ANDREA MALAGUTI, La Stampa 17/7/2012, 17 luglio 2012
Lucian Freud e Big Man scommesse incrociate - Successe tutto quando Lucian Freud incontrò Alfie McLean, The Big Man, alla fine degli Anni Sessanta
Lucian Freud e Big Man scommesse incrociate - Successe tutto quando Lucian Freud incontrò Alfie McLean, The Big Man, alla fine degli Anni Sessanta. Il nipote di Sigmund era già una celebrità. Aveva quello sguardo ipnotico e un po’ diabolico che poi trasferiva sulla tela. Le sue donne erano graffi maligni nella coscienza di un’Isola di benpensanti. Ma Alfie, irlandese di Ballymena, nella Contea di Antrim, non si curava dei pudori del mondo. Era un uomo d’affari, lui. Campava raccogliendo scommesse. Tutto legale. Un negozio, poi una catena. Aveva sempre avuto un certo fiuto. Quando conobbe Freud aveva appena comprato la sua prima Bentley. E di questo parlarono. Della macchina. Anche il pittore ne aveva una. Grande passione le auto. Mandavano fuori di testa entrambi. Anche se poi erano altri i motori che rapivano i loro cuori: le zampe dei cavalli. Li consideravano animali molto britannici. Maestosi. Potenti. Eleganti. Con arti fatati e fragilissimi. «Mi piace scommettere su quelle bestie. Si portano dentro il vento», disse il nipote di Sigmund. Sembrava solo una frase buttata lì. Fu l’inizio di una storia. Alfie lo guardò con una simpatia rapace e poi di passaggio, con distacco, come se non avesse alcun interesse, gli parlò del suo mestiere. «Se ti piace scommettere puoi farlo con me». Era un omone antico, con le mani grandi che sapevano di terra. Un contadino di cui ci si poteva fidare. Freud si fece un gran risata e gli disse: «Perché no». In qualche modo diventarono amici, se si può definire amicizia una relazione in cui uno scommette compulsivamente e perde e l’altro accumula crediti che neanche il Casinò di Las Vegas. «Non preoccuparti, poi mi paghi». A un certo punto il debito diventò valanga. Quasi tre milioni di sterline. Alfie lo sapeva che stava mungendo una mucca d’oro. La fama di Freud cresceva più dei suoi debiti. Per giunta Lucian gli aveva presentato un amico di Soho, pittore pure lui. «Questo è Francis Bacon, Alfie, e i cavalli gli piacciono quasi più che a me». L’avevano fatto entrare nel giro. E anche Bacon puntava e perdeva. L’irlandese li rassicurava, offriva birra e amicizia. Soprattutto era discreto. Non l’aveva raccontato a nessuno di quel suo vantaggioso triangolo. Si era giusto tolto uno sfizio ribattezzando uno dei suoi cavalli FreudBacon. «Perché Alfie?». «Due geni inglesi, no?». Se la cavava così. Un giorno Freud si rese conto che si era lasciato prendere la mano. Così telefonò al suo gallerista di New York, William Acquavella. Gli disse che era nei guai. L’altro trovò la soluzione. «Tranquillo Lucian, ci penso io». Chiamò l’irlandese e gli spiegò quanto fossero alte le quotazioni dei quadri del suo cliente. Una progressione vertiginosa destinata a non fermarsi mai. L’irlandese ringraziò e riattaccò la cornetta. Il sottotesto gli era chiaro. Da quel momento si fece pagare in tele. Non qualunque. Personalizzate. Da Bacon e da Freud. Lucian fece i ritratti a tutta la sua famiglia. Il più riuscito fu forse quello dei figli Sam e Paul, seduti uno di fronte all’altro. Uno con la panza e la cravatta gialla. L’altro con questa faccia da emigrante di successo. Furono in tutto ventitré. Quando Alfie morì divise il suo testamento in due. I soldi alla moglie. I quadri ai figli.I soldi erano una montagna: 118 milioni di sterline. Oh sì che ci sapeva fare. E i quadri? Solo quelli di Freud ne valevano altri cento. Quattro milioni di più dell’eredità complessiva che Lucian lascerà ai suoi eredi abbandonando definitivamente la terra il 21 luglio 2011. Come se per metà della sua vita avesse lavorato solo per l’irlandese. La moglie di Alfie, Wilma, oggi racconta che tra i due c’era un legame sincero. Dice che Alfie era un vero amante dell’arte. Giura che la capiva. «Di più, la sentiva». Doveva averne sette o otto di sensi, Alfie. E tutti quelli in più lo portavano direttamente in banca. Sam e Paul vivono ancora a Ballymena. Due villette non troppo grandi. Vicine. I quadri li tengono chiusi in un caveau. Ma fanno una vita apparentemente ritirata. E anche loro raccolgono scommesse. Giusto dal parco auto si capisce che hanno la grana. Maserati, Mercedes, Suv, naturalmente la Bentley. Gentile omaggio della creatività inquieta di un genio di origine tedesche e passaporto inglese. Un uomo terrorizzato dall’idea di vivere in un mondo immobile. Senza primavere e senza risvegli. Gli capitava di pensarci quando di notte aveva paura di sé e aveva paura di Dio. E così, per esorcizzare entrambi, se il pennello non gli dava una mano, il giorno dopo chiamava l’amico Alfie: «Ho un cavallo buono Big Man».