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 2012  luglio 16 Lunedì calendario

La lady di ferro che può puntare al Colle - Piace indiscriminatamen­te Anna Maria Cancellie­ri, apprezzata a destra e a sinistra come donna, come mini­stro dell’Interno, per il carattere, per l’indole e chi più ne ha più ne metta

La lady di ferro che può puntare al Colle - Piace indiscriminatamen­te Anna Maria Cancellie­ri, apprezzata a destra e a sinistra come donna, come mini­stro dell’Interno, per il carattere, per l’indole e chi più ne ha più ne metta. Giuliano Ferrara la adora perché rotonda e bonaria come lui. Il pidiellino bolognese, Giulia­no Cazzola, che l’ha avuta com­missario prefettizio della sua cit­tà, ne loda l’equilibrio e la candi­da al Quirinale. Il Fatto , che di soli­to fa le pulci a tutti, la definisce «il bravo ministro». Appresa la sua nomina all’Interno,il predecesso­re leghista, Bobo Maroni, chiosò: «Ora non ho dubbi che il ministe­ro è in buone mani». Non posso che aggiungermi al coro e fare una volta tanto un ri­tratto disteso e senza stress. Fisi­camente, l’avete vista, è imponen­te quanto basta da impensierire, il che non guasta nel supremo rap­presentante delle forze dell’ordi­ne. Ha una voce speciale come Ro­sa Russo Iervolino, l’unica donna che l’abbia preceduta alla guida del Viminale. Iervolino l’aveva pe­rò inquietante come il richiamo di un uccello notturno, mentre la voce di Cancellieri è profonda co­me il quieto ronfare di un ors­o e bi­sogna aiutarsi col movimento del­le labbra per capire ciò che dice. Il lato femminile è invece esaltato dagli eleganti tailleur e da una tripli­ce collana di splendide perle. Non crediate che le qualità del ministro - già per decenni funzio­nario dell’Interno - siano dolcia­stre alla De Amicis. È piuttosto un personaggio verghiano, salda­mente realista e col senso pratico di chi ha il vizio, sempre coltivato, di risolvere i problemi. Appena si diffuse la voce, il 16 novembre 2011, che Monti l’aveva designa­ta, i cronisti la assalirono di do­mande. A tutti replicò: «Mi chiede­te se ho accettato subito l’incari­co? Certo. Se si tratta di servire il Paese io sono sempre pronta». Quando invece giurò da ministro al Quirinale, ai giornalisti che su­bito dopo la circondarono disse: «Lasciatemi andare, ho una riu­nione». Si era già messa in moto. Il ministero dell’Interno espri­me la forza dello Stato. È perciò prettamente maschile. Per esor­cizzare questa realtà, Iervolino esagerò il suo lato muliebre di­chiarando di sentirsi «mamma» di poliziotti, sbirri, vigili del fuo­co, 007. Cancellieri non ha biso­gno di espedienti. Lei in mezzo ai maschiacci con baffi e pistole è a suo agio. Ci gioca anzi come il gat­to col topo. Infatti, la pensa così: «Abolirei l’8 marzo. La donna non deve sentirsi razza a parte per­ché siamo molto meglio degli uo­mini ». La verità è che si considera parte dell’ingranaggio ed è orgo­gliosa dell’Amministrazione in cui ha trascorso la vita e di cui, da pensionata, ha preso la guida. Di­ce: «È sbagliato pensare lo Stato italiano come una ricotta. Lo Sta­to ha una spina dorsale forte che al momento dovuto viene fuori». Al suddetto spirito di corpo è do­vuta la seconda e minore gaffe - della prima e maggiore parlere­mo poi- fatta in questi otto mesi di Viminale. Quando in giugno la Cassazione confermò le pene ai poliziotti per la morte del giovane Federico Aldrovandi, Cancellieri commentò: «Se ci sono stati, co­me sembrerebbe, degli abusi gra­vi, è giusto che vengano colpiti». Quel condizionale di fronte a un accertamento giudiziario definiti­vo - estremo tentativo del mini­stro di difendere i suoi uomini ­- parve irrispettoso per la Cassazio­ne­ e offensivo per i familiari del ra­gazzo. Ne seguì una risentita di­chiarazione dei genitori Aldro­vandi ma niente di più. Anna Maria, nata a Roma ses­santotto anni fa, ha trascorso nel­la Capitale i primi tre decenni di vi­ta. Si laureò in Scienze politiche e diciannovenne ebbe un’esperien­za di lavoro a Palazzo Chigi, dove ancora aleggiava lo spirito delle fe­luche poiché fino all’anno prima era stato sede del ministero degli Esteri. Questa circostanza, unita alla laurea tipica del diplomatico, lascia pensare che, in quegli anni, il futuro ministro dell’Interno am­bisse agli Esteri. La mia è un’illa­zione, corroborata però dal dna dei Cancellieri in cui è evidente il gusto dell’esotico. Il nonno parte­cipò alla guerra che nel 1911 ci condusse in Libia e fu nominato commissario - ruolo che la nipote ricoprirà con la frequenza degli in­cendi agostani - ai beni sequestra­ti ai berberi. Il padre fu impegnato tutta la vita nella costruzione di centrali elettriche libiche. Lei stes­sa trascorse per decenni le estati a Tripoli e lì incontrò il marito, il far­macista dottor Peluso, nativo del­la città, ma di origini catanesi, col quale andava a ballare nel porto di Leptis Magna e in gita nelle oa­si. Gheddafi li cacciò tutti nel 1970 e nessuno da allora è più tornato laggiù. Impalmato il tripolino, Anna Maria si trasferì nel 1972 a Milano per iniziare ventinovenne la car­riera nell’amministrazione degli Interni. A Milano - «mia città di adozione», la definisce - ha tutto­ra casa e famiglia, ossia il marito, due figli maschi, quattro nipoti­ni. Negli anni del terrorismo, lavo­rò in prefettura col compito di te­nere i rapporti con le famiglie del­le vittime, da Calabresi in poi. Nel 1993, promossa prefetto, comin­ciò un’esistenza raminga. Rap­presentò lo Stato a Vicenza, Ber­gamo, Brescia, Catania e Genova. La sua specialità divenne l’emer­genza. Ovunque c’era da commis­sariare, piombava lei come l’Uo­mo Ragno: la città di Parma nei primi Novanta, la gestione dei ri­fiuti in Sicilia, soprattutto gli enti teatrali in crisi. Appassionata di li­rica, l’ha salvaguardata tirando fuori i teatri dalle secche: un paio di enti a Bologna e il Bellini di Ca­tania, dove si scontrò con la Pro­cura. Fu accusata di avere eccedu­to in consulenze e indagata per abuso d’ufficio. Finì in una bolla di sapone. Nel 2009 fu collocata a riposo. Sembrava la fine di una carriera onorata che si conclude con un «arrivederci e grazie», e chi s’è visto s’è visto. Per lei fu, invece, il preludio al­la ribalta nazionale. Appena in pensione, il ministro Maroni la nominò commissario straordina­rio a Bologna in balia del Cinziagate, l’infelice tresca amorosa del sindaco pd Flavio Delbono. In un anno e mezzo, Anna Maria - vitale, di buon umore, trascinatrice ­- risanò le casse, risolse l’annoso problema del metrò e si fece ama­re dall’intera città, a destra come a sinistra. Quando stava per an­darsene, Casini e l’Udc le chiese­ro di candidarsi sindaco, idem il Berlusca & co. Rifiutò, dicendo che voleva stare con i nipoti. Eb­be invece da Maroni un altro inca­rico a Parma. Ma il destino era al­le porte: di lì a poco, il Cav fece fa­gotto, e Monti la nominò mini­stro. Rimane solo da dire dell’infeli­ce giorno in cui, contrariamente al solito, si impancò dicendo: «Noi italiani siamo fermi al posto fisso nella stessa città di fianco a mamma e papà». Subito le fu rin­facciato che tra i Cancellieri-Pelu­so il posto fisso è la regola e saltò fuori che il figlio Giorgio vive a Mi­lano accanto a mamma e papà e che a 42 anni è direttore generale di Fonsai. Si seppe che guadagna­va cinquecentomila euro, aveva benefit, auto blu. Indiscrezioni grondanti invidia ma che, essen­do vere, dovevano indurre la mamma alla cautela nel parlare dei figli degli altri. Siamo certi che la duttile Anna Maria ne ha fatto tesoro.