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 2012  luglio 18 Mercoledì calendario

LA SVOLTA CIVICA SENZA COMPLOTTI

Se l’avesse contestata un polentone, apriti cielo! Manco le Sacre Reliquie di Santa Rosalia sono mai state intoccabili quanto l’autonomia siciliana.
Che questa venga oggi messa in discussione proprio da tanti siciliani coscienti dei disastri commessi ostentando il feticcio della specificità isolana è una svolta benedetta.
Vogliamo rileggere quanto scrisse un grande meridionale come Gaetano Salvemini? «I governi italiani per avere i voti del Sud concessero i pieni poteri alla piccola borghesia, delinquente e putrefatta, spiantata, imbestialita, cacciatrice d’impieghi e di favori personali, ostile a qualunque iniziativa potesse condurre a una vita meno ignobile e più umana». Un’analisi spietata: «Qualunque gruppo di uomini onesti di qualsiasi partito avesse voluto mettere un po’ di freno alla iniquità di una sola fra le clientele che facevano capo a un deputato meridionale, era sicuro di trovarsi contro tutta la marmaglia compatta».
Decennio dopo decennio, nonostante la presenza in politica anche di tante persone perbene e generose, quel patto scellerato con una certa razza di uomini di potere è stato via via rinnovato da troppi governi. Compresi quelli con la Lega Nord: senza i voti isolani, come più volte ha spiegato Ilvo Diamanti, la destra non avrebbe mai vinto a Roma e Maroni non sarebbe mai entrato al Viminale. Lo sapeva lui e lo sapevano quanti, laggiù, teorizzavano come Raffaele Lombardo che «la Lega fa il suo mestiere: siamo noi che dobbiamo fare il nostro». Loro tirano di là, noi tiriamo di qua. Opposti egoismi.
Ogni appunto, ogni critica, ogni denuncia giornalistica è da sempre occasione per repliche piccate. L’Ars costa troppo? «È il più antico Parlamento d’Europa!» Un consigliere prende quanto un senatore? «Non siamo consiglieri, siamo “deputati” regionali!» Il presidente d’una commissione può guadagnare 17.476 euro netti al mese contro i 13.823 lordi del segretario generale dell’Onu Ban Ki Moon? «Uffa, l’antipolitica!».
E via così, per anni. Basti ricordare la reazione stizzita di Totò Cuffaro all’inchiesta dell’Economist che definiva la Sicilia «il terzo mondo dell’Ue»: «In Sicilia siamo avvezzi agli attacchi interessati». Il suo successore attuale, davanti a una vignetta geografica dello stesso settimanale con la parola «Bordello» sull’isola, andò oltre: «Il newsmagazine britannico, espressione tradizionale dei poteri forti di quella globalizzazione senz’anima che sta distruggendo l’economia mondiale…».
Stavolta no, non è facile gridare al complotto nordista. È siciliano l’imprenditore Ivan Lo Bello che ha acceso la miccia denunciando il rischio che «la Sicilia diventi la Grecia dell’Italia» e invitando Monti a «mettere mano ai conti della Regione». È siciliano Maurizio Bernava, il segretario della Cisl che ha chiesto al governo di commissariare l’isola spiegando che «il peccato originale è la troppa autonomia con poca responsabilità che s’è tradotta nell’uso scellerato, clientelare, elettorale delle risorse». È siciliano Giovanni Coppola, il procuratore della Corte dei Conti che picchia duro sui bilanci regionali. È siciliano il commissario dello Stato Carmelo Aronica, che impugnando un sacco di provvedimenti è la bestia nera dei politici clientelari.
E poi è siciliano Giacinto Pipitone che sul Giornale di Sicilia ha dato la notizia che la Ue ha segato 600 milioni di contributi finché non saranno spazzati via regalini tipo i 50 mila euro europei dati per la ristrutturazione di un bar. Sono siciliani Emanuele Lauria ed Enrico Del Mercato che nel libro La zavorra hanno messo sotto accusa la classe dirigente locale. E ancora è siciliano Alfio Caruso, furente nei suoi pamphlet contro quei mestieranti che militano, a destra e a sinistra, nel «Pus», il Partito unico siciliano.
Perché questo è il punto: a tirar fuori dai guai la Sicilia possono essere solo i siciliani. Diversi, però.
Gian Antonio Stella