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 2012  luglio 17 Martedì calendario

Come fossi una bambola Ora si gioca con la “mini-me” - Rosa. Nel marasma impazzito di questi giorni che anticipano i Giochi , il negozio infilato nel cuore di Westifield - il centro commerciale al confine con il Parco Olimpico - piomba addosso alle migliaia di visitatori come un enorme confetto per bambine dai tre ai dodici anni

Come fossi una bambola Ora si gioca con la “mini-me” - Rosa. Nel marasma impazzito di questi giorni che anticipano i Giochi , il negozio infilato nel cuore di Westifield - il centro commerciale al confine con il Parco Olimpico - piomba addosso alle migliaia di visitatori come un enorme confetto per bambine dai tre ai dodici anni. Si chiama My London Girl store. Ed è la nuova mecca del consumismo giocattolaro londinese. Una strana fionda commerciale che ti trascina ambiguamente nel passato prima di catapultarti in un pianeta ipnotico in cui il tempo è definitivamente sospeso. Comunque alle casse c’è la fila. Né smartphone, né computer. Niente ologrammi o tecnologie sofisticate. Semplicemente bambole alte 46 centimetri rese identiche a chi le compra. Cloni. Gemelle innaturali. Doppi di plastica. Si chiamano «mini-me» e ce ne sono di ogni tipo. Quarantaquattro sfumature di occhi e di pelle. Trenta diversi tagli di capelli. Le bambine entrano e si portano via quella che sembra loro. E se la somiglianza non è abbastanza precisa ci sono parrucchieri pronti ad accorciare il caschetto, a rifare la frangia, a spostare la riga. «Meglio che mia figlia giochi con una sorella fatta come lei piuttosto che passi le ore su Facebook», sostiene la trentanovenne Louise Gill. Forse. Ma siamo di fronte a un improbabile ritorno all’antico o all’ennesimo modo per stimolare il narcisismo infantile? In ogni caso la pazzia, o il genio, di questa storia, nasce a Chicago nel 1998, dove la compagnia American Girl decide di puntare su un prodotto talmente personalizzato da sembrare lo specchio di chi l’acquista. Più che un boom è una mania. Venti milioni di pezzi venduti in tredici anni. Tra bambola e bambina non c’è differenza. Nell’aspetto. Ma anche nell’abbigliamento. Il vestito che si mette lei lo puoi comprare anche tu. E così le scarpe. La borsetta. Il fermacapelli. E alla fine non è più chiaro se è lei ad essere umana o tu a essere un gioco. Inevitabile il salto in Europa, dove Londra è solo il primo passo verso l’invasione. Spaventoso? Un filo inquietante. Eppure Kathryn Neagle, che gestisce il negozio sul Parco Olimpico, dice che si tratta di un ritorno ai valori tradizionali. «Le bambole sono l’unico giocattolo che rappresenta un essere umano. E le ricerche provano che è vitale per lo sviluppo intellettuale ed emotivo dei bambini questo tipo di interazione». Davvero è un dettaglio se il confronto è con qualcuno che invece di essere «altro da te» è la tua manipolabile essenza plastificata? E quanto costa questo supposto stimolo educativo? La bambola 79 sterline, circa 95 euro. Poi ci sono i vestiti. Che per la «mini-me» vanno dalle 25 sterline in su e per la bambina 35. A parte gli accessori. La professoressa di liceo Annie Groweld per bambola e dintorni ha speso 400 sterline. Ma sua figlia Grace, 5 anni, è al settimo cielo. «Queste non sono Barbie. Non mandano messaggi sessuali. E non hanno neppure il seno. Grace è convinta che la sua sorellina sia reale, ma fa parte del suo normale processo di crescita». Normale. Come se la parola avesse ancora un senso.