Luca Cardinalini, il Fatto Quotidiano 18/7/2012, 18 luglio 2012
LA MIA SPAL, GRANDE PROVINCIALE
l presidentissimo Paolo Mazza era un precursore, aveva il culto del settore giovanile e ogni settimana organizzava a Ferrara dei provini, dove arrivavano ragazzi da tutta Italia, con le tasche vuote di soldi ma piene di sogni. Nei primi anni 60 si era intestardito con noi friulani, pescava dalle nostre parti, penso per via del carattere riservato e delle prestanti caratteristiche fisiche. Morale, a 15 anni mi portò a Ferrara, assieme a una quindicina di compagni, compreso Fabio Capello, abitavamo in un pensionato in via Romei, 60 mila lire al mese, campionato Primavera vinto e, due anni dopo, l’esordio in Serie A”. Edy Reja, allenatore di Napoli, Lazio e molte altre squadre, a Ferrara ci ha lasciato un pezzo di cuore. Lì ha iniziato la sua carriera di calciatore . Lì, da lunedì, il calcio, dopo 105 anni di storia, ha chiuso con il professionismo: fallimento, se va bene si ricomincia in Serie D. “La notizia mi ha addolorato, ma ormai è sciocco anche stupirsi”.
Perché?
Perché il momento è quello che è e reggere una squadra di calcio, in Serie A, B o C, non è facile. Il calcio che conta oramai è fatto di budget consistenti, di bacini d’utenza, di potenze economiche.
Spal era un acronimo, Società polisportiva ars et labor, fondata nel 1907 da un sacerdote salesiano, atletica e ciclismo gli sport iniziali...
Appunto.
Appunto cosa?
Il calcio arrivò solo con Mazza, personaggio di poche parole, ma quando poi si andava in trasferta in treno, si scioglieva, incuteva rispetto e soggezione, ma capiva di calcio.
L’attuale, ultima società è fallita (anche) per un investimento sbagliato... sul fotovoltaico, che aveva impiantato allo stadio “Paolo Mazza”, ma che non ha fruttato un euro.
Non conosco la situazione, ma siamo lontani dalla mia Spal. Allora era una società blasonata, ma la gestione di Mazza, con gli investimenti nel vivaio, gli permise tra gli anni 50 fino al 1968, di restare quasi stabilmente in Serie A.
Mazza era un presidente atipico e, per certi aspetti, invidiabile: aveva il patentino di allenatore – allenò anche la Nazionale per un periodo – e non vide mai in faccia un procuratore.
Venne definito il re del mercato. La sua era una politica quasi obbligata per poter sopravvivere.
A quale società attuale la paragonerebbe?
All’Udinese. Il presidente Mazza formava dei giovani e, se eri buono, ti faceva esordire in prima squadra. Se l’esperimento riusciva, se dimostravi di valere, il tuo futuro era scritto: venivi ceduto. Ogni anno i due migliori già sapevano la loro futura destinazione. Nel 1968 mi cedette al Palermo, l’anno prima aveva dato Capello alla Roma, ma venivamo subito rimpiazzati da altri giovani di valore.
Che ambiente c’era a Ferrara?
Molto buono a livello umano, difficile a livello di consenso. Il pubblico di Ferrara, non solo nel calcio, è molto esigente, abituato bene. I fischi, i malumori e le critiche erano sempre dietro l’angolo.
Dopo Mazza, gli ultimi successi furono quelli dell’era di Giovanni Donigaglia, presidente della CoopCostruttori, colosso nel ramo dell’edilizia. La squadra della Coop, con tanti soldi.
Non ho vissuto quei giorni, so però del miracolo compiuto da Giovan Battista Fabbri, che fu anche lui calciatore spallino, ma da allenatore traghettò la società dalla C2 alla Serie B in due anni. Poi, nella stagione in cui si puntava alla A, puntualmente si tornò in C. Con il calcio non si scherza.
Ha mantenuto amicizie?
Qualcuna, anche se non ci vediamo praticamente mai. Non mi è capitato mai nemmeno di tornarci come allenatore di una squadra avversaria. Mi capita spesso, però, il lunedì, di andare a leggere cosa ha fatto la Spal, se ha vinto o perso, ma senza conoscere la realtà delle cose.
Cosa ha pensato leggendo la notizia del fallimento?
Ho chiuso gli occhi per ricordarmi di cosa significasse la Spal, con questo nome così particolare, per la città. Ho rivisto le donne, che incontravi nei negozi commentare le partite e i risultati. Una cosa molto bella, tenera, che oggi penso non succeda più.