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 2012  luglio 19 Giovedì calendario

La diva è lei, e non solo perché tra la fragile Mimì e l’umile Cio-Cio-San lei sarà Tosca, la primadonna fatale e passionale

La diva è lei, e non solo perché tra la fragile Mimì e l’umile Cio-Cio-San lei sarà Tosca, la primadonna fatale e passionale. In qualche modo Oksana Dyka «è» Tosca, per carattere e per biografia artistica: la trentaquattrenne ucraina si presenta giovane e bella, si confessa gelosa e volubile e tutte le grandi prime volte della sua carriera sono legate all’eroina pucciniana: il debutto assoluto nell’opera, poi quelli con Zeffirelli e all’Arena di Verona, i primi applausi alla Scala e a adesso l’approdo al Festival Pucciniano. Quando ha incontrato Tosca? «Nel 2005, a marzo. Non ero giovanissima ma il mio approdo alla musica è stato tardivo: fino a 19 anni nulla poi, un po’ per caso un po’ per sincera curiosità, iniziai a frequentare un grande coro della mia città, Kiev; il direttore, un ottimo baritono, mi disse subito che avrei dovuto coltivare seriamente questa passione e si offrì di darmi gratuitamente lezioni private. Già dopo un anno il teatro cittadino mi iniziò a chiamare per alcune produzioni; i miei mi lasciavano fare ma senza troppa convinzione. Nel 2003 vinsi l’International Opera Competition di Marsiglia e il canto divenne la mia professione. Fu quel concorso a procurarmi il primo vero ingaggio, per il teatro di Montpellier. E fu subito Tosca». Che cosa si ricorda? «Iniziai a capire che lo spirito e lo stile, la mentalità e l’indole degli italiani appartenevano a un mondo lontano e diverso da quello in cui avevo sempre vissuto; arrivai preparatissima, non sbagliai nessun attacco, tutto perfettamente a ritmo; ma al direttore, un italiano, non andava bene: voleva libertà e passione, Tosca non poteva essere un metronomo! Iniziai a intravvedere un mondo stupendo e sorprendente che ammiccava da dietro quelle note a lungo studiate. E poi la pronuncia: il mio italiano era orribile!». Ora è perfetto: l’ha affinato sul palco? «E nella vita: ho sposato un cantante italiano, vivo con lui e mia figlia a Pescaglia, immersa nei luoghi di Puccini. Solo respirando, vedendo, vivendo qui si può dire di capire veramente la sua musica». Con Zeffirelli ha cantato all’Opera di Roma: che cosa le ha insegnato? «Il portamento, l’atteggiamento, mi ripeteva sempre: Tosca entra in scena ed è già nervosa, arrabbiata, sospettosa; da lui ho imparato a esprimere i sentimenti accarezzando il lembo di un vestito, a muovermi con quegli strascichi immensi, addirittura di sei metri, che per lui erano elemento intimo e fondamentale del personaggio». È stato facile immedesimarsi in Tosca? «Oh sì, mi sento molto Tosca! Anch’io sono molto gelosa e possessiva, cambio umore, idee e sentimenti con una rapidità pazzesca: un momento è tutto rosa e fiori e l’istante dopo basta un nonnulla per scatenare la tempesta». Tempestoso fu anche il suo debutto alla Scala. «Accadde tutto rapidamente: in poche settimane i fischi per Pagliacci e per Tosca con le regie di Martone e Bondy. Pensavo che l’abbinamento fosse beneaugurante, Pagliacci fu il primo spartito che portai in casa quando ebbi imparato a leggere le note; e invece... Rimasi impressionata, al mio fianco c’erano mostri sacri come José Cura, Jonas Kaufmann, Bryn Terfel, nessuno era risparmiato; ma è stata un’esperienza che mi ha rafforzato. Capisci che devi dare tutto; e infatti quest’anno son tornata con Tosca ed è andata decisamente meglio». E all’Arena? «Beh, rispetto alla Scala è molto diverso; alla Scala o a Parma c’è il vero pubblico italiano, appassionato, esigente, che esalta o distrugge. A Verona si trovano spettatori di tutto il mondo e di tutti i generi; insomma, è un po’ un circo...». E la Tosca di Torre del Lago? «La stiamo provando, la stiamo creando e devo dire che sorprendentemente il teatro, nonostante sia all’aperto, ha una bella acustica, secca, pulita. Direi che quella di domani sarà una Tosca classica e ortodossa, tradizionale e molto raffinata: non è la Tosca nei luoghi di Tosca, non siamo a Castel Sant’Angelo ma siamo nei luoghi del suo autore, e questo mondo che ci circonda non può non influire su come si canta e suona». Enrico Parola