Arianna Ravelli, Corriere della Sera 18/07/2012, 18 luglio 2012
«IL MIO PRIMO BACIO DIMENTICATO»
«Noi adulti ci dimentichiamo di quanto possono innamorarsi i bambini, un po’ come i protagonisti di Peter Pan si dimenticano di saper volare. Siamo portati a pensare che l’amore sia un’esperienza adolescenziale. Non è vero, una "scoppola" prima, la prendono tutti. Ed è tanto profonda perché il desiderio e la passione restano incompiuti e difficili da razionalizzare». Michele Mozzati, la metà coi baffi di Gino&Michele, lo ha scritto e lo ha vissuto: in pagina, l’amore da bambini fa una comparsa nel romanzo della coppia di autori milanesi «Neppure un rigo in cronaca». Nella vita, la sua prima «scoppola» la racconta ridendo «come uno che ama molto le donne e ora ha raggiunto la tranquillità, perché quello che avevo da dare in sofferenza l’ho dato in abbondanza».
L’ambientazione è la Milano della fine degli anni 50-inizio anni 60, le lunghe giornate d’estate in strada attorno a piazza Grandi («che adesso è semicentro e allora era semiperiferia»), i giochi con i bussolotti («la carta da mettere nella cerbottana, ma in ogni quartiere si chiamava in modo diverso»). «Il primo grande amore l’ho vissuto tra le elementari e le medie. Ma lei "amava" un altro bambino. Il classico bambino che c’è in tutte le compagnie: sapeva fare tutto. Negli anni 50 praticava già il karate, che allora si diceva karaté. Sapeva l’inglese come un madrelingua, era figlio di due professionisti, mentre io di un maestro elementare e una direttrice di scuola materna. Lei era innamorata perdutamente. Io molto competitivo. La storia del primo amore è anche quella del primo odio». «Sopraffatto nel confronto, un giorno provo a dargli uno schiaffo. Lui con una mossa di karate mi sbatte per terra stringendomi il collo tra le ginocchia. Ecco, quest’immagine di me, immobilizzato, davanti a lei, non la dimenticherò mai». L’amore e la rivalità continuano le estati successive. «Estati lunghissime e torride, passate in strada tra giugno e luglio perché in ferie si andava ad agosto. Un pomeriggio — frequentiamo le medie — si diffonde la notizia clamorosa: lei l’ha lasciato perché l’ha beccato con un’altra. Forse per volere divino, quel giorno si scatena un acquazzone memorabile. Ci ripariamo nel mio palazzo e io ho la malaugurata idea di portarla in solaio. Ricordo ancora perfettamente l’odore della polvere bagnata. Insomma, ci baciamo. È stato forse il mio primo vero bacio, è durato un quarto d’ora, non sapevo neanche cosa facevo, sentivo i campanellini, suonava tutto». L’happy end, però, non è previsto. «Scendiamo facendo finta di niente, io con in testa il trofeo della vita. Passano due ore, in cui lei fa in tempo a raccontarlo a un’amica e l’amica a dirlo al fidanzato. Che arriva: lei si difende dicendo che io l’avevo costretta, figurarsi. Lui minaccia di menarmi, io racconto la verità, ma nessuno mi crede. Volevano rimettersi assieme, la donna doveva tornare santa e a me affibbiano il ruolo di pallista. Millenni dopo l’ho rivista, ormai sessantenne, e le ho dato della stronza: neanche se ne ricordava».
Quella sofferenza segna la prima parte della vita sentimentale di Michele. «Ci ho messo un po’ a capire che avevo qualche arma con le donne. E prima di imbattermi in questa specie di odierna età adulta e serena, conquistare le ragazze era diventato quasi una necessità per dimostrare a me stesso che non ero poi così male». Un po’ di rivalsa, condita da molta intraprendenza, come nel periodo del «Pensionato universitario femminile»: «A vent’anni conoscere ragazze non è uno sport, è un’esigenza. E, vicino a piazzale Corvetto, c’era questo pensionato autogestito dalle studentesse, il mitico Puf. Ci capitai per caso, conquistai la loro fiducia e feci felici molti amici. Nacquero perfino amori che durano ancora oggi». Si è trasformato in un conquistatore seriale? «Per paura di diventarlo e non amare per nulla, mi innamoravo sempre come una bestia, anche nelle storie di un giorno. Così ero sempre infelice, anche quando gli amici mi pensavano contento. Ma soffrire mi ha fatto crescere. Dietro la scrivania tengo una frase del pittore Enrico Baj: "A dipingere ci si sporca le mani". Con l’universo femminile è uguale, non puoi sfiorarlo, devi capirlo, viverlo a fondo, senza risparmiarti».
Arianna Ravelli