Luigi Dell’Olio, Affari & Finanza, La Repubblica 16/7/2012, 16 luglio 2012
POTERE D’ACQUISTO IN CALO E INCERTEZZA NEL FUTURO IL CONSUMO È CONSAPEVOLE
Cala l’affezione ai luoghi d’acquisto, cresce la domanda di consumi consapevoli e si sviluppano nuovi canali di confronto relativamente a prezzi e qualità, grazie a una maggiore consapevolezza dei consumatori e alla diffusione su larga scala di Internet. Il mondo del largo consumo è chiamato a fare i conti con i cambiamenti strutturali in atto, che a loro volta si intrecciano con le notizie negative provenienti dal fronte macroeconomico. L’Istat ha rilevato che nel primo trimestre 2012 il potere d’acquisto delle famiglie italiane è calato dell’1% rispetto al trimestre precedente e del 2% nel confronto anno su anno, mentre di pari passato è cresciuta dello 0,4% (al 9,2%) la propensione al risparmio rispetto allo stesso periodo del 2011 (restando invariata rispetto al periodo gennaio-marzo di quest’anno). Un fattore, quest’ultimo, diretta conseguenza dell’incertezza sul futuro, che spinge le famiglie a mettere da parte — laddove possibile — piccoli risparmi, in modo da poterli utilizzare in caso di ulteriore peggioramento del quadro economico. «La spesa per i beni di largo consumo è tendenzialmente anelastica, per cui anche piccoli scostamenti assumono una grande rilevanza nel mercato», spiega Romolo de Camillis, retailer director Nielsen, società che ha da poco pubblicato la nuova edizione dello studio «La spesa nell’Italia della crisi». Dal report emerge che nel primo semestre di quest’anno l’indice di fiducia è sceso a quota 45 contro i 57 punti di dodici mesi fa, con il 92% dei consumatori che non ritiene il momento attuale adatto per fare acquisti (+7% rispetto all’analoga ricerca relativa al primo semestre 2011). Al di là del trend generale, si registrano sensibili scostamenti tra i diversi beni: così, se le vendite a volumi dei cibi freschi cedono l’1%, il calo nel caso del non food arriva al 6,8%. Tra gli alimentari salgono le vendite del pane industriale, delle lenticchie secche, delle creme spalmabili, delle marmellate e dei beni legati al benessere e al salutismo (famiglia che comprende, tra gli altri, i cibi biologici), mentre calano quelle relative alla carne di vitello e manzo, ai prodotti per la cura della casa e alla categoria gratificazione e impulso, che identifica prodotti come le caramelle e i dolciumi. Il 54% dei consumatori afferma di aver ridotto la spesa agli acquisti reputati essenziali, mentre resta tendenzialmente invariata la frequenza di acquisto. «Questi dati sono il segnale evidente che non siamo alle prese con una crisi generalizzata, ma in una situazione di difficoltà che muta le scelte degli italiani», spiega de Camillis. «I consumatori rinunciano ai prodotti che reputano superflui, ma non a quelli che offrono comunque una gratificazione in termini sostanziali, mostrando una grande attenzione alla qualità e alla salubrità ». Non è un fenomeno del tutto nuovo, ma è in via di rafforzamento la crescita del private label, che in Italia è arrivato a contare per oltre il 17% nel mondo del largo consumo (con punte del 25% presso alcuni operatori della grande distribuzione organizzata), per un giro d’affari complessivo che si avvicina ai 9 miliardi di euro. «Tradizionalmente nel nostro Paese c’è sempre stato un dominio della marca industriale, a differenza dei Paesi anglosassoni dove le due famiglie sostanzialmente si equivalgono - spiega Enrico Pilat, associate partner di Kpmg -ma la situazione è cambiata negli ultimi anni perché da una parte è cresciuta l’attenzione al prezzo da parte dei consumatori, dall’altra gli operatori della Gdo hanno accelerato sull’offerta di questi prodotti, stringendo accordi con produttori locali e di prodotti tipici: due settori che reggono bene perché intercettano l’evoluzione dei gusti del consumatore, sempre più orientata ad apprezzare la qualità dei prodotti. Negli ultimissimi tempi, poi, c’è stata anche una segmentazione dei prodotti a marchio proprio, con l’obiettivo di entrare in diretta competizione con l’offerta dell’industria». Dello stesso avviso è Vincenzo Grassi, associate partner di PwC: «Siamo alle prese con una polarizzazione dei consumi, che favorisce le marche private, ma non in maniera generalizzata: il segmento premium lo scorso anno è cresciuto del 18,8% e il primo prezzo ha fatto un balzo del 27%, mentre la media del settore ha limitato il progresso al 5,9%», spiega. Un altro trend emergente è la perdita di importanza delle politiche promozionali. Secondo l’analisi Nielsen, infatti, solo il 7% delle famiglie modifica la frequenza d’acquisto per rincorrere i prezzi scontati. «In sostanza, si sceglie il punto vendita che sembra proporre i prezzi migliori del bene che si intende acquistare, ma si evita il giro dei punti vendita», commenta de Camillis. Una posizione che si ritrova nell’analisi di Grassi:«La promozione non produce più fidelizzazione perché oggi il consumatore ha maggiori possibilità di confrontare i prodotti offerti, per poi scegliere quello che per lui garantisce il migliore rapporto tra qualità e prezzo». Probabilmente su questo dato incidono anche i costi crescenti per il carburante. Un trend che mette a dura prova i margini degli operatori del largo consumo. «L’offerta sta cercando di riorganizzarsi per tenere conto dei cambiamenti in atto», precisa l’analista di Pwc, Un esempio: «Si fa leva sulle potenzialità offerte da Internet. L’e-commerce in Italia non ha ancora raggiunto i livelli di altri Paesi come gli Stati Uniti, ma può aiutare i consumatori a scegliere al meglio e i distributori a ottimizzare la gestione degli stock». Restando sul fronte dell’offerta, sembra finita la stagione delle grandi aperture. «Il presidio del territorio nazionale può dirsi a grandi linee completato - conclude de Camillis - anzi la sfida del momento è di razionalizzare la rete distributiva esistente, tagliando i rami improduttivi e cercando di far emergere valore nel resto della catena, in modo da incrementare la marginalità complessiva».