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 2012  luglio 18 Mercoledì calendario

VESUVIO, LA SOAVE SPADA DI DAMOCLE - «O

venerabile montagna. Più bella e dolce e morbida di quante mai ho vedute. Stai materna chioccia pacifica a tutela di questo mare, di questa terra, di questa città. Dove mai aveva il capo Leopardi quando ti chiamò "formidabil monte" e "sterminator Vesevo"?». Così Alberto Savinio, dalla nave che lo portava a Capri, salutava il Vesuvio. E certo, a guardarlo tutto azzurro in una delle tante belle giornate napoletane, merita tanta ammirazione. Anche io, guardando la linea delicata dei suoi fianchi e la posa indolente con cui si staglia sullo sfondo del golfo, ho pensato, nientedimeno, a Paolina Borghese, del Canova, sdraiata sulla sua dormeuse!
Chi lo direbbe che quella montagna, che si mostra in posa così seducente, contiene in sé una forza mostruosa, una capacità distruttiva pari a quella di un’atomica, e chi lo direbbe che quella sua apparente sonnolenza è invece la sonnolenza di una belva che, se destata, ti divorerà. E mi domando dove mai aveva il capo Alberto Savinio quando chiama lo «sterminator Vesevo» di Leopardi «dolce chioccia pacifica» e nume tutelare della città.
La verità è che a Napoli, la città bifronte, la città che ha due facce come il dio Giano, è facile essere abbagliati e respinti, e anche il Vesuvio si presenta allo sguardo con questa ambiguità. Finge e illude, come la strega cattiva delle favole, presentandosi nelle vesti di una donna bellissima, e questo dura da molto tempo, tanto che i napoletani si sono abituati alla sua docilità. Lo trattano come un elemento del paesaggio, che fa parte della bellezza del panorama, si abbandonano alla sua seduzione, si fidano, e tanto si sono fidati che ai piedi del Vesuvio hanno costruito paesi e città che per numero di abitanti raggiungono i settecentomila.
Invano si è cercato con varie proposte e lusinghe di allontanare qualcuno di quegli abitanti dalla sua casa, ma è stato inutile. I napoletani sono spensierati su questo punto, non credono che il Vesuvio li tradirà, e chi pensa il contrario è per loro uno iettatore, un menagramo. Ma i vulcanologi sono di parere contrario, dicono che non si sa quando, ma è certo che il Vesuvio si sveglierà, e che sarà terribile, perché il Vesuvio, tra i tanti vulcani dormienti, è quello che ha più forza inesplosa, ed è uno tra i più temibili.
Di fronte a questo stato di cose, che mette Napoli in una posizione di incertezza maggiore di quella dello Stato d’Israele sotto la minaccia dell’atomica iraniana, sembra strana l’apparente indifferenza dei napoletani. Poco si dice su cosa si farà se la catastrofe temuta si verificherà; poco si sa di come avverrà l’evacuazione della popolazione, quella della zona rossa, più esposta alla furia del vulcano; dove andrà questa gente, quali strade di fuga percorrerà, quanto tempo avrà a disposizione per fuggire, chi l’accoglierà. Certo la cosa non avrà le dimensioni, pur terribili, dei recenti terremoti, sarà qualcosa di biblico, che non si può nemmeno immaginare.
Tra le tante disgrazie che affliggono Napoli bisognerà mettere in conto anche questa? Man mano che il tempo passa si è insinuata nella mente di alcuni napoletani, più nervosi o più preveggenti, una specie di sotterranea ossessione, e c’è chi scrive continue lettere alle autorità, anche europee, per attirare l’attenzione su questi problemi, o chi cerca in vari modi l’appoggio dell’opinione pubblica per smuovere l’inerzia di chi dovrebbe «fare qualcosa». Giorni fa, il 4 luglio, ne ha parlato sul «Corriere della Sera» Gian Antonio Stella, io stesso ne ho scritto qualche volta. Ma a che serve? È diventato, per alcuni, perfino banale accennarvi. Un napoletano più fatalista degli altri, da me interrogato sull’argomento, mi ha risposto infastidito: «Un’eruzione? Potrebbe essere una soluzione».
Raffaele La Capria