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 2012  luglio 16 Lunedì calendario

GLI ANALISTI TEMONO I CONTI TRUCCATI DI PECHINO


I dati di giugno sulla frenata cinese suggeriscono che i consumi interni della seconda economia del mondo sono più legati del previsto alla salute dell’export. Se questo soffre, vittima della crisi della zona euro, quelli non crescono. Vacilla così la teoria Usa secondo cui i consumatori cinesi dovrebbero salvare i loro colleghi occidentali, colmando un vuoto di acquisti per sostenere la produzione globale. Con una crescita della Cina sotto l’8% crescono così gli allarmi sulla possibilità del Dragone di contribuire a risollevare l’economia mondiale dalla crisi, come nel 2008. A spaventare i mercati, più della crescita cinese più bassa degli ultimi tre anni, sono però i crescenti dubbi sull’attendibilità dei dati diffusi dall’Ufficio nazionale di statistica. Gli analisti temono che i numeri cinesi siano in realtà molto peggiori e che il governo di Pechino aumenti la pressione per addolcirli: a livello interno per evitare instabilità sociali nell’anno del passaggio del potere ai vertici del partito, sul piano internazionale per non aggravare la contrazione della domanda Ue e per non togliere valore alle proprie riserve in dollari ed euro. Istituzioni e imprese straniere, allarmati dal moltiplicarsi delle contraddizioni nei dati economici cinesi, sono dunque impegnati nel costruire indici propri per misurare la crescita di Pechino. I nuovi indicatori si basano sulla produzione di energia elettrica, sul trasporto merci ferroviario e sulla costruzione di immobili. Tali dati, meno soggetti ad interferenze politiche, dovrebbero stimare con minor approssimazione la salute dell’economia cinese. Già nel 2008 la società di ricerche «Londra Capital Economics» aveva creato un proxy specifico per la Cina. A sorpresa aveva scoperto che i dati stranieri e quelli interni divergevano meno del previsto. Dall’inizio del 2012 però la forbice ha preso ad allargarsi e gli indici parlano oggi di due economie diverse. Multinazionali e investitori sostengono che i numeri cinesi vengono limati in concomitanza con periodi di forte crescita, o di rapido rallentamento e che quando più i mercati necessitano di dati certi, tanto più ricevono da Pechino analisi corrette politicamente. Il primo vizio consiste nell’esagerazione del tasso di crescita del Pil da parte degli ambiziosi funzionari locali del partito. La loro carriera dipende sempre di più dalle prestazioni economiche di villaggi, città e regioni amministrate. Ma poiché il loro potere su banche e imprese è totale, esercitano forti pressioni sulle aziende affinché si coordinino con il partito prima di diffondere i dati. Il problema nelle ultime settimane è stato colto anche dal governo centrale. Temendo di perdere il controllo della situazione reale, ha annunciato una rivoluzione nella raccolta dei numeri. Le imprese sono state invitate a inviare in modo indipendente all’Ufficio centrale di statistica i propri dati interni, «opponendosi ad ogni tentativo di interferenza». Il responsabile centrale dei rilevamenti, Ma Jiantang, si è spinto fino a denunciare che «funzionari di basso livello ignorano i princìpi della statistica e utilizzano espedienti segreti per interferire sui dati ufficiali dell’economia nazionale». Nelle ultime ore però, dopo che alcuni produttori hanno conferssato di essere stati costretti a gonfiare i tassi di crescita, anche l’indicatore dell’energia elettrica è nell’occhio del ciclone e gli analisti premono per passare all’analisi del consumo reale di petrolio e gas. In base a questo, la crescita semestrale del Pil di Pechino risulterebbe ancora più lenta del dichiarato 7,8%. Un’incertezza che globalmente pesa ancora di più del prendere atto che la Cina non può essere sempre il cavaliere bianco che salva l’Occidente.