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 2012  luglio 20 Venerdì calendario

I PARTITI E LA COSTITUZIONE ALLERGICI ALLE REGOLE

Da 63 anni la Costituzione all’art. 49 rinvia alla legge ordinaria la disciplina sull’assetto giuridico dei partiti politici. A carico delle varie amministrazioni pubbliche i partiti, pur in assenza di una normativa sul loro stato giuridico e anche in barba all’esito del referendum che decretò la fine del finanziamento statale ai partiti, continuano a incassare cospicue somme, a fruire gratuitamente di locali, personale, attrezzature e quanto altro, il tutto sulle spalle dei contribuenti e dei lavoratori. Questi partiti vogliono o no consentire al governo Monti l’abrogazione delle leggi sul finanziamento alla politica o, quanto meno, il dimezzamento della relativa spesa? Somme versate dai contribuenti finiscono ai partiti (ai tesorieri o ai capipartito?). Una disciplina legislativa era stata prevista dal disegno di legge n. 124, presentato al Senato da don Sturzo il 16 settembre 1958, disegno di legge rimasto insabbiato dopo la morte del senatore a vita che l’aveva proposto. Da allora sono passati 53 anni!
Giacomo Garra
giacomogarra@gmail.com
Caro Garra, secondo l’art. 49, «Tutti i cittadini hanno il diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale». Sulle parole «metodo democratico» si aprì una discussione molto interessante. Alcuni costituenti ritennero che quelle parole dovessero applicarsi anche all’organizzazione interna dei partiti e che occorresse quindi prescrivere norme e regole a cui avrebbero dovuto attenersi. Palmiro Togliatti si oppose perché vide in queste proposte uno strumento per interferire nella vita interna dei partiti, magari sindacando il metodo con cui avrebbero scelto i loro dirigenti. I partiti avrebbero dovuto agire democraticamente, ma sulla loro democrazia interna era meglio che la Costituzione non dettasse regole. Con questi argomenti, paradossalmente, il comunista Togliatti adottò una posizione impeccabilmente liberale. Lo fece naturalmente perché temeva che qualcuno si servisse di norme più dettagliate per interferire nelle strutture interne del Pci. Ma anche a me, caro Garra, piacerebbe un sistema politico in cui i partiti fossero trattati come semplici associazioni.
Le cose, come sappiamo, sono andate diversamente. Anziché essere semplici associazioni i partiti sono diventati rapidamente il maggior potere non regolamentato del sistema istituzionale italiano. Luigi Sturzo fu tra i primi ad accorgersene e propose nel 1958 il disegno di legge a cui lei accenna nel sua lettera. Il problema che maggiormente lo preoccupava era quello dei finanziamenti. Nella relazione allegata al disegno di legge disse che «il primo e più importante provvedimento deve essere quello di togliere la grave accusa, diretta ai partiti e ai candidati, dell’uso indebito del denaro pubblico». Otto anni dopo la morte di Sturzo, in un bel libro sulla Storia del potere in Italia 1848-1967 (Corbaccio 1995, con una prefazione di Angelo Panebianco), Giuseppe Maranini scrisse che «non è data ai partiti una struttura determinata, non sono apprestati mezzi di controllo della legalità, della democrazia interna, delle finanze dei partiti (…), non sono accordate ai partiti fonti di finanziamento lecite, pubbliche e controllabili».
Su quest’ultimo punto — le fonti di finanziamento —, Maranini, se fosse ancora vivo, dovrebbe parzialmente correggersi. Sette anni dopo la pubblicazione del libro, fu approvata la legge 195 sul finanziamento pubblico dei partiti. Venne abrogata dal referendum del 1993 con una valanga di sì (90,3%), ma sostituita con i rimborsi elettorali previsti dalla legge 157 del 1999, aumentati da due leggi successive nel luglio 2002 e nel febbraio 2006. Per il resto, e in particolare per il controllo dell’uso dei finanziamenti, Maranini avrebbe potuto ripetere, senza cambiare una virgola, ciò che aveva scritto nel 1967 e che Sturzo aveva anticipato con la proposta dal 1958. La Seconda Repubblica assomiglia alla Prima. In peggio.
Sergio Romano