Maximilian Cellino, Il Sole 24 Ore 17/7/2012, 17 luglio 2012
I TRE ANNI DI RINCORSA DELLA SVEZIA ALLA GERMANIA
C’era una volta lo «spread» che valeva qualche decina di punti, e un BTp che si muoveva quasi in simbiosi con il ben più prestigioso Bund. Sembra un mondo assai lontano, ma è sufficiente riportare le lancette del tempo indietro soltanto a 4-5 anni fa per ritrovare una correlazione quasi perfetta fra andamento di prezzi e tassi dei titoli di Stato dei Paesi dell’Eurozona. Uno studio pubblicato ieri da UniCredit Research e curato da Luca Cazzulani e Chiara Cremonesi ripercorre con l’occhio dell’analista finanziario il processo che ha portato all’esplosione degli equilibri europei e tenta di gettare uno sguardo anche sul futuro.
Fino al 2008, come appare chiaramente dal grafico a fianco, la correlazione fra i rendimenti dei decennali di Olanda e Francia e quello del Bund era quasi totale (valori vicini a 1), ma anche quella che intercorreva fra il titolo tedesco, il BTp e il Bono spagnolo era elevata: a un movimento in una direzione dell’uno corrispondeva un andamento simile degli altri. Dopo una fase di incertezza, il primo vero «corto circuito» risale al maggio 2010. È con lo scoppio della crisi greca che la correlazione diviene per la prima volta negativa e che Germania e Italia iniziano a muoversi al contrario: la prima viene vista come rifugio, l’altra come investimento a rischio elevato.
Il secondo tracollo, conseguenza dell’allargamento a macchia d’olio della crisi del debito europeo, è della scorsa estate. Da allora, pur fra alti e bassi, la correlazione fra Bund da una parte, BTp e Bono dall’altra è rimasta negativa: così come si acquista il primo si tende a vendere gli altri, e viceversa. È interessante notare come in questo periodo di alta tensione i timori dell’effetto domino abbiano interessato anche i titoli francesi (e in minor misura gli olandesi), che però si sono di recente ripresi tanto che la loro correlazione con il Bund è di nuovo in crescita. Un’inversione di tendenza rispetto alla fase attuale è dunque teoricamente possibile anche per Italia e Spagna, il problema semmai è capire i tempi nei quali si può realizzare.
Il problema, fanno notare da UniCredit, sta nel fatto che se una volta il rischio di credito (cioè di default dell’emittente) era considerato minimo per gli Stati europei, la deflagrazione della crisi ha radicalmente mutato la situazione. Nel nuovo scenario polarizzato, rischio elevato (Italia, Spagna) e sicurezza assoluta (Germania) convivono nell’euro, e quanto più rapidamente gli investitori decidono di passare da un’estremità all’altra, tanto più aumenta la decorrelazione. È evidente che per interrompere il corto circuito è necessario uscire in modo credibile dall’impasse europeo (riduzione strutturale del debito dei «periferici» e reale integrazione dell’Europa), ma è anche altrettanto chiaro che l’assestamento sui mercati può richiedere tempi ben più lunghi.
Come storia a lieto fine, UniCredit cita nella propria analisi la Svezia uscita dalla crisi bancaria dei primi anni 90. Il caso del Paese scandinavo, pur con le dovute distinzioni (la crisi era meno profonda di quella europea, la Banca centrale locale è autonoma e la valuta differente dall’euro), può essere preso a esempio. Lo spread del decennale svedese sul Bund, che aveva raggiunto i 500 punti base fra il 1990 e il 1993 all’apice della crisi, ripiegò verso quota zero soltanto all’inizio del 1997, cioè 3 anni dopo l’uscita dalla recessione. Il problema, però, è che la Svezia di allora assomiglia oggi semmai più ai paesi europei «core» (Francia, Olanda e forse Belgio) che ai «periferici». Per Italia e Spagna, insomma, il processo di transizione e il ritorno ai livelli pre-crisi di correlazione con il Bund rischia di essere affare di anni, se non decenni.