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 2012  luglio 15 Domenica calendario

BREVE GUIDA PER IMPARARE A FARE LE DOMANDE GIUSTE


Qualche fa giorno lo scienziato Giovanni Amelino-Camelia esplorava e raccontava i limiti della sua materia — la fisica quantistica, che appunto alligna ai confini estremi della
nostra
materia. Ascoltandolo, ho imparato la miglior definizione delle differenze tra il cervello scientifico e quello umanistico: sosteneva che i fisici del Diciannovesimo Secolo, prima di Einstein, non avevano semplicemente formulato le domande giuste, e che il suo più grande tormento, oggi, un secolo e mezzo dopo, era la ricerca della
domandarispondendo
alla quale tutto cambia.
Qualche settimana fa è morto David
Weiss, membro del celeberrimo duo di artisti svizzeri Fischli e Weiss, responsabili di una delle più significative parabole inventive degli ultimi trent’anni. Fischli e Weiss sono gli autori di
Will Happiness Find Me?
Si tratta di un magnifico volumetto nero tradotto in inglese da Konig London: una sequenza di domande disegnate come su una lavagna col gesso bianco, due per pagina, intervallate ogni tanto da immagini elementari di automobiline, camion, pezzi di città e altro ancora. Oltre ad essere una testimonianza interessante di come nascono invece le domande degli umanisti, il libro è davvero ispirante
in sé:
sono formule interrogative, più che domande: alcune folli, altre semplici
e quotidiane, altre ancora potentemente religiose, oppure buffe, tenere, indulgenti, auto-indulgenti. “E’ la mia anima quel fantasma che mi guida accanto?”. “Tutto ciò che ho dimenticato arriva alle dimensioni di una casa?”. “Sono mai stato completamente sveglio?”. Sono in un certo senso la versione caotica e primordiale di ciò che ha realizzato nel 2009 il romanziere americano Padget Powell con
The Interrogative Mood,
mettendo in scena una narrazione letteraria
interamente
fatta di domande ma capace di costruire un tessuto logico e appassionante, ortogonale per così dire, compreso fra la prima e l’ultima.
Le domande di Fischli e Weiss possiedono
naturalmente una caratura giocosa, ma alcune questioni tornano e si rincorrono, oppure vengono cancellate, come per un ripensamento improvviso, e sostituite da altre: le lavagne su cui decifriamo le nostre curiosità sono più eterne di quanto possiamo immaginare, e non basta un colpo di spugna per eliminarle dalla vista: bisogna tirare una linea netta, come fanno i due artisti in questa mirabile opera concettuale da tasca, forse per ricordarci che se uniamo tutti i punti (interrogativi) che hanno costellato la nostra vita, verrà fuori quell’ordinario miracolo — e un essere umano, quando si fa domande meravigliose, coincide con se stesso.