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 2012  luglio 18 Mercoledì calendario

TANTI SPRECHI E UN DEBITO DA 17 MILIARDI COSÌ PALERMO SI AVVICINA AD ATENE


La misura della crisi finanziaria della Regione siciliana sta tutta nella decisione di alcuni dirigenti di chiudere gli uffici in orario pomeridiano: bisogna risparmiare anche sull’energia elettrica necessaria per far funzionare i condizionatori. E forse doveva per forza finire così, in un’estate resa bollente dall’afa e dalle dimissioni con il temporizzatore del governatore Lombardo, la saga della Sicilia autonomista e spendacciona. Trasformatasi, inevitabilmente, nella Grecia d’Italia. In pochi, nella storia dell’Isola protetta dallo scudo dello Statuto, avevano osato invocare un commissariamento: nelle ultime due settimane, prima dell’intervento
di Monti, l’ha fatto il numero due di Confindustria Ivan Lo Bello e persino la presidente della Corte dei conti siciliana, Rita Arrigoni, implacabile nel descrivere la Regione «come il manzoniano vaso di terracotta». Un vaso che ora rischia di spaccarsi sotto la pressione di una spesa monstre per il personale: oltre 1,6 miliardi l’anno, complessivamente, per gli stipendi dei dipendenti che hanno superato quota ventimila (la Lombardia ne ha un quarto) e per gli assegni dei 16 mila pensionati che in Sicilia sono tutti a carico del bilancio. Senza contare
lo spudorato
numero dei forestali, oltre 26 mila, e dei formatori professionali, ottomila, la metà dei quali assunti a ridosso delle due ultime campagne elettorali. Se si contano anche i dipendenti della Sanità, che grava per metà sulle casse della Regione, e una vasta categoria di precari a vario titolo, la cifra complessiva dei siciliani a foglio paga della Regione sale a 144.147. Decisamente troppi, in tempi di spending review. E la stretta che parte da Bruxelles e passa da Roma ha finito per strozzare l’Autonomia trasformata in una gigantesca macchina dello spreco. Ecco l’allarme rosso, che ha portato un assessore, Andrea Vecchio, a dire che per la prima volta sono a rischio le buste paga dei dipendenti e il responsabile del fondo pensioni della Regione, Ignazio Tozzo,
a confessare che in autunno non ci saranno i soldi per le buonuscite.
La pacchia è finita, e non basta la finanza creativa importata sotto la linea dello Stretto per uscire dall’emergenza: Lo Bello, per dire, ha puntato il dito sui cosiddetti «residui attivi» messi in bilancio dal governo Lombardo, crediti difficilmente esigibili per un totale di 15 miliardi che sono stati utilizzati per far quadrare i conti: fra questi ci sono pure 50 milioni di euro attesi da qualche lustro come «provento della vendita di oggetti sequestrati durante le battute di caccia» o 387 milioni invocati dal 1980 come rimborso per le calamità naturali di quell’anno. Tutti sanno che quei soldi non arriveranno più, ma meglio far finta di niente. E ora pesano come macigni
quei 17 miliardi di passività, cui sommare il debito da 1,3 miliardi negli Ato rifiutie quello da 800 milioni nelle partecipate in cui non sono mancate le assunzioni di amici e parenti dei politici. E aumenta l’indebitamento nei confronti delle banche, salito a oltre 5 miliardi. Per carità, non è di Lombardo la responsabilità esclusiva di 65 anni di sperperi: non fu il leader dell’Mpa, ma il suo predecessore Totò Cuffaro, ad assumere settemila precari in un solo giorno dell’estate del 2005. Ma il governatore destinatario di una frustata senza precedenti da Roma - proprio lui, l’autonomista - non ha deviato da un corso clientelare, specie sul finire di questa legislatura, facendo da dimissionario 110 nomine in 80 giorni. Al punto da far litigare l’Assemblea regio-
nale su una norma pensata solo per bloccare le sue designazioni pre-elettorali negli organi di sottogoverno, che sono giunte a premiare un detenuto. Nessuno si era accorto che non poteva insediarsi. L’allegra gestione sicula era da tempo nel mirino di Monti e dei suoi ministri (soprattutto Barca), che da gennaio hanno istituito tavoli comuni fra governo e Regione Siciliana per monitorare la spesa. A far saltare il tappo la recente decisione, da parte di Bruxelles, di sospendere il pagamento di un piano di spesa da 600 milioni: con i fondi europei, Palazzo d’Orleans voleva pagare anche la ristrutturazione di un bar e il presepe vivente di Agira (Enna). Altro che folklore, argomenti terribilmente seri, se è vero che i ritardi della Sicilia nella spesa delle risorse comunitarie
(conclusi l’8,6 per cento dei progetti finanziati) hanno trascinato l’Italia al penultimo posto, davanti solo alla Romania, nell’Europa a 27. E ora metterebbero in dubbio i 120 miliardi destinati al nostro Paese nella programmazione 2014-2020. Uno spreco che ha dato carburante all’improvviso siluro lanciato sulla sfarzosa cattedrale dell’Autonomia.