Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  luglio 20 Venerdì calendario

LA TURBO-FINANZA IN MANO AI ROBOT

I mercati di solito sferrano i loro at­tacchi in agosto. Si attende il re­sponso dei mercati. I mercati boc­ciano Moody’s. E via di questo passo, da oltre un anno, la prima domanda che il giornale del mattino induce in compagnia del caffè è troppo spesso: "Cosa diranno oggi i mercati?". Che il loro parere, simile a una spada di Da­mocle, condizioni oramai le scelte sempre più obbligate della politica è un’evidenza difficile da confutare.
Ben più complicato, invece, andarli a trovare, questi mercati. Scovarne l’in­dirizzo, rintracciare i loro spostamen­ti, e soprattutto, identificarli. "Chi so­no", dunque, i mercati? Hanno un no­me e un cognome oppure assomiglia­no semplicemente a mani invisibili che tirano i fili sopra un palcoscenico per burattini?
Può essere interessante, per abbozza­re una risposta, fare un salto all’indie­tro e tornare al 6 maggio del 2010. Un giorno complicato, manco a dirlo, per i mercati, alle prese con la crisi del de­bito in Grecia. Non dissimile però da quelli che l’hanno preceduto a partire dal settembre 2008, quando il falli­mento del colosso bancario Lehman Brothers prenotò sui manuali di storia economica il capitolo dedicato all’ori­gine della grande crisi tuttora in cor­so. Ma all’avio delle contrattazioni, quel giorno, sulla piazza newyorkese succede qualche cosa di strano: alle 14:42 (ora italiana) gli indici Dow Jo­nes, S&P500 e Nasdaq iniziano vorti­cosamente - e inspiegabilmente - a perdere punti, con un salto nel buio che in pochi minuti sfiora il 10%. Il panico si propaga istantaneamente in mezzo mondo e alla fine le perdite sulle Borse saranno ingenti, anche se lontane dalla doppia cifra. Il crollo di Wall Street - si scoprirà qualche mese dopo, grazie a un’indagine delle auto­rità americane - fu provocato da un trader che, in appena venti minuti, trattò contratti future (strumenti deri­vati che moltiplicano la potenza degli ordini e quindi i guadagni o le perdite potenziali) per 4,1 miliardi di dollari.
È stato quindi un singolo ordine a in­nescare il cosiddetto "flash crac" di Wall Street. Un solo colpo di mouse ha mandato al tappeto la finanza mondiale. Com’è stato possibile?
Algotrading. L’ultima frontiera della turbo-finanza di cui, proprio negli ul­timissimi anni, abbiamo imparato a conoscere i primi assaggi. Non il tra­der, ma un algoritmo - dal nome del matematico, astronomo, astrologo e geografo persiano Muhammad ibn Musa al-Khwarizmi - applicato alla compravendita dei titoli (trading) è riuscito a vendere 75.000 contratti a termine sull’indice S&P 500 in venti minuti scatenando due crisi di liqui­dità: una sul mercato dei contratti chiamati ’E-Mini’, l’altra sulle Borse.
Disumano. O meglio: non umano. E indicativo di una terza, inquietante, caratteristica dell’attuale tecnostrut­tura finanziaria e dei relativi, possibili effetti collaterali: oltre che di un rac­conto e di una ricetta, la Grande Crisi che stiamo attraversando rischia di ri­manere orfana anche dell’uomo. Per­ché in balia dalle macchine.
Nella fase pionieristica dei software anni Ottanta si parlava semplicemen­te di ’program trading’, programmi informatici per studiare strategie d’in­vestimento in un sistema degli scam­bi presidiato ancora dai mercati ’alle grida’. La progressiva scomparsa de­gli uomini dalle Borse ha lasciato spa­zio ai computer. La potenza di calco­lo, per di più, ha subito un’accelera­zione esponenziale. Oggi a dominare è l’’high frequency trading’, il trading ad alta frequenza, utilizzato soprat­tutto dagli hedge funds, i grandi fondi speculativi. A differenza dei loro ante­nati, questi programmi non hanno bi­sogno dell’uomo: si muovono da soli.
Auscultando segnali impalpabili all’o­recchio umano provenienti dal siste­ma nervoso digitale globale, Face­book e Twitter inclusi, fanno partire migliaia di ordini d’acquisto e vendita al minuto. In alcuni casi la ’raffica’ dura un istante e nessuno se ne ac­corge. Gli ordini ad alta frequenza viaggiano ad una velocità di 0,03 mil­lesimi di secondo, contro lo 0,1 dei mercati tradizionali. Ma a essere mo­vimentati sono miliardi. Un terzo de­gli scambi sulle principali borse mon­diali è opera di questi ’robot’. I dati raccolti da Tabb Group parlano di un 56% del valore dell’azionario Usa, di un 40% nelle Borse europee e fino a un 30% in Asia.
Un’indagine fenomenologica dei mercati rivela un dominio della tecni­ca come neanche Martin Heidegger se l’immaginava. Dietro all’ordine di vendita o acquisto non c’è la valuta­zione di un analista (umano) sull’an­damento di un’azienda, un Paese, un settore, ma un’intelligenza artificiale. Che condiziona l’andamento dei tito­li, intercettando in anticipo sulla ca­pacità percettiva umana gli scosta­menti dei prezzi. Le vittime sono i co­muni risparmiatori, quelli che affida­no il denaro a società di gestione e banche basate sulle capacità degli uo­mini, schiacciate da una simile asim­metria informativa e o­perativa. Le vittime so­no i comuni mortali. I regolatori stanno cer­cando di correre ai ri­pari. Alzando barriere, imponendo sanzioni.
Ma è quasi una guerra uomo-macchina che e­voca gli scenari apocalittici del film Terminator in cui il sistema Skynet antesignano di Internet provocava il Terzo conflitto mondiale. O la guerra di resistenza dell’umanità sopravvis­suta all’intelligenza artificiale contro la ’matrice’ raccontata dai fratelli Andy e Larry Wachowski nella saga Matrix. In quest’epopea fantascientifica, gli uomini del protagonista Neo imbar­cati sulla Nabucodonosor di Morpheus combattono in fondo un ’riduzionismo antropologico’ all’en­nesima potenza.