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 2012  luglio 18 Mercoledì calendario

IL PREZZO DELLE RIFORME NON FATTE


L’assoluzione dell’ex ministro Francesco Saverio Romano ha lasciato l’amaro in bocca sia alla procura palermitana sia ai giustizialisti che si erano accaniti contro il politico siciliano, segnatamente quando, lasciata l’Udc, si schierò nel centro-destra fondando un proprio movimento. Ovviamente i giacobini di turno si sono aggrappati all’assoluzione considerata vecchio stile “per insufficienza di prove”, per far credere si tratti di un mezzo colpevole o di un colpevole certo, che è riuscito a farla franca. È bene ricordare che la vicenda giudiziaria ebbe avvio dieci anni addietro e che transitò attraverso una prima archiviazione e una successiva imputazione coatta. In questo decennio Romano dovette subire l’umiliazione di una velenosa nota del Colle al momento della sua nomina: «Il capo dello Stato ha espresso riserve sull’ipotesi di nomina dal punto di vista dell’opportunità politico-istituzionale». Si trattò di un unicum nella storia delle nomine di ministri: riserve e divieti erano sì capitati più volte, ma comunicati privatamente (ovvero privatamente in modo che tutti li apprendessero), mai così palesemente. Non solo: Romano dovette patire una mozione di sfiducia, respinta con alquante difficoltà politiche. Come nel caso, ancor più grave, di Calogero Mannino, c’è da chiedersi fin quando sarà tollerata una sedicente giustizia che condiziona la vita di un cittadino per due lunghi lustri (e ci sarà, naturalmente, il seguito in altri gradi del processo). Il caso è clamoroso per l’intoppo provocato all’attività politica, oltre che per i pesanti prezzi pagati in termini istituzionali, politici e d’immagine. Quando poi si cerca di evitare qualsiasi riforma della giustizia per recare un minimo di civiltà nel settore, si ergono barricate. C’è da chiedersi perché il Pdl, né quand’era al governo né ora in maggioranza, si sia mai davvero impegnato per la separazione delle carriere.