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 2012  luglio 17 Martedì calendario

DIO SALVI LA REGINA NON PIACE PIÙ ORA L’INGHILTERRA CERCA UN ALTRO INNO


Si può dare un inno nazionale a un popolo che non è una nazione? Bè, a un popolo forse no, ma alle sue squadre di calcio, di rugby e di qualsiasi altra disciplina forse sì. Il dilemma è originato dall’Inghilterra, che quando manda in campo i suoi giocatori non sa che cosa fargli cantare. In genere finiscono per mormorare senza troppa convinzione
God save the Queen,
non perché siano poco patriottici ma perché quello è l’inno della Gran Bretagna, non degli inglesi. Non è colpa loro se il Regno Unito risulta disunito ogni volta che compete in qualche sport di squadra, eccetto che alle Olimpiadi, naturalmente: e anche lì, a vederli lottare insieme sotto una stessa bandiera, inglesi scozzesi, gallesi e nord-irlandesi, suscitano un certo disagio, come se non fossero ciascuno al suo posto.
La responsabilità ultima è della Storia, che ha visto questa nazione nascere come Inghilterra e poi espandersi conquistando i territori vicini, con i quali condivideva la stessa isola o al massimo quella a fianco, fino a diventare appunto United Kingdom of Great Britain and Northern Ireland, sua denominazione ufficiale completa. Ma era un’unione di popoli e nazioni diverse, e tale è rimasta in ambito sportivo, come ben sanno i tifosi di calcio, abituati a vedere le “nazionali”
di Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda del Nord competere separatamente. Il punto è che, prima di ogni gara, gli scozzesi cantano
Flower of Scotland,
i gallesi cantano
Land of my Fathers
e i nord-irlandesi un analogo canto patriottico locale. Gli inglesi invece devono arrangiarsi con
Dio salvi la Regina,
che è però l’inno nazionale britannico e vale dunque (almeno in teoria) anche per Scozia, Galles, Irlanda del Nord.
Oltre a creare una certa confusione, tutto ciò ha spinto qualche mese fa il think tank British Future a lanciare una campagna per dare un inno — nazionale o meno — anche all’Inghilterra, o perlomeno appunto alle sue formazioni sportive. Fino ad ora l’iniziativa non aveva smosso molto le acque, ma ieri ha ricevuto l’appoggio di niente di meno che il primo ministro britannico, David Cameron (che almeno come inglese ha qualche titolo a occuparsi del tema, diversamente dal suo predecessore, lo scozzese Gordon Brown). Cameron ha non solo appoggiato il progetto,
ma pure detto quale dovrebbe essere, secondo lui, l’inno inglese: scegliendo
Jerusalem,
una poesia del grande poeta William Blake (1757-1827), resa cantabile dalla musica di sir Hubert Parry nel 1916, che diversamente da quanto lascia credere il suo titolo non riguarda Gerusalemme bensì l’Inghilterra («Non cesserò di combattere finché non avremo costruito Gerusalemme nella verde e piacevole terra d’Inghilterra », afferma un verso). Qualcuno in verità la considerava un inno di battaglia socialista, perché ha un riferimento ai “satanici” mulini della rivoluzione industriale inglese, ma Cameron ritiene che possa andare bene per tutti. Qualcun altro osserva che il premier ha perso una buona occasione per stare zitto: non è il caso di rimarcare le differenze tra gli inglesi e gli altri “britannici”, alla vigilia dei Giochi in cui
faranno tutti parte del “team GB”.
Qualcuno, infine, è contento. Commenta Daniel Hannan, europarlamentare dei Tory: «Sono felice che il primo ministro voglia
Gerusalemme
come inno inglese, per mettere fine all’anomalia di Inghilterra e Gran Bretagna che usano lo stesso inno». Ma il poema di Blake non è l’unico candidato a diventare l’inno nazionale degli inglesi. Un altro, molto popolare, è
Land of hope and glory
(Terra della speranza e della gloria), parole di A. C. Benson, musica di sir Edward Elgar, cantata ai “prom”, i concerti di musica classica che si tengono in estate a Londra. Un terzo possibile inno è
Swing low sweet chariot,
prediletto dai tifosi di rugby. Ai Giochi del Commonwealth, in cui Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda del Nord apparivano separatamente, veniva sempre
usata
Land of hope and gloryogni
volta che un atleta inglese vinceva una medaglia d’oro. Ma per l’edizione del 2010, a Nuova Delhi, fu preferita, in base a un
sondaggio,
Jerusalem.
La questione, concorda il
Daily Telegraph,
andrebbe messa ai voti: non può certo decidere il primo ministro. E chissà che, in una vo-
tazione, non vincerebbe a sorpresa una canzone dei Beatles (
Yellow submarine?)
o dei Clash (
London calling).