Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  luglio 16 Lunedì calendario

Da Milano a Napoli con Italo il «low cost» per ricchi e poveri - La nostra ricognizione lungo la dorsale italiana a bordo dei treni ad alta velocità non poteva non com­prendere Italo, il treno nuovo di zec­ca della non meno nuova compa­gnia Ntv, fondata da Luca di Monte­zemolo

Da Milano a Napoli con Italo il «low cost» per ricchi e poveri - La nostra ricognizione lungo la dorsale italiana a bordo dei treni ad alta velocità non poteva non com­prendere Italo, il treno nuovo di zec­ca della non meno nuova compa­gnia Ntv, fondata da Luca di Monte­zemolo. Viaggiare su Italo presenta molti punti di differenza rispetto a Euro­star: alcuni di questi punti ven­gono spiegati dai dépliant pubbli­ci­tari siti negli ap­positi contenito­ri in fianco alle poltrone, altri so­no quelli che il viaggiatore sco­pre da sé. E sono forse i più impor­tanti. Il rosso di Italo è più scuro di quel­lo di Eurostar, la linea del treno più moderna:Eurostar comincia a sen­tire l’età, e non ha la muscolarità se­tosa, un po’ vecchiotta, molto fran­cese di un Tgv con le sue stoffe, i suoi abat-jour, a garantirgli una vita più lunga. Cominciamo con la fuffa: la diffe­renza tra «classe»(Trenitalia)e«am­biente » (Ntv). Cose di cui non im­porta niente a nessuno. In ogni caso, Smart sarebbe la Se­conda ( o la Standard) di Trenitalia, poi c’è la Prima - che costa come la Seconda Eurostar - , infine la Club, dall’ambiente raffinato ma dal lus­so contenuto, nulla a che vedere con la faraonica Executive di Euro­star. Qui la prima parola che assale il viaggiatore è la parola Fineco: scrit­ta in grande sulle porte del treno e poi ripetuta tante volte quanti sono i sedili, sul dorso del tavolinetto. La prima parte del viaggio è in classe, pardon, ambiente Smart. Il biglietto costa molto meno rispetto alla concorrenza e l’utenza è soprat­tutto di giovani, così come giovani­tutti, e questa è la prima bella sorpre­sa - sono i membri del personale. Il modello di affabilità e cortesia un po’ casual cui si attengono questi simpatici ragaz­zi è stato studia­to a dovere: fin dal messaggio di benvenuto, in­trodotto da un (eccessivamen­te alto) riff di pia­noforte. Il viaggiatore Italo è pagante, e in Smart l’uten­za è da treno regionale, oppure ri­corda le vecchie migrazioni, come se qui sedessero i nipoti e i pronipo­ti di coloro che alla fine degli anni Cinquanta salirono a Milano, a Tori­no con le valigie di cartone. Qui non è come in Exe. I nipotini degli ope­rai di allora leggono la Gazzetta, pro­prio come allora, e il tema del gior­no è grave: il Milan. Dove andranno Thiago Silva e Ibra? Mi colpisce piacevolmente la compagine umana che Smart rie­sce a ottenere, ragazzi in gita, fami­gliole, due fidanzati africani, quat­tro slavi che ridono come pazzi, due signore di mezza età che parlano di scolari chiamandoli «elementi», due prof si direbbe.C’è un mix di di­versità che a Milano ( dove tutti van­no in giro in divisa, o en travesti, a se­conda della tribù di appartenenza: dai nerd alle sciure) non è facile tro­vare, perché a Milano la «gente» non esiste più, le persone non san­no più mescolarsi, non sanno stare insieme. Il basso costo unisce i po­poli. Del resto, la sola Grande Stazione in cui Italo attracchi è quella di Na­poli, dove viceversa la gente esiste, eccome. Come se Italo traesse la propria radice umana da quella cit­tà più che dall’enigmatica Roma o dalla sussiegosa Milano. Il modello low-cost traspare qui un po’ da tutto: dal modo di acqui­stare i biglietti, dalla fluttuazione dei prezzi, dall’assenza di carrozza ristorante. Se il pranzo (a pagamen­to) è preparato (a terra) da Eataly, il personale qui è solo Ntv, niente ap­palti a terzi, tipo Chef Express. In Pr­i­ma e in Club passano con il carrello, mentre in Smart ti devi portare il pa­nino da casa. Un cortese, giovanissimo e im­pacciato addetto-Italo mi informa che con l’attivazione del servizio non-stop Mi-Rm il servizio ristora­zione migliorerà. Qui il valore aggiunto non è la ri­storazione ma la connessione: non un optional per persone importanti che devono essere sempre connes­se ma u­na condizione normale del­la vita di tutti, soprattutto dei più gio­vani. Lo stesso nome del treno (che non è Italo bensì «.italo») indica questo indirizzo. Rispetto a Eurostar,qui l’insisten­za sul lavoro è meno assillante. Se Eurostar vince sull’aereo perché il tempo a bordo può essere utilizzato per lavorare, Italo non sottolinea questo aspetto: la connessione non è un diritto, non un servizio offerto ma un fatto naturale, come il viag­giare stesso. Come dire: se uno vuol lavorare in treno, che lavori: ma sen­za farla troppo lunga. Come la connettività, anche il de­sign qui è stato preso più alla legge­ra, secondo buon senso. Le poltron­cine sono targate Frau, marchio tra i meno colpiti dal­la febbre dello sti­le, gli appendiabi­ti s­ono pratici bot­toncini (in Smart come in Prima) sul bordo del sedi­le antistante, e die­tro non si intrave­de nessun genio del design. Per for­tuna. Infine, per concludere sul tema dell’antistress, qui la velocità (an­che Italo raggiunge i 300 km/ h), vie­ne indicata su un discreto display a inizio carrozza e non su pacchiani monitor lampeggianti. Probabil­mente Montezemolo, o chi per lui, ritiene che di norma la gente abbia di meglio da fare che tenere gli oc­chi fissi su un monitor. A Firenze cambia la classe del mio viaggio, e dalla Smart passo di­rettamente alla Club, che è la top class di Italo. Anche qui niente fan­tascienza: i sedili, di un bel marrone rossiccio, si possono reclinare ma solo manualmente. L’insieme pro­duce un’impressione di buon sen­so e praticità, nessuna voglia di stu­pire a tutti i costi. La classe da perfezionare è la Pri­ma, dove viaggio da Roma a Mila­no. Poco interessante il blu delle sue poltroncine Frau, non ben cali­brata la vendita del prodotto: la Pri­ma di Italo costa uguale se non me­no della Seconda ( o della Standard) su Eurostar, e si sta più larghi, ma le panze XXL come la mia soffrono un po’ i tavolinetti,che sono fin troppo profondi: accorciandoli di cinque, sei centimetri la sensazione di lar­ghezza aumenterebbe per tutti. Viaggiando su Italo si capisce quanto si somiglino Trenitalia e Ali­talia, che non ha mai saputo fronteg­giare l’offensiva dei low- cost, e il cui programma di fidelizzazione offre biglietti gratis solo per modo di dire visto che, solo di tasse, si pagano molto più di tanti biglietti Ryanair o Easyjet. Ora, la fatica titanica di esse­re Compagnia di Bandiera si fa senti­re anche in Trenitalia, mentre Ntv non ha di questi problemi: le basta portare sui sentieri Tav un pubblico nuovo, più giovane, più squattrina­to, più simpatico. Proprio come il personale: simpatico, gentile, e so­prattutto giovanissimo. L’allegria di questi ragazzi di cui è palese l’ine­sperienza (il mio steward, laureato in scienze della comunicazione, sta­va sbagliando porta a Firenze) aiuta a trovare una dimensione umana in questa fuga del paesaggio- e dal pae­saggio- che tanto mi doleva su Euro­star. Anche qui: meno high-tech ne­gli arredi e più human touch. Il pro­blema non è: essere perfetti. Il pro­blema è: come porgere agli altri la nostra imperfezione. Fare le Ferrari è un mestiere parti­colare: sono le automobili più esclu­sive del mondo, desiderate da tutti e accessibili solo a pochi. Al tempo stesso, Ferrari è anche il nome di un tifo popolare intramontabile, di una passione sconfinata. Il nome Ferrari unisce i due margini estre­mi, e produrle significa tenerli uni­ti. Per riuscirci non bastano le ricerche di mer­cato: ci voglio­no intelligen­za, coraggio im­prenditoriale e molto buon senso. Io credo che l’esperien­za Ferrari - e parlo in primo luogo di esperienza umana- sia sta­ta utile a Montezemolo quando ha concepito questa avventura. Nono­stante le molte cose perfettibili, mi è piaciuto viaggiare su Italo. Si avver­te il profumo del rischio commercia­le, della vera scommessa, senza nes­suna certezza di riuscita, soprattut­to in un tempo come questo. La Fornero ha detto che le cose vanno male e non possono che peg­giorare: ma se è così, a che pro sacri­ficarsi? ( Non è meglio fare un bel tuf­fo nel baratro e poi provare a rico­minciare?). Perciò mi chiedo: aiuta di più il paese il funereo richiamo go­vernativo al dovere del sacrificio senza nessuna prospettiva, oppure un’impresa che parte nel momento peggiore sulla scorta della fiducia nella propria proposta e, intanto, dà lavoro i giovani anziché toglier­lo?