CHIARA BERIA DI ARGENTINE, La Stampa 14/7/2012, 14 luglio 2012
La scommessa del prof: così farò rifiorire Palermo - Non ho mai sognato di andarmene da Palermo come hanno fatto o sono stati obbligati a fare molti miei amici», mi spiega Giuseppe Barbera
La scommessa del prof: così farò rifiorire Palermo - Non ho mai sognato di andarmene da Palermo come hanno fatto o sono stati obbligati a fare molti miei amici», mi spiega Giuseppe Barbera. «Ho scelto di vivere in questa terra, ci sto bene; ho energia e qualche conoscenza per essere utile». Con dichiarato pregiudizio nordico interrompo il prof Barbera, 63 anni, ordinario alla facoltà di Agraria di colture arboree, uno dei massimi esperti al mondo di vegetazione e paesaggio agrario mediterraneo che, a fine maggio, ha abbandonato i suoi amati studi sul fico d’india, mandorli, limoni e capperi per diventare assessore all’ambiente-vivibilità-innovazione-diritti degli animali nella squadra guidata da Leoluca Orlando, rieletto sindaco per la 4a volta a Palermo. Cementificazione selvaggia, rifiuti, traffico; senza contare la morsa di Cosa nostra. Barbera, non crede di aver accettato una sfida impossibile? «Forse non riuscirò a rendere Palermo vivibile ma, certo, meno invivibile di come è ridotta. Questa mattina ero alla Favorita - meravigliosa quinta di verde voluta nel 1799 da Ferdinando IV di Borbone - e pensavo che nessuna città al mondo ha un parco così bello, tanto malvissuto, maltrattato, devastato. 250 ettari di macchia mediterranea di straordinaria ricchezza; giardini storici come villa Niscemi; distese di piante di mandarini. Gli agrumeti erano una fonte di ricchezza per Palermo, esportavamo i nostri frutti in America; per 50 anni tutto è stato abbandonato. Bisogna rilanciare l’agricoltura urbana, il verde non solo è bello ma utile». Ore 15 di un torrido pomeriggio palermitano. Barbera si è fatto un piatto di pasta condito con una scatoletta di tonno. «Ero affamato!», ride. «Come assessore ho triplicato i ritmi di lavoro rispetto a quelli dell’università». A un tratto la sua voce s’incrina. «Nella prima giunta Orlando grazie a Ferruccio (il fratello minore, brillante pubblicitario, scomparso all’improvviso nel 2005, ndr) la riapertura del teatro Massimo divenne il simbolo della “Primavera” di Palermo. Questa volta - come ha detto anche pubblicamente il sindaco - il simbolo della rinascita di Palermo sarà il recupero della Favorita». Forza Barbera. Suo padre, Renzo, era l’imprenditore (di latte pastorizzato Barbera sono cresciute generazioni di palermitani) assai amato presidente dal 1970 al 1980 della squadra di calcio rosanero (nel 2002 alla sua morte gli è stato intitolato lo stadio) ma Giuseppe ha sempre avuto altri interessi. Da rosso a verde. «Non volevo mettermi a lavorare con papà ma fare la rivoluzione!», confessa. Militante di Lotta Continua (a Palermo, in quei tempi, c’erano Mauro Rostagno e Vincino) Barbera jr trova un compromesso in famiglia iscrivendosi ad Agraria. «Mi sono appassionato agli studi. Il latte non mi ha più visto, sono rimasto in università». Protagonista dagli Anni 80 di molte battaglie ambientaliste; responsabile della progettazione del museo del mandorlo e del giardino di Kolymbetra, del Fai nella Valle dei Templi; autore di saggi sulla natura (tra gli ultimi per Mondadori «Tuttifrutti» e «Abbracciare gli alberi) il Barbera verde, lo studioso che teorizza di trattare gli alberi come fossero degli amici («Si devono abbracciare per affetto, per proteggerli, per ringraziarli. Gli alberi sono colonne che reggono il cielo, i nostri alleati più importanti sul pianeta») il 21 maggio aveva appena finito un nuovo libro per Sellerio. E’ la storia della mitica Conca D’Oro, un paradiso ridotto in un inferno e di come proteggere ciò che resta. «Suona il telefono, è Orlando: mi offre di passare dalle parole ai fatti. Alle primarie nessun candidato mi aveva convinto. Leoluca in soli 20 giorni di campagna elettorale ha stravinto dimostrando di avere una straordinaria sintonia con Palermo. Potevo dirgli di no?». Rifiorirà mai Palermo? Barbera mi risponde con una sicula-verde metafora. «Il fico d’india cresce in terreni difficili, ha bisogno di poca acqua; è una pianta bellissima dalla quale ti tieni a distanza ma, se hai coraggio e curiosità di prendere un frutto e sbucciarlo senza farti male, dentro troverai la dolcezza».