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 2012  luglio 20 Venerdì calendario

DALLE MACERIE SPUNTA UN’EREDITÀ MILIONARIA


Cinquant’anni di vita semplice e poi, di colpo, la Porsche, l’abito firmato, il ristorantino chic. Beppe l’infermiere era cambiato. Nella piazza di Canistro, paesino di mille anime sull’Appennino abruzzese, l’avevano notato in molti e in molti si chiedevano quale fortuna gli fosse capitata. La risposta arriva ora, indirettamente, dalla procura della Repubblica di Avezzano dove si scoprono tutti i retroscena della storia di Beppe l’infermiere e del vecchio Dante, un signore di cent’anni scampato per miracolo al terremoto del 6 aprile del 2009 e morto esattamente un anno dopo.
Perché la Porsche e la nuova vita di Giuseppe Coco detto Beppe, un po’ infermiere, un po’ assistente tuttofare, un po’ artista, sono l’effetto dell’ingente patrimonio che il centenario Dante Piccinini gli avrebbe interamente e generosamente ceduto in eredità due anni fa, escludendo chiunque altro dalla spartizione, compresi i parenti. Cioè, il magistrato ipotizza che il più anziano dei terremotati dell’Aquila, rimasto senza casa dopo il sisma e per questo finito alla Residenza Sanitaria di Canistro, sia stato indotto da Beppe a lasciargli tutti i suoi averi in modo truffaldino. «Approfittando delle condizioni di inferiorità psichica e di abbandono in cui l’uomo si trovava, mancando l’assistenza da parte dei familiari più prossimi; condizioni accentuate dalla necessità di dover lasciare la propria dimora resa inagibile dal terremoto», scrive il pm Maurizio Maria Cerrato che ha da poco chiesto una proroga delle indagini sul conto di Coco. Il magistrato vuole capire come sia stato possibile il sorprendente testamento, al quale è stato allegato un documento che sottoscrive la piena capacità di intendere e di volere di Dante. Quel giorno, davanti al notaio, c’era infatti anche un dottore che concluse così: «Ho visitato il signor Piccinini, certifico di aver riscontrato lucidità di mente». Poche parole che rappresentarono il nulla osta alla nomina del portantino Beppe, la persona più vicina a Dante negli ultimi quattro mesi di vita, come erede universale.

Case e contanti. Un bel gruzzolo: oltre un milione e mezzo di euro in fabbricati più 600 mila euro di liquidità fra polizze assicurative, libretti postali, conti correnti, depositi e una cassetta di sicurezza. Tre giorni dopo la morte, Coco, conosciuto a Canistro anche come scultore, ha prelevato il denaro di Dante per versarlo nei propri conti.
Il pm parla di circonvenzione d’incapace. Il signor Coco, naturalmente, no. Anzi: «Io volevo molto bene al signor Dante e lui ha dimostrato di volerne a me. Un’amicizia, la nostra, nata dopo il terremoto. Mi chiedeva solo un po’ di compagnia che io gli davo volentieri, senza sapere nulla né pretendere nulla. Un giorno mi disse che voleva farmi un regalo. Poi mi parlò di un testamento e io, che non avevo idea di cosa possedesse, dissi di lasciar perdere. “Mai visto nessuno che rinuncia a un’eredità”, disse lui. Dopo venti giorni mi ha detto: “Adesso che sto ancora bene, chiamami un notaio, e tu rimani fuori per favore”. Chiamai il notaio e due testimoni che hanno fatto questo testamento. Quando tornai nella stanza uno dei testimoni mi disse che aveva lasciato tutto a me come erede universale... a quel punto ho capito che si trattava di un patrimonio importante». In cambio, Dante gli avrebbe chiesto una sola cosa: assistenza fino alla fine dei suoi giorni.

Un intrigo alla Match Point. Qual è dunque la verità? Quella dell’infermiere buono che a 54 anni viene baciato dalla fortuna o quella dell’uomo senza scrupoli che raggira il vecchietto e s’impadronisce del patrimonio di una vita? Woody Allen ci vedrebbe forse la trama di un film che si snoda sulla doppia natura umana: angelo e criminale, il buono e il cattivo, favola e dramma, un po’ come Melinda & Melinda o come Match Point, dipende solo dai punti di vista, da un nulla, da una pallina che balla sul nastro e può cadere di qua o di là cambiando la vita di un uomo, premiandolo o condannandolo per sempre.
Ignorati sulla carta dal loro congiunto, i parenti del signor Dante non hanno avuto dubbi: Coco è un impostore. E sono passati all’attacco, denunciandolo: «Gli atti notarili sono stati rogati nonostante le evidenti condizioni di infermità psichica (tra l’altro con una demenza senile già accertata), scemate al punto da renderlo circonvenibile». Chiedono la condanna, ma soprattutto «l’integrale risarcimento dell’ingentissimo danno subito». Il pm ha disposto un paio di consulenze tecniche che hanno concluso per l’incapacità del de cuius, come ha sottoscritto Enrico Mei, professore, dottore e perito: «Dante Piccinini risultava affetto da sindrome psico organica involutiva. Una patologia di rilevanza tale da assumere “valore di significato di malattia”... Al momento dei fatti e successivamente , si ritiene che fosse persona circonvenibile, per infermità».
Ma allora, quei testimoni presenti alla firma dell’atto, sono tutti complici, compreso quel dottore che fra l’altro, fa notare l’investigatore, è il medico di famiglia dell’infermiere? Da una parte i parenti graffiano per bocca del vulcanico avvocato Maria Teresa Di Rocco: «Il signor Dante è stato ripulito da chi non ne aveva diritto, questo è pacifico, e la procura si decida a chiudere questa benedetta inchiesta». Dall’altra insorge il suo collega, Crescenzio Presutti, difensore dell’indagato: «Ma quali complicità! Coco è uomo pulito e puro, un vero artista, nella sua vita ha fatto solo del bene. E quel medico è l’unico medico del paese, al capezzale di Piccinini non potevano essercene altri».

Il magistrato tace e non decide. Domanda: ma possibile che Dante abbia voluto lasciare tutto a Beppe solo perché gli stesse un po’ vicino, dimenticandosi lucidamente di tutte le persone care che hanno attraversato la sua lunga esistenza? «Glielo chiesi anch’io», spiega l’infermiere. «Mi rispose in questo modo: “Ma tu hai mai visto un parente che è venuto a trovarmi? Quando io ho chiesto a te un po’ di compagnia tu, invece, me l’hai data senza sapere nulla di me e di quello che possiedo...”. Poi mi ricordava spesso che dopo il terremoto rimase chiuso dentro casa, da solo». Erano i giorni neri dell’Aquila. Nel deserto di macerie ancora fumanti, i carabinieri lo trovarono alla finestra di un palazzo pericolante. Fuori c’era la sua vecchia Fiat 850, dentro solo il gatto. Non voleva saperne di lasciare quelle stanze terremotate. Poi lo convinsero e lui andò a casa di una parente ma dopo due mesi litigò e scappò. «Alla fine mi chiese un solo favore: “Fammi seppellire in questo meraviglioso paese che è Canistro così sono sicuro che almeno tu, Beppe, mi verrai a trovare”».
Lo scorso anno, dopo aver aperto l’indagine, gli inquirenti hanno bloccato a Coco l’intero patrimonio. Poi è seguito un lungo silenzio. Da mesi il magistrato tace e non decide. Dicono che sia incerto, che non sappia più da che parte spingere la pallina, se verso il crimine o verso la favola. Nel frattempo, fra le corsie della clinica di Canistro, Beppe l’infermiere continua a pensare all’eredità sfumata. Un’eredità che aveva toccato, e gli aveva fatto vivere qualche mese da sogno.