Luca Doninelli, il Giornale 15/7/2012, 15 luglio 2012
Le stazioni specchio delle città dove il viaggiatore è un intruso - Le stazioni ferroviarie appartengono a un’altra parrocchia rispetto ai treni ad Alta Velocità, e si vede
Le stazioni specchio delle città dove il viaggiatore è un intruso - Le stazioni ferroviarie appartengono a un’altra parrocchia rispetto ai treni ad Alta Velocità, e si vede. Altre persone, altro stile, altri problemi. Le stazioni sono spesso una ferita aperta per la città, e altrettanto spesso rischiano di collassare nel degrado. Le Grandi Stazioni sono però un capitolo a parte. Lì il degrado non ha dimora, la tutela del Viaggiatore dev’essere feroce. La Grande Stazione è infatti una vetrina della città, la sua premessa. Chi scende dal treno, mentre ancora cammina lungo il marciapiede, si trova già dentro la città, e lo deve percepire. Milano, Roma, Napoli penetrano fin lì, annunciando tutta la loro bellezza, tutto il loro orrore. I remake ai quali vengono periodicamente sottoposte non mutano il ritratto generale: si possono introdurre nuovi esercizi commerciali, si può tutelare meglio la sicurezza, così che nessun anfratto dell’edificio possa risultare in qualche modo pericoloso: tuttavia il risultato finale non cambia di molto. Oggi sono sbarcato nelle stazioni principali delle tre maggiori città italiane: Milano Centrale, Roma Termini, Napoli Centrale. Il racconto che questi luoghi ci offrono a proposito della loro città è semplice e onesto. Milano Centrale, recentemente ripulita, imbellettata, resa più vezzeggiativa, più sorvegliata, dispone di molti bar e di una quantità di negozi- prima assenti o quasi- che vivono sulla cattura di una clientela fuggitiva. Diversamente da Termini, la Centrale non è una stazione che si attraversa per passare da una parte all’altra della città.Il suo aspetto assiro- babilonese nasconde un cuore milanese, un cuore che ama distinguere le cose. I suoi negozianti devono perciò far conto solo sul Viaggiatore, su una pausa nella sua fretta, sul suo orologio cinque minuti avanti. I lenti e inefficienti tapis-roulants, preferiti alle più pratiche scale mobili, mettono a rischio il Viaggiatore a vantaggio dei commercianti dell’ammezzato, prima inesistente per il pubblico e ora frettolosamente attraversato. Non c’è passeggero che non deprechi questa demenziale trovata, ma qui è di vitale importanza che qualcuno si soffermi a una vetrina. Qui, più che gli affari, è in gioco la sicurezza. Più vetrine, meno degrado. Il commercio è anche un presidio, una tutela: infatti dove va la gente i malintenzionati si ritirano, poiché il Male, per colpire, ha bisogno di persone sole. La Centrale non è esibizionista, così come non lo è Milano. E come Milano è allegra di giorno e vuota di notte, nonostante la sua vita serale e notturna (tutta ristretta in poche aree). Il Viaggiatore che torna in città con l’ultimo treno la rivede com’era prima del remake, solo più pulita, meno fuligginosa. Sperimenta così la fragilità di Milano, il suo velato calvinismo che sa contare solo sulla propria energia e, una volta esaurita questa, non sa sporgersi sul vuoto, non sa amare la notte. Roma Termini è invece esibizionista ma un po’ gretta. La quasi totale assenza di sedili per chi aspetta di partire rivela uno scarso interesse per l’uomo in carne e ossa. Roma non deve piegarsi verso l’uomo, è l’uomo che deve correre a lei. Ci sono tante cose interessanti, a Roma,tanti bei negozietti,c’è il Testaccio, c’è perfino il Papa. Un cattolicesimo senza Dio e senza Cristo è il peggiore dei veleni, e Roma ne è piena, anche quando si proclama frocia, atea o comunista. Troppi preti in giro per le sue strade. Troppi intellettuali, scrittori, cineasti. Troppe cose alternative. Roma non è interessata a te, caro viaggiatore velletrano, ma tu non puoi fare a meno di amarla. Roma Termini è piena di negozi di cianfrusaglie e di gente che alza la voce: gente di Monteverde, spagnoli in infradito: a Ciaccioooo!... Donde Está Paco?, Paquitooooo!... Prevale la paccottiglia, orologi giovanili, costumi da bagno, catene francesi di cosmetica low-cost. Il suo modello antropologico era ed è la Suburra. Per Roma, l’uomo è plebaglia, a meno che non abbia forti agganci, ma una volta interrotti quei legami tornerà al fango da cui è nato. E ora le librerie. A Milano, a Napoli, un po’ dovunque le grandi stazioni prevedono l’installazione di una mega-libreria Feltrinelli. La feltrinellizzazione del viaggio è ormai un default nazionale: non importa dove vai, non importa se ci vai, magari il treno non c’è, ma noi saremo sempre comunque con te. Quella di Roma, però, non è una Feltrinelli. Alla religione svizzera di via Romagnosi (ben radicata nella Capitale) si oppone, qui, un dio autoctono, più tiberino, il cui tempio ricorda- inscatolato com’è dentro l’atrio della stazione, l’Ara Pacis veltroniana. La libreria di Milano Centrale è probabilmente più grande, però- stile milanese- è più discreta: la vedi solo se la vuoi vedere. Ma quella di Milano è, appunto, una religione diversa, scandita da meccanismi rolex. Qui a Termini un dio preistorico, cattolico nel rituale ma pagano nell’anima, si aggira sotto le volte risuonanti: per questo dio l’uomo è una cimice. Di tutt’altra stoffa è Napoli: più povera, apparentemente più dura, fin quasi alla crudeltà e al cinismo, ma anche più umana: per cultura, per tradizione. Oggi nessuno ne vuole più parlare, di quella Napoli. Oggi per parlare di Napoli alla tv e sui giornali bastano la Camorra, Scampia, Saviano. Oggi è il volto sfigurato della città a campeggiare nei titoli e nelle notizie, e i suoi intellettuali fanno a gara, per sembrare più intelligenti,nel denigrarla,nell’andarsene pieno di sdegno. E lei soffre in silenzio, ripetendo con un fil di voce le parole di Rilke: e tutto cospira a tacere di no,un po’ come si tace/un’onta,forse,un po’ come si tace una speranza ineffabile. Nessuno pensa che, per essere sfigurato, un volto dev’esser comunque un volto. Se per Roma l’uomo è un’apparenza che si agita per qualche anno sul fango primigenio, fino a tornarci dritto dritto, Napoli viceversa crede nell’uomo, nella persona, nell’individuo, conosce le sue pene, i suoi dolori, le sue discopatie, le sue vesciche. Alla stazione Centrale trovi da sedere dappertutto. Ogni anziano è tuo nonno, ogni bambino è tuo nipote. I negozi sanno di quartiere periferico, e dietro i modesti profili di alluminio e le grandi vetrate domina il «coming soon». Non c’è design, qui a Napoli. Non c’è styling.Napoli è la capitale mondiale dell’antidesign.Il brutto è brutto, ma il bello è incomparabile: sia opera dell’uomo sia frutto della natura, è lì, non esibisce firme, copyright, uomini illustri. Le stazioni non mentono. Camminando davanti al basso edificio conto settantacinque taxi tutti fermi, in attesa di qualche cliente. Sento discutere animatamente, ma senza violenza. Nel tempo in cui i poveri pagano più dei ricchi le conseguenze della crisi, questa gente che se ne sta lì ore ad aspettare sotto il sole il proprio turno per fare una corsa da dieci euro mi comunica un senso di civiltà senza discorsi, di compostezza umana, di accettazione virile - senza rassegnazione- delle difficoltà della vita. A Napoli c’è sempre da imparare: con tutti i suoi disastri Napoli è, scusate la retorica, una grande scuola a cielo aperto, la più grande scuola di umanità di cui disponga questo paese.