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 2012  luglio 16 Lunedì calendario

L’UNIONE BANCARIA TRA I PALETTI DI ESM BCE


Nella dichiarazione dei Capi di Stato e di Governo del Consiglio europeo del 29 giugno 2012 sono contenuti gli elementi fondanti per la creazione di un’unione bancaria. E’ un passo determinante per contribuire a risolvere l’Euro-crisi, partendo dal riconoscimento dell’esigenza di una efficace e integrata architettura finanziaria dell’Eurozona. In assenza di un approccio olistico, l’unione monetaria e quella finanziaria sono a grave rischio. Il circolo vizioso fra banche e debito sovrano frammenta il mercato finanziario, genera pressioni potenzialmente insostenibili sui differenziali dei rendimenti dei titoli di Stato e sulla capacità delle banche di sostenere le economie in recessione. Il fondamentale rilievo di un approccio integrato a regole, supervisione e assetti del sistema finanziario era emerso a seguito della crisi del 2007-2008. Il Rapporto de Larosière lo aveva identificato, nel febbraio del 2009, indicando al Consiglio una precisa roadmap. Negli Stati Uniti, il Dodd-Frank Act del 2010 ha creato un quadro di riferimento integrato ed esaustivo. In Europa, le divisioni politiche e la mancanza di una visione concorde sulla necessità di unione fiscale e bancaria, a completamento della moneta unica, hanno sin qui impedito la costruzione di una efficace architettura. Mancano, ad esempio, tasselli fondamentali quali le riforme dei derivati creditizi OtC e delle agenzie di rating. Si tratta ora di procedere rapidamente, e bene, verso l’implementazione dell’unione bancaria.
Sono necessari diversi blocchi, che devono poter interagire in modo coordinato, efficace e tempestivo. La decisione di affidare alla Bce il ruolo di microsupervisione delle grandi banche europee è un tassello fondamentale del mosaico che deve essere composto. Il Mou (Memorandum Of Understanding) sulla condizionalità finanziaria alla Spagna, appena definito, riconosce esplicitamente la contraddizione fra i modelli di banking paneuropeo e la prevalente responsabilità nazionale per la gestione della crisi. Sottolinea, inoltre, la necessità di assetti europei di assicurazione dei depositi e di gestione e risoluzione delle crisi delle banche con rilevanza sistemica. Delineo nel seguito alcuni tratti essenziali della sfida da superare entro la fine dell’anno. In primo luogo, occorre rompere il legame tra ricapitalizzazione delle banche e taxpayers money. Ciò risponde non solo a evidenti motivi di equità e all’esigenza di contenere l’azzardo morale delle banche, ma anche alla necessità di spezzare il nesso fra rischio bancario e rischio sovrano. Il modello americano offre, al riguardo, talune utili indicazioni. Accanto al Financial Stability Oversight Council, che identifica i rischi per la stabilità finanziaria degli Stati Uniti e alla Fed, cui è stata affidata la funzione di microsupervisione delle grandi banche, è stata creata una struttura di gestione e risoluzione delle crisi bancarie (Ola, Orderly Liquidation Authority). L’Ola agisce sotto la guida del Segretario al Tesoro ed è collegata operativamente alla Fdic (Federal Deposit Insurance Corporation). Il Segretario al Tesoro può decidere di affidare alla Fdic il compito di curatore di banche che mettono a repentaglio la stabilità finanziaria, non solo nel caso di fallimento, ma anche in una situazione di pericolo con effetti avversi sul sistema finanziario. Il Fdic e le procedure dell’Ola consentono di intervenire sui diritti non solo degli azionisti, ma anche dei creditori, al di là degli impegni nei confronti dei depositanti assicurati. La Fdic può ottenere finanziamenti dal Fondo di Liquidazione (Olf) emettendo obbligazioni sottoscritte dal Tesoro. Le grandi banche sottoposte ai programmi di risanamento/risoluzione contribuiscono al fondo di finanziamento attraverso un sistema di contributi connessi al rischio sistemico generato. Mutatis mutandis, in Europa l’Esm (European Stability Mechanism), che dovrebbe avere licenza bancaria e una stretta connessione operativa con la Bce, creerebbe un dipartimento per la gestione delle crisi bancarie, accanto a quello per i rischi sovrani. Si tratta evidentemente di scelte anche di carattere politico e che mal si concilierebbero con prerogative da affidare alla Banca centrale. L’Esm potrebbe essere finanziato in parte con i proventi della Tobin tax, oltre che dai contributi delle grandi banche. La Bce diventerebbe l’autorità di vigilanza per le banche paneuropee. L’Eba avrebbe potuto svolgere questo ruolo, ma appare fuori gioco sia per motivi geografici (è basata a Londra e il Regno Unito è riluttante all’idea dell’unione bancaria, che potrebbe ledere gli interessi di Londra come piazza finanziaria globale), sia per la gestione degli stress test sulle banche rispetto alla valutazione del debito sovrano, da molti considerata inappropriata. La Bce, peraltro, dovrebbe assicurare, al proprio interno, una netta separatezza fra i compiti di supervisione (micro e macro) e quelli di politica monetaria per evitare possibili conflitti di interessi, come sottolineato, in particolare, dalla stessa Bundesbank. Dovrebbe, altresì, riconoscere che il capitale non è la sola risposta alle crisi bancarie. Eventuali aumenti di capitale in banche che continuino a esprimere livelli di redditività insufficienti a remunerare il rendimento atteso degli azionisti sono solo parzialmente efficaci, se non sono preceduti/ accompagnati da interventi di ristrutturazione volti ad accrescere la redditività sostenibile. I nuovi azionisti, infatti, non sono interessati a donare ricchezza ai detentori di debito. Inoltre, le banche in difficoltà hanno strette analogie con i “bidoni”, come spiegato dal Premio Nobel Akerlof, rendendo difficile il finanziamento sui mercati dell’equity. Né si può pensare, come detto, che debbano essere alla fine i taxpayers a pagare il conto. Questa è l’unica – peraltro importante - parte condivisibile del messaggio dei 172 economisti tedeschi contrari all’unione bancaria, pubblicato il 5 luglio 2012 su Frankfurter Allgemeine.