Anna Bandettini, la Repubblica 18/7/2012, 18 luglio 2012
GIGI PROIETTI
Alle code i suoi fan ci sono abituati, ma ora sono due sere speciali, dunque c’è fretta di accaparrarsi un biglietto, i non molti rimasti degli oltre seimila disponibili. Tra una
Norma
di Bellini (dal 21) e un
Attila
di Verdi (dal 31), il 30 luglio e il 6 agosto Gigi Proietti si esibirà, ospite per la prima volta dell’Opera di Roma, in uno dei luoghi più magici della capitale, alle Terme di Caracalla: una consacrazione — se ancora ce ne fosse bisogno — e una nuova versione del suo one-man-show (s’intitola
Una serata con Gigi Proietti),
struggente, divertente, fatto di risate e pensieri, musica e pezzi di teatro, Eduardo e Shakespeare. «E visto che siamo a Caracalla, non potrò non fare Toto, l’antico romano che fa la
saùna,
nato trasformando spettacolo dopo spettacolo uno sketch a due su Bruto e Cassio. E sono i più belli i personaggi nati in scena».
Per chiunque ami il teatro Gigi Proietti è una figura luminosa. Si avvicina ai 72 anni e ai 50 di scena (nel 2013) di ottimo umore: alto, bello, simpatico, uno dall’apparenza dolce che non si lascia schiantare da nessuno. Ha fatto 42 film, 33 sceneggiati, 50 spettacoli, 40 regie teatrali, 22 dischi, 9 regie liriche, tre spot pubblicitari, ha dato la voce a Paul Newman, Kirk Douglas, Sylvester Stallone, Marlon Brando, Gregory Peck... Non ci sta a passare come una gloriosa reliquia del passato. Dunque è infaticabile, multiforme: in autunno lo vedremo in
In nome del papa re,
due puntate di Luca Manfredi sulla Rai, nei panni di Don Colombo, il ruolo di Nino Manfredi nel film carico di fervore risorgimentale di Luigi Magni; poi progetta di dirigere teatri e attori, di stare dietro la macchina da presa, di fare un film tv da Dickens, di firmare per la nuova stagione una regia da
L’uomo la bestia e la virtù
di Pirandello, di riaprire una scuola di teatro per giovani come fece già dal 78, di affrontare finalmente i miti greci, di fare teatro per i bambini... Incrocia i propositi a storie, ricordi, frasi di amici e, da dietro la scrivania dell’austero studio vicino alla sede Rai di viale Mazzini a Roma, fumando l’immancabile sigaretta, conquista l’ascolto come a teatro.
Il one-man-show in Italia l’ha inventato lei nel ’76 con
A me gli occhi, please.
Da Fiorello a Brignano quanto le devono?
«Beh, credo molto, anche se loro fanno cose più comiche.
A me gli occhi...,
per esempio, non era uno spettacolo comico, anzi era molto duro. C’era il fattaccio romanesco e la storia blasfema di Laforgue, Petrolini e un pezzo di jazz, brani di Roberto Lerici... L’idea era semplice: assemblare linguaggi diversi, cosa che faccio ancora adesso con altri autori. E ha senso farlo da soli altrimenti diventa il varietà. Ma nacque tutto per caso. L’impresario Gigi Molfese aveva messo un tendone in piazza Mancini a Roma e aveva un buco nella programmazione. Il mio doveva essere uno spettacolo solo per qualche sera. La prima ero nella roulotte, mi truccavo, fuori c’erano sette leonesse rimaste lì perché il tendone era di un circo fallito: mangiavano tonnellate di carne, e durante lo spettacolo
siccome c’era una nota di una canzone che le innervosiva, ruggivano come matte... Un’esperienza che auguro a tutti. Dicevo, mi truccavo, vennero la mia compagna e Roberto Lerici a dirmi che c’era la fila. Io non ero ancora un nome da chiamata, eppure era vero.
A me gli occhi, please,
fu una di quelle cose che portano bene, una specie di miracolo. Doveva durare poco, durò anni e venne un sacco di gente, compresi Dario Fo, Fellini, Gassman...».
Perché funzionò così bene da subito secondo lei?
«C’era arte affabulatoria e comicità, cultura alta e cultura bassa
anche se allora c’era anche chi storceva il naso. Ma chissene... era una festa popolare. Io non ho mai capito la differenza tra teatro colto e teatro popolare, tra teatro commerciale e teatro d’alternativa ».
Lei l’ha pure fatta l’avanguardia.
«Dopo il teatro universitario lavorai con Carlo Quartucci al teatrino del 101 a Roma frequentato da Corrado Augias, Franco Quadri, Moravia. A volte eravamo tre in scena, 6 o 7 in sala. Ma il teatro tradizionale era così logoro che andava cambiato. Allo Stabile dell’Aquila con Antonio Calenda
e poi con Cobelli facemmo un sacco di cose belle. Fino al salto definitivo nel teatro tradizionale quando Garinei e Giovannini mi chiamarono, al posto di Modugno in
Alleluja brava gente.
Io nemmeno sapevo dove fosse il Sistina. Ma il successo fu enorme, inaspettato. Mi gratificò e mi fece male... Avevo 29 anni: che fare? Ricominciare con le cose di prima o cambiare? Mi sostennero gli amici, Vittorio Gassman e anche Carmelo Bene con cui feci poi la
Cena delle beffe
portandolo proprio al Sistina. Carmelo era troppo simpatico. Io lo prendevo in giro: “Carmelo, è che tutte le sere
Schopenhauer...”. Aveva scritto un film, che non fece, su San Giuseppe da Copertino dove io avrei dovuto fare il diavolo. Un copione di una poesia... Chissà che fine ha fatto».
Adesso che sogni ha?
«Ho aperto tre teatri a Roma, di fatto lanciato la tenda, ho fatto rinascere il Brancaccio... Più che a recitare ho preso gusto a inventarmi i luoghi».
Vuole aprire un nuovo spazio?
«È un pensiero. Dirigo il Globe a Roma e nessuno avrebbe giurato su un teatro che fa solo Shakespeare e in maniera tradizionale come voglio che sia per chi non conosce il Bardo. L’anno scorso 45 mila presenze e l’altra sera c’era il teatro pieno e 450 persone fuori. Ma è all’aperto. Abbiamo pensato a una copertura per allargare i mesi di programmazione almeno da maggio a ottobre. Se invece si trovasse uno spazio che uno adatta magari per fare anche un centro studi shakespeariani... Insomma se capita l’occasione, non me la faccio sfuggire. Magari con l’aiuto di un privato. Per me fare politica è questo».
Le piacerebbe fare politica?
«Me lo hanno chiesto da entrambe le parti. Ma io sono un cane sciolto. Più sciolto che cane».