la Repubblica 15/7/2012, 15 luglio 2012
TACITO, IL BELPAESE E IL MODELLO TEDESCO
Gentile dottor Augias, sono una docente di scuola superiore di Napoli. Lei ha scritto sui rapporti tra italiani e tedeschi. L’ anno scorso ho partecipato a Venezia ad un corso di formazione organizzato da una fondazione privata. Colleghi provenienti da circa 14 Paesi europei. Relatore del gruppo, il professor Nellen, tedesco. Il prof ha sintetizzato in modo puntuale il progetto, ha relazionato in un inglese perfetto. Tornata a casa, ho trovato una mail con la sua sintesi del progetto chiusa dalla frase: "Sono felice per l’ onore di lavorare con voi". In una delle mie visite a Berlino, ho visitato i "Volksgarten". Alla fine dell’ 800, quando sono cominciati i grandi condomini, si previde di assegnare, gratuitamente, un piccolo giardino all’ interno dei parchi di cui Berlino è piena, per consentire a tutti di fruire di uno spazio verde. Chi coltiva alberi da frutto, chi ospita amici e fa giocare i figli, chi si riposa al fresco nelle giornate estive. Sarei pronta a rinunciare al mio mare, al sole, ad una delle città tra le più belle ed affascinanti del mondo, per lavorare e vivere con queste persone in questo modo.
Valentina Ferone - valeferone@gmail.com
La professoressa Ferone rivanga con questa lettera una vecchissima questione più o meno immutata nel tempo. Sole contro nebbie, vino contro birra, melodramma contro Sinfonie e, in senso traslato ma citatissimo, mollezza contro "virtus". Aveva cominciato Tacito parlando della Germania intorno al 100 della nostra era. Il grande storico, fattosi un po’ etnografo, vede con amarezza la decadenza dei costumi romani e, raccontando la Germania come la racconta, descrive un popolo che incute timore per una forza che è sì primitiva ma soprattutto genuina e virtuosa. Per converso la famosa "civiltà" romanaè ormai diventata fiacchezza d’ animo e corruzione. Dei tedeschi (diremmo oggi) lo impressionano le caratteristiche fisiche: "Occhi azzurri d’ intensa fierezza, chiome rossicce, corporature gigantesche, adatte solo all’ assalto". Ma ne apprezza anche il coraggio militare: "La peggiore vergogna è abbandonare lo scudo e se qualcuno si è macchiato di questo disonore non può più intervenire nelle assemblee; molti così scampati alla guerra hanno posto fine al disonore impiccandosi". Quale differenza con Orazio che in una sua ode confessa bellamente all’ amico Pompeo Vario di aver gettato lo scudo a Filippi per meglio darsela a gambe. L’ esortazione di Tacito è rimasta lettera talmente morta che venti secoli dopo le cose sono all’ incirca com’ erano allora. In un’ Europa di necessità unita, queste profonde diversità di comportamento possono giocare a favore o contro. Possono risultare utilmente complementari equilibrando le psicologie, oppure spingere persone come la signora Ferone a cambiare volentieri tutto il sole e tutto il mare per un po’ più di serietà.