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 2012  luglio 19 Giovedì calendario

MILANO —

Minuta e sottile. Votata all’azione. Lei non vede i problemi, ma le soluzioni. Precisa, preparata, seria. Nessuna retorica da rilascio. Non fosse davvero così sarebbero stati dei pazzi quelli del Cisp, il Comitato internazionale per lo sviluppo dei popoli, ad affidare alla cooperante sarda rapita la notte tra il 22 e il 23 ottobre e liberata ieri, il coordinamento dei programmi di assistenza umanitaria nel campo profughi di Hassi Rabuni, nel Sudovest dell’Algeria. «Rossella è una roccia. Lo è sempre stata. Dopo questa brutta storia lo sarà ancora più di prima», quasi urla la figlioccia Francesca Loi mentre intorno a lei le campane hanno cominciato a suonare a martello: la notizia è appena arrivata a Samugheo, il paese dove Rossella Urru è cresciuta e dove vivono i genitori, papà Graziano, comandante dei vigili urbani, e mamma Marisa, dirigente dell’ufficio tecnico comunale, uniti nel riserbo in questi nove mesi di angoscia, solidali con gli altri due figli, entrambi più giovani della primogenita: Fausto, fotografo in Francia, e Mauro, studente.
Rossella dopo il Classico a Oristano si è laureata a Ravenna in cooperazione internazionale. Francese, inglese e spagnolo parlati correntemente. Il futuro scritto nella tesi, sul mondo saharawi. Fidanzati? Non pervenuti. Il lavoro come unico pensiero. «Lei crede molto in quello che fa: è professionale e allo stesso tempo umanamente coinvolta. Si documenta. Si rende disponibile a fare cose pratiche, tutte, anche quelle che non le competerebbero», racconta Paolo Dieci, direttore del Cisp, l’uomo che nell’affidarle l’incarico biennale nel 2009 è rimasto conquistato da due cose: «Il background culturale e l’esperienza sul campo».
Rossella era già stata in Algeria per conto della Regione Emilia Romagna, conosceva la difficile realtà dei campi profughi, sapeva come muoversi. «Il paradosso di questo sequestro è che hanno rinchiuso una donna libera, priva di preconcetti, intellettualmente indipendente», aggiunge Dieci.
Che non avesse altri pensieri oltre all’Africa lo confermano le amiche. Raffaella, Monica, Alessandra, tutte di Samugheo, ricordano: «Anche se tornava in paese aveva sempre la testa di là, ai campi profughi. Diceva: "Non si ha idea di quanto soffrono, hanno bisogno di tutto"». Tutti gli interessi marcatamente saharawi: le letture, la musica etnica, quel pensiero fisso che non spariva neppure in vacanza, Natale o Pasqua.
«Finalmente l’ho sentita, che gioia. Era felicissima di essere di nuovo libera, sta bene», ha spiegato rapidamente papà Graziano a don Alessandro Floris, il parroco, e ad Antonello Demelas, il sindaco di Samugheo. Quest’ultimo si sta già preparando ad accoglierla: «Sarà la festa più bella mai fatta finora, perché questa è la gioia più grande per il nostro paese».
Mamma Marisa, «emozionatissima», ha ammesso, parlando con la deputata del Pd Caterina Pes, di essere stata preallertata dalla Farnesina già martedì. «Ci hanno detto che dovevamo partire per Roma, ma senza dirci il perché. Abbiamo capito che si era mosso qualcosa, ma non sapevamo in quale direzione. Non vedo l’ora di riabbracciare mia figlia».
Già oggi. Finalmente.
Alberto Pinna
Elvira Serra