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 2012  luglio 15 Domenica calendario

L’ARTE DELLA CARTOLINA


Dopo oltre un secolo di onorata carriera, con vertici da fare invidia anche all’invidiata arte “alta”, la cartolina — grazioso supporto per frivoli messaggi o per capillare propaganda politica, artefice e veicolo di un immaginario di massa — sembra quasi scomparsa dalla nostra quotidianità. Rimangono ancora le cartoline turistiche, ma sempre meno differenziate localmente, e quelle imperiture in vendita nei musei, ma il profluvio di temi e creatività che le caratterizzava è solo un ricordo del passato, e come tale ormai materia di analisi e sistematizzazione. È quanto persegue
da tempo Enrico Sturani, maniacale collezionista di cartoline e affini, che — dopo un primo variegato catalogo — sforna ora il secondo tomo di una prevista trilogia:
La cartolina nell’arte. Fatta a pezzi, stravolta, esaltata.
Il volume è incentrato sull’uso e l’abuso che artisti e dilettanti hanno fatto della cartolina, creandone in proprio, manipolandole o introducendole (come fanno Aleksandr Rodchenko, Joan Miró, Saul Steinberg o Enrico Baj), intere o frantumate, ritagliate o dipinte, all’interno delle proprie opere.
Nata nel 1869 — in concorrenza con la lettera — per veicolare messaggi veloci (ma non certo quanto il telegramma, che l’aveva preceduta nel 1844), la cartolina si definisce per una mancanza di
schermi protettivi frapposti a questa inedita visibilità del messaggio. In cambio, però, offre il non indifferente vantaggio di una tariffa ridotta e una libertà di scrittura leggera che la seriosità della lettera quasi interdiva. E nasce anche priva di orpelli illustrativi, semplice cartoncino rettangolare con francobollo prestampato e un’intera facciata per il messaggio, fino a che — finito il monopolio statale — non si comprese che quel lato brullo della cartolina poteva essere occupato da più allettanti immagini: nasce la concorrenza e, con essa, quella corsa alla trovata più fantasiosa che sarà il vanto ma anche la palla al piede del nuovo mezzo, per cui nel 1933 il poeta Paul Éluard — lui stesso collezionista di cartoline (e il primo a evidenziarne
il lato estetico) — potrà parlare di «eccessi di imbecillità» e di «comicità di bassa lega». E come dargli torto guardando la sfilza di cartoline che volevano essere “spiritose”?
La cartolina illustrata raggiunge presto un successo inimmaginabile. Anche presso i pittori. All’inizio del Novecento alcuni (Utrillo ma anche il giovane Adolf Hitler) le usano persino come modello per i loro quadri, cominciando a veicolare su di esse un certo discredito. Altri, invece, le utilizzano come supporto per le loro creazioni straordinarie, come avviene per le bizzarre incisioni nelle quali il boemo Richard Müller rappresentava inquietanti incontri di donne nude e animali improbabili. O come accadrà per le cartoline del raffinato fotografo
Léopold Reutlinger, nel volume forse un po’ superficialmente definite «pre-surrealiste », dove compaiono apparizioni multiple della stessa figura e giochi di prospettiva, nel gusto di quel fantastico che si ritrovava già nel cinema di Georges Méliès. Ma qui, come in altri luoghi, agisce purtroppo lo sguardo cartolinocentrico del collezionista che, nel suo malcelato astio nei confronti della cultura “alta”, ignora più complesse interazioni nel gioco delle influenze.
C’è poi chi le cartoline se le fa da solo. Così, dal 1913 fino alla morte l’anno successivo, Franz Marc invia alla poetessa Else Lasker-Schüler splendide cartoline acquerellate o in tempera e china, con su condensato il suo coloratissimo bestiario. Tra i futuristi, Giacomo Balla si
diletta a intervenire ad acquerello, a pastello o a collage, aggiungendo magari chiassose scritte interventiste, mentre nel ’26 Fortunato Depero illustra con infantili matite multicolori i bozzetti per una serie pubblicitaria della Presbitero che non sarà mai stampata, ma per la quale disegna anche un fantasiosissimo “lato indirizzo” che sembra anticipare soluzioni di mezzo secolo dopo. Nel 1919 i dadaisti Raoul Hausmann e Johannes Baader approntano invece una cartolina-collage bifacciale per la loro sodale Hannah Höch, sovrapponendo al testo originario un più acconcio: “Investite il vostro denaro in dada!”. Con la cartolina ciascuno si è divertito come più gli pareva. C’era, ad esempio, chi giocava con la sua forma, come l’inglese W. Reginald Bray, che sul finire
dell’Ottocento aveva ritagliato e spedito il profilo di un uomo dal naso imponente e l’aria rissosa, mentre la scritta col nome del destinatario e il suo indirizzo andava a disegnare sopracciglia, baffi e un ghigno poco rassicurante. Un francobollo incollato al punto giusto sostituiva l’occhio, che un timbro postale ben assestato trasformava poi in un inconfondibile occhio nero. E Bray sfiderà ancora le Poste a una collaborazione attiva, spedendo una cartolina che al posto dell’indirizzo mostrava la foto della destinataria, un’attricetta ben poco nota per essere raggiunta, per cui la cartolina torna al mittente, decorata però con gli agognati timbri postali. Sfida alle Poste che raggiungerà il suo culmine con un adepto del gruppo Flexus che, nel 1967, stampa una cartolina intitolata
La
scelta del postino:
i due lati sono identici, su entrambi è possibile scrivere due indirizzi diversi e affrancare.
Fin dalla nascita la cartolina ha spinto il fruitore a intervenire, e non solo per via degli appositi spazi bianchi lasciati all’interno dell’illustrazione, ma anche per il richiamo dei nudi corpi femminili a cui questi utilizzatori finali non sanno proprio resistere, scarabocchiando in quelle oasi di chiarore i loro più accorati desideri o magari solo il loro nome. La sfida è raccolta quarant’anni dopo dal surrealista Georges Hugnet, che a quegli oramai museali oggetti del desiderio aggiunge buffi animaletti pelosi teneramente abbarbicati alle carni. Jean Margat punta invece all’icona per eccellenza: la cartolina della
Gioconda,
dissezionandola e
ricomponendola in una divertita «giocondoclastia sistematica» che sembra anticipare tecniche collagistiche del boemo Jiri Kolar. Ben più drastico, nel 1941, l’intervento di Willi Baumeister sul corpo nudo della
Dea dell’Arte
di Adolf Ziegler, pittore amato dal Führer: con un abile uso del colore che nasconde gambe e braccia e pochi tratti di matita che fanno apparire occhi al posto dei seni, egli la trasforma infatti in un osceno
Uomo col pizzo,
stranamente assonante con
Le viol
di Magritte. Il quale da parte sua aveva intitolato
Cartolina
(1960) un suo olio abbastanza noto, quasi una parodia delle vedute cartolinesche: un uomo di spalle osserva un paesaggio montano, mentre nel cielo si staglia un’enorme mela verde.