafrica e l’Australia si contendevano lo Square Kilometre Array (Ska), lo strumento destinato a rivoluzionare la radioastronomia per darci una visione senza precedenti dell’universo. La scelta era in mano ai cinque Paesi che l’anno scorso, insieme ai contendenti, hanno messo sul piatto le sostanziose somme per avviare in concreto il progetto, costituendo la Ska Organisation: Paesi Bassi, Regno Unito, Canada, Cina e Italia. Dopo anni di battaglie scientifiche e diplomatiche, tra prototipi dimostrativi e tournée dei rispettivi ministri alla Farnesina e nelle altre capitali, quest’anno era il momento della verità. La valutazione finale ha giudicato valide entrambe le scelte, pur premiando leggermente quella africana. Il Sudafrica è più economico, specie per l’elettricità (Ska assorbirà 110 megawatt, quanto produce una piccola centrale), e soprattutto offre un altopiano a mille metri d’altezza che minimizza le interferenze atmosferiche. L’Australia è meno rischiosa, sotto ogni aspetto: per la stabilità politica, e perché il profondo silenzio radio nei suoi remoti deserti è meno minacciato dal futuro sviluppo. Così, per non scontentare nessuno, e per non sprecare i 300 milioni già investiti nei due progetti pilota, la scelta è stata salomonica: il telescopio sarà suddiviso tra i due contendenti, sebbene con una parte maggiore in Africa. Una scelta che ha soddisfatto entrambi i Paesi, e gran parte della comunità astronomica. «Il ritorno scientifico sarà immutato, e questa era la condizione irrinunciabile», precisa Luigina Feretti, dell’Istituto di radioastronomia Inaf di Bologna, che con Giampaolo Vettolani rappresenta l’Italia nella direzione della Ska Organisation. Qualche apprensione suscita l’aumento di complessità e di costi, stimato dall’organizzazione in 20-30 milioni sui 350 previsti per la prima fase (che costruirà il 10 per cento dello strumento), e da esperti indipendenti fino al 30 per cento in più per il completamento. "Nature" in un editoriale, pur riconoscendo questi e altri pericoli, come i rischi di concorrenza interna, vede anche potenziali benefici: è più difficile che un consorzio tagli tutti i fondi, la ridondanza evita che tutto si fermi se un partner viene meno, e un progetto più complesso attrae più interesse e competenze. Ma soprattutto, pragmaticamente, risolvere una buona volta la disputa, conclude "Nature": «Era probabilmente il miglior modo per vedere il telescopio realizzato». Un altro timore era quello per la stabilità politica. Il Sudafrica ha una buona tradizione astronomica (nel 1820 ha ospitato il primo osservatorio permanente dell’emisfero sud) e appare solido, ma il progetto coinvolgerà anche Paesi vicini non altrettanto affidabili. Gli esperti riconoscono che ci sono piccoli rischi ma che sono ampiamente bilanciati dall’importanza di portare in questi Paesi lavoro qualificato, e promuovere lo sviluppo e la formazione di alto livello. Numeri record Ma come può un telescopio sorgere a cavallo tra due continenti divisi da un oceano? La risposta sta in come è costruito. La sensibilità di un telescopio dipende dalle dimensioni: maggiore è la superficie ricevente, più raggi raccoglie (in questo caso onde radio), e più deboli sono i segnali che può ricevere. Perciò lo Square Kilometre Array, come dice il nome, avrà una superficie di circa un chilometro quadrato, pari a 150 campi di calcio. Costruirlo in un unico blocco, orientabile nella direzione in cui si vuole guardare, sarebbe ovviamente impossibile. Perciò, come già si fa per strumenti ben più piccoli, sarà ripartito in 3 mila parabole del diametro di 15 metri. Il potere di risoluzione, cioè il dettaglio con cui distingue due punti vicini, dipende invece dalla distanza tra i suoi estremi. Per questo le parabole non saranno tutte vicine: la gran parte sarà raccolta in un nucleo centrale, ma le altre saranno sparse lungo cinque immense braccia a spirale di 3 mila chilometri, che ricordano la forma di una galassia, con le propaggini più estreme che dal Sudafrica si stenderanno per otto Paesi fino al Madagascar e al Ghana. In aggiunta, ci saranno centinaia di migliaia di antenne molto più semplici ed economiche, meno sensibili ma dal vasto angolo visivo, sensibili alle basse e medie frequenze. Da questo design discendono i numeri roboanti che descrivono Ska. Durante l’osservazione i ricevitori punteranno sul medesimo punto. Una rete di fibra ottica sufficiente ad avvolgere due volte il pianeta li collegherà tutti al centro di calcolo, con un flusso di dati pari a decine di volte il traffico Internet globale. Qui i segnali saranno combinati da supercomputer potenti come cento milioni di Pc, e Ska funzionerà così come un unico, gigantesco strumento. «Oltre a sensibilità e risoluzione, è fondamentale la velocità», aggiunge Feretti: «Per una survey, una prospezione della volta celeste che mostra la distribuzione di tutti i corpi in tutte le direzioni, l’odierno Very Large Array ha impiegato circa un anno. A Ska basteranno tre giorni. Il nuovo radiotelescopio, infine, coprirà un intervallo di frequenze molto vasto, per cogliere una varietà di fenomeni diversi». A CHE SERVE Tanta potenza dovrebbe chiarire molte questioni fondamentali dell’universo. «Ne sono state individuate cinque, non solo di astrofisica ma anche di fisica fondamentale e di altro genere. Ma questo serve in particolare per definire le specifiche che Ska deve soddisfare», precisa Feretti: «In realtà, è talmente più potente di qualsiasi strumento esistente che darà contributi notevoli in ogni campo». Le domande riguardano come si sono formate le prime stelle e i buchi neri; come si evolvono le galassie, e che cos’è l’enigmatica energia oscura per la quale l’universo si sta espandendo sempre più in fretta anziché essere frenato dalla gravità; la natura dei giganteschi campi magnetici che permeano il cosmo. Un’altra riguarderà la gravità, e verificherà la teoria della relatività generale. Ma se da un secolo le idee di Einstein superano indenni test di ogni genere, che bisogno c’è di metterle ancora alla prova? «Finora sono state confermate in condizioni di gravità relativamente debole», spiega Feretti: «Ska rivelerà migliaia di pulsar, stelle di enorme densità dal campo gravitazionale estremo, e si verificherà se anche in queste condizioni la fisica resta la stessa o se se compaiono fenomeni nuovi, che richiedono nuove teorie. Ska inoltre potrà rivelare le onde gravitazionali, perturbazioni dello spazio-tempo teorizzate da Einstein ma troppo deboli per essere finora osservate. Ci sono altri progetti che le cercano, ma Ska vedrà frequenze che altri non vedono e con estrema sensibilità». Infine, studierà come si formano i pianeti simili alla Terra, possibili culle della vita extraterrestre. E se fossimo molto ma molto fortunati, con la sua capacità di rivelare un radar a 50 anni luce da noi, potrebbe captare i segnali radio di una civiltà aliena. Le ricadute di un progetto così ambizioso, con le sfide tecnologiche irrisolte che comporta, non si misurano solo in conoscenza ma anche in ricerca, innovazione e lavoro altamente qualificato. E a questa intrapresa partecipano l’Istituto Nazionale di Astrofisica e tutta l’astronomia italiana. Un finanziamento del ministero ci ha permesso di essere nel club dei fondatori della Ska Organisation, e l’Italia è ora tra i capofila e ci sono industrie già in lizza per fare le antenne, ma ci sarà lavoro praticamente in ogni settore hi-tech. Ora, l’obiettivo è quello di portare a Roma il quartier generale, dove gestire i dati e tutto il progetto. Sarebbe un bel colpo.