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 2012  luglio 18 Mercoledì calendario

La seconda vita del batterio di 500 milioni di anni fa - Sembra fantascienza ed è realtà. E chissà quanto affascinerebbe Charles Darwin

La seconda vita del batterio di 500 milioni di anni fa - Sembra fantascienza ed è realtà. E chissà quanto affascinerebbe Charles Darwin. Per farsi un’idea dell’eccezionalità dell’evento basta la definizione, enfatica e un po’ stordente: «Evoluzione paleo-sperimentale». Stavolta i ricercatori sono riusciti a resuscitare un gene antico 500 milioni di anni (comparso nella famosa era del Cambriano, quando la vita esplode, diventa complessa e poi clamorosamente si riduce ai minimi termini) e l’hanno inserito in uno dei batteri più comuni, l’Escherichia coli, che vive nell’intestino di molti animali e anche nel nostro. Scopo di questa avventura avanti e indietro nel tempo è osservare come funziona l’evoluzione. Dal vivo. Al di là di teorie e simulazioni. «Il nostro esperimento è quanto di più avanzato ci sia per riavvolgere e riprodurre il nastro molecolare della vita - ha spiegato Betül Kaçar, astrobiologo del “Center for ribosomal origins and evolution” della Nasa - . Osservare un gene arcaico in un organismo contemporaneo, mentre si trasforma all’interno di una cellula, ci permette di capire se la sua traiettoria evolutiva si ripete e si ripeterà immutata oppure se è l’organismo ospite ad adattarsi, seguendo un percorso diverso». Il test è in corso e ha già spiato il frenetico succedersi di un migliaio di generazioni: è noto che l’E.coli è una macchina biologica perfetta per studiare le metamorfosi della vita in base a specifici vantaggi adattativi e, infatti, è da tempo (a dispetto della poco raccomandabile provenienza) uno scintillante protagonista di laboratorio. Ma è la prima volta che si lascia manipolare così in profondità, trasformandosi in una chimera e, quindi, è facile capire come l’eccitazione per decifrarne le reazioni sia al massimo. Tutto è cominciato quando il team ha piazzato il gene nel batterio e ha prodotto otto ceppi identici, dando il via al processo evolutivo. Il nuovo organismo è sopravvissuto al «trapianto», ma all’inizio è cresciuto due volte più lentamente della controparte moderna. «La nostra creatura non era così sana o adatta, almeno nelle prime fasi - ha spiegato il leader della ricerca, Eric Gaucher -. Ma è stata proprio questa condizione a creare uno scenario perfetto, permettendo all’organismo di adattarsi e diventare via via più forte, mentre accumulava mutazioni, giorno dopo giorno». E infatti il tasso di crescita è un po’ alla volta aumentato e, dopo le prime 500 generazioni, sono stati sequenziati i genomi delle otto linee originarie per osservare come il batterio si fosse adattato. Si è scoperto che non solo l’«efficienza» della chimera si era ormai avvicinata ai livelli del parente attuale, ma che alcune sue discendenze sono addirittura diventate più robuste. Qual è la spiegazione? Il team della Nasa l’ha trovata curiosando nel gene trapiantato, noto come EF-Tu: la versione primordiale era stata decifrata nel 2008 dallo stesso Gaucher, che gli aveva attribuito il ruolo di «centrale energetica» di tutti i batteri. Ora si è avuta la prova che in nessuna delle otto linee dell’E.coli l’intruso è cambiato. Al contrario a mutare sono state le proteine moderne che interagiscono con l’EF-Tu arcaico e sono proprio queste metamorfosi la causa del rapido processo di adattamento del nuovo batterio. In altre parole - sottolineano i ricercatori - il gene non ha fatto nessun tentativo di assomigliare al pronipote attuale, semmai è stato il batterio a seguire un inedito sentiero evolutivo, adattandosi allo strano habitat in cui l’hanno costretto i tecnici di laboratorio del Georgia Institute of Technology. E adesso? Il bello deve ancora venire. E l’ha spiegato così Kaçar: «Vogliamo scoprire se un organismo “limita” il proprio futuro e le leggi evolutive conducono sempre a un esito predefinito o se, invece, prevedono soluzioni multiple». Darwin sarebbe davvero emozionato.