Tommaso Cerno, L’Espresso 20/7/2012, 20 luglio 2012
Provaci ancora Rosi – È la piccola repubblica di Vugiòn. Non in Cina, ma in Brianza. Oggiono. Ottomila anime fra i monti di Lecco
Provaci ancora Rosi – È la piccola repubblica di Vugiòn. Non in Cina, ma in Brianza. Oggiono. Ottomila anime fra i monti di Lecco. È qui che gli ex leghisti orfani di Bossi hanno impiantato la loro Pontida. Niente prati e niente palchi, il tempio dei ribelli contro Bobo Maroni è un bar. Si chiama "Bodega Art Cafè", l’ha aperto l’omonimo senatore Bodega Lorenzo, classe ’58, già sindaco di Lecco, Cavaliere della Repubblica e trombettista «con tanto di diploma», ci tiene a dire mentre intona il Va’ Pensiero: «Ma con Maroni alle tastiere non ci suonerei mai». Benvenuti nel quartier generale degli ex padani. Si chiama "Sgc - Siamo gente comune" e, come la gente comune, si riunisce al bar. Il simbolo è un girasole, Bodega è il braccio, poi c’è la mente: Rosa Angela Mauro detta Rosi. Proprio lei. La Rosi di Bossi, la Rosi che per anni è stata il volto più noto, e temuto, del cerchio magico del Senatùr. Rosi la strega, Rosi la badante. E Rosi l’espulsa, nell’infamia: «E perché dovevo dimettermi? Con il consiglio federale della Lega pieno di indagati? Non ho nemmeno un avviso di garanzia, solo bugie», scandisce al nuovo popolo. Delle lauree comprate in Svizzera e dei diamanti di Belsito non vuole sentir parlare. E neppure Piero Moscagiuro, in arte Pier Mosca, caposcorta e musicista pure lui, finito nella bufera per un presunto flirt con la vicepresidente del Senato, che accompagna anche stavolta fin quassù. «Balle», fa lei. «Quel giorno ho aperto i giornali e ho pensato: oddio, ditemi che è uno scherzo». Non lo era, ma poco importa. Per i fan plaudenti di Rosi (qualche decina) conta un altro flirt: «L’Umberto è con noi?», si chiedono in molti. Lei nicchia, accende una Marlboro e li guarda dritti in faccia: «Io fumo sigarette e non il Toscano, perché non voglio essere confusa con lui», taglia corto. Lui, l’Umberto, il convitato di pietra. Il fantasma in canottiera che aleggia, piaccia o no, in testa a tutti. Ufficialmente i due non si vedono da tempo, né si telefonano più: «Basta. Chiuso. La vita va avanti», giura lei. Dopo l’espulsione si erano parlati, questo sì. Qualche contatto c’era stato. Diretto o via donna Manuela, moglie di lui e amica di lei. «Ma ora basta. Non è vero che dove c’è Rosi c’è Umberto. E non era vero neanche prima. Non mi ascoltava. Magari l’avesse fatto, dio lo sa...». I tempi cambiano, insomma, e se anche Bossi s’è pentito delle dimissioni («lo credo bene»), il cerchio magico è morto e sepolto. «Fra trombati alla Reguzzoni e voltagabbana alla Calderoli», sussurrano i fan di Rosi. Per lei conta quel nastro arancione tagliato fra spumante e pasta fredda. Un cordone ombelicale ormai reciso: «Non rinneghiamo la Lega, ma si volta pagina», declina. Sarà, ma intanto il partitino conta due senatori e, nel caos romano, c’è chi parla di new entry. «Niente finanziamento pubblico», confermano a palazzo Madama. Quello va tutto alla Lega. Ma ai due ribelli andranno i rimborsi di segreteria. «Sono pochi euro, 2.090 al mese per ogni membro», si impunta Bodega. «E soprattutto non parlatele di soldi». Non a Rosi: «Mi hanno dipinta come una ladra, io che ho versato 253 mila euro alla Lega, senza riavere indietro un euro, nemmeno per il Sinpa, il sindacato padano che è la mia vita». I padani di oggi, in verità, la tengono a distanza come la peste e a lei è rispuntato un certo orgoglio di meridionale. «Sono del Salento e non lo rinnegherò mai, non sono ipocrita come i leghisti. Anzi, il nostro partito non ha confini geografici». Si partirà dai comuni della Brianza, dunque, già alle amministrative. E poi chissà. Piemonte. Forse Veneto. «E, perché no, fuori dalla Padania: anche al Sud c’è gente comune». In verità il movimento partiva con un nome più altisonante: "Gruppo d’azione per la rinascita". Poi ci si è messo quel geniaccio di Alfredo Chiappori, vignettista e scrittore piuttosto famoso in queste vallate. L’idea del nome è sua. E pensare che quando Bodega fu eletto al municipio di Lecco, lui era il suo più acerrimo nemico: «Disse che mi avrebbe spaccato la testa sul basamento della statua di Garibaldi, e c’era da credergli», sospira il senatore. «Poi, dopo un po’, siamo diventati amici». Bel nome, sì, ma inutile nascondere che qui Bossi manca a tutti. E la nostalgia pare reciproca. Umberto, qualche giorno fa, ha voluto lumi sul baretto del Bodega: «E ’sto locale? L’ha aperto sul lago?», ha chiesto a un amico. «No capo, ma ci fanno la piadina alla brianzola. Prosciutto cotto e formaggio fuso». Tutta roba interdetta ai "barbari sognanti", fedelissimi di Maroni, perché il Bodega bar ha una sola regola: porte sbarrate a chi ha tradito Umberto. E così, all’inaugurazione, i maroniani si sono piazzati sulla statale con tanto di tazebao. «Traditori!», intonavano. «Che coraggio», sbottava Sonia, la compagna di Bodega, da dietro il bancone. «Fino all’altro giorno tutti sull’attenti quando passava il capo e adesso in ginocchio da Maroni. Uno schifo». Per lei la questione Lega è matematica, due più due: «Se Bossi mi dice di andare a piedi sul Po, io ci vado. Se me lo chiede Maroni sto a casa. È come votare Casini». E come lei la pensano gli avventori del Bodega bar. Il popolo di Rosi. Poveri in canna e ricchi in Lamborghini gialla («Era il dentista, e dopo la festa è arrivata subito la Finanza»), miti signore e birraioli rissosi. Anche se per ora a pagare il conto della guerra qui in Brianza, è stato Armando Valli. Classe ’51, bossiano dall’85, senatore. Fedina pulita, ma qualche multa gli scappa: «Siamo un po’ terroni, qui sul lago, non si mette mai la cintura. Rischi i vigili, ma se finisci con la macchina nell’acqua, almeno salti fuori», si giustifica. Ogni anno Bossi si presenta a Lecceno, a casa sua, a discutere di Lega. E lo farà anche quest’anno. Non lo chiama Armando, lui per tutti è il "Mandell". E se ne accorse alle provinciali, eletto per un soffio. «Strano», pensò. Poi, le birre celtiche dell’isola comacina chiarirono il mistero: «Mandell, non ho trovato il tuo nome sulla scheda», gli ripetevano i leghisti. «Il nostro è un paese di contrabbandieri, qui abbiamo zero nomi e un soprannome». Da quel giorno lo infilò dappertutto. Mandell sui manifesti, sui volantini e perfino sul sito del Senato. I voti si moltiplicarono, fino a quella maledetta inaugurazione del bar del Bodega. S’è presentato là ed è stato immortalato al fianco di Rosi l’innominabile. In poche ore la foto ha fatto il giro della Lega, fino ai commissari piazzati da Maroni nelle valli di Lecco. «Mandell traditore», ripetevano. E lui zitto. In attesa del verbo di Bossi. E se gli slogan di Rosi Mauro puzzano un po’ di muffa, litanie di una Lega dei tempi andati fra territorio, popoli e legalità, c’è chi spera ancora nel miracolo. Il ritorno del capo, l’unico - ripetono - che può dare del filo da torcere a Maroni. Quel Bossi un po’ abbacchiato, che molti qui sperano varchi la soglia del bar di Vugiòn. Tanto che, mentre Berlusconi annuncia il rientro, qui si favoleggia di misteriose telefonate fra Rosi e Umberto. E fra Umberto e il Cavaliere. Prova ne sarebbe un’ospite d’eccezione all’ormai famosa inaugurazione del Bodega Art Cafè: la rossa Michela Brambilla, l’ex ministro animalista vicinissima a Silvio. Falso allarme, ribattono i "barbari sognanti" di Maroni. Tutta scena. La rossa del Pdl da queste parti circola dal 1998. Da quando al sindaco Bodega scoppiò il bubbone del canile comunale. «Avevamo un sacco di cani, un casino, e lei si prese in carico le bestie. Ha una marcia in più… Devo spiegarvi io che rogna è per un sindaco il canile?». Meno male che Michela c’è.