Diego Gabutti, ItaliaOggi 18/7/2012, 18 luglio 2012
PER BELSITO, CALDEROLI È UN ASINO BARDATO DA GENERALE
Francesco Belsito, l’ex tesoriere della Lega, si vergognava dei leghisti. «Troppo ignoranti», si lamentava al telefono, parlando con la moglie del Senatur, Manuela Marrone Bossi, notoriamente una cima. Soltanto le grandi firme di Repubblica, dall’alto della loro spocchia, possono liquidare così i loro nemici: gli elettori coccodè del centrodestra e i lettori di giornali con meno allegati culturali del loro.
Non è che al gruppo De Benedetti (insieme al denaro per pagare le tasse arretrate) serve un nuovo amministratore delegato?
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«Macaulay ha paragonato la storia a un viaggio all’estero. Sicuramente gli storici sono in una condizione molto simile a quella dei normali turisti: anch’essi vogliono avere un’idea dei monumenti che sono venuti a visitare, e questo non è per nulla un compito facile» (Siegfried Kracauer, Il viaggio dello storico, in S. Kracauer, Prima delle cose ultime, Marietti 1985).
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Se i leghisti, in generale, sono tutti «troppo ignoranti», cosa che essi negano agitando nell’aria le loro lauree albanesi, c’è un leghista in particolare che appare ignorantissimo agli occhi dell’ex tesoriere del partito lumbard: Roberto Calderoli, già medico ospedaliero, ex ministro per la semplificazione normativa, che Belsito giudica «un asino bardato da generale». Immagino che anche Calderoli protesti e neghi. Purché non lo faccia scalciando, deve ridersela l’ex tesoriere sotto i baffi. Potrebbe saltargli via tutto il medagliere.
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Asino chi legge, si leggeva un tempo sui muri, all’epoca in cui gli asini sapevano leggere.
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Ma se il trota e gli altri sapientoni del cerchio magico si sono laureati in Albania o presso il Cepu, Calderoli si è laureato in Italia, anzi in Padania, oggi detta più vagamente Nord. E se avessimo importato in pianura padana, insieme ai boss e alle cosche e alle n’drine, anche qualche facoltà di medicina farlocca, di quelle che stanno alle università vere come gli impianti siderurgici calabri a quelli autentici, le uova di lompo al caviale e Giorgio Napolitano (senza offesa, si fa per capirci) ad Abramo Lincoln o al Mahatma Gandhi?
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Nella Lega, diciamolo, c’è sempre stato un intellettuale solo: Bobo Maroni, il solo col physique du rôle, l’unico leghista al mondo a portare occhialetti cerchiati di rosso, come la bianchieria intima delle olgettine le sere dedicate al «bunga bunga», e a suonare la tromba intrepido.
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«Nel gennaio 1938, per il quattordicesimo anniversario della morte di Lenin, il teatro Vachtangov allestì la recita straordinaria dell’ultimo atto della versione teatrale dell’Uomo col fucile per la cerimonia commemorativa del governo al Bol’oj. Qui Lenin era recitato dal famoso attore Boris cukin e Stalin dal direttore del teatro Ruben Simonov. Sarebbero dovuti uscire in scena insieme, per salutare i soldati dell’Armata rossa che andavano a prendere il Palazzo d’Inverno. Simonov, che doveva recitare Stalin davanti al vero Stalin, ebbe un attacco di bulimia: per alcuni giorni prima dello spettacolo non riuscì a trattenere cibo. Ma il vero panico lo colpì in scena, quando vide Stalin nel palco. Simonov «aprì la bocca, ma non c’era suono». Si dovette ritirare dalla scena. L’autocrate ebbe una reazione immedita al fiasco: vi fu una purga di funzionari della cultura. Solo l’attore «colpevole» non fu punito. In tre occasioni il leader gli conferì anzi il Premio Stalin» (Solomon Volkov, Stalin e ostakovic. Lo straordinario rapporto tra il feroce dittatore e il grande musicista, Garzanti 2006).
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Dice sempre Belsito alla signora Bossi: «Se uno così», quell’«asino bardato da generale» del Calderoli, «può diventare ministro, allora io posso diventare il presidente». E lei: «Puoi diventare Papa!» Ed entrambi, in coro, come nelle operette d’una volta, quando si chiudeva l’atto e l’orchestra, prima dell’intervallo, ci dava dentro con tutti gli ottoni: «Essendo lui, l’Umberto, un genio, un ge-nio, sì-sì, ha potuto essere contornato da imbecilli, tanto faceva tutto lui, e loro nisba. Tutto-tutto-tutto. Lui-lui-lui. Nisba-nisba-nisba».
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Per ministri degli asini calzati e vestiti, per figlio nemmeno un delfino ma una trota, ai raduni tutti con le corna sull’elmo, forse l’Umberto Bossi non è mai stato un leader di partito, né un «capo», come lo chiamano (be’, lo chiamavano) i suoi seguaci) ma una specie d’amico degli animali. Diciamo, anzi, un Tarzan lumbard (non un «baluba», come direbbe lui, ma poco ci manca) con mutandoni di lana e canotta al posto del perizoma.
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«Una premessa necessaria per studiare la formazione d’una memoria europea è la constatazione che il XXI secolo è iniziato sotto il segno di un’eclisse delle utopie. Da questo punto di vista, una grande differenza lo separa dai due secoli che lo hanno preceduto» (Enzo Traverso, Il secolo armato. Interpretare le violenze del Novecento, Feltrinelli 2012).