Notizie tratte da: Elio Vetri, Francesco Paola # I soldi dei partiti # Marsilio 2012 # pp. 240, 16 euro., 17 luglio 2012
Notizie tratte da: Elio Vetri, Francesco Paola, I soldi dei partiti, Marsilio 2012, pp. 240, 16 euro
Notizie tratte da: Elio Vetri, Francesco Paola, I soldi dei partiti, Marsilio 2012, pp. 240, 16 euro.
• A metà luglio del 2011, nel mezzo di una congiuntura economica internazionale dagli effetti devastanti, va in discussione al Senato della Repubblica il pacchetto delle misure anticrisi. Insieme a provvedimenti marginali ve ne è uno che sarebbe stato necessario e urgente adottare: l’abolizione della norma, introdotta nel 2006, che impone di pagare i fondi elettorali per intero anche per le legislature ormai concluse. […] «In caso di scioglimento anticipato del Senato della Repubblica o della Camera dei deputati il versamento delle quote annuali dei relativi rimborsi è comunque effettuato». [nota: […] anche nel caso sia trascorsa la frazione di un anno]. Abrogarla avrebbe significato evitare il pagamento di centinaia di milioni di euro, privo di causa, che sarebbe andato in scadenza il 31 luglio, data che la legge fissa per i ratei annuali dei fondi dei partiti. […] Ma non si poteva chiedere agli stessi autori di quelle norme e così spregiudicate un minimo di pudore. […] Così il 31 luglio le casse dello Stato sono state costrette a ulteriori versamenti per enormi fondi relativi anche alle legislature ormai concluse, del 2006 e del 2008. (pp. 16-17)
• La rabbia aumenta se si pone mente alla ragione per la quale i fondi elettorali vengono pagati: si tratta di soldi pubblici che hanno lo scopo, in teoria, di garantire la democrazia e la vita associativa dei partiti […], «al fine di assicurare una reale competizione tra le forze politiche in campo e una corretta informazione dei cittadini» in vista di «un più generale obiettivo di par condicio e di democraticità della competizione elettorale», così come evidenziato dalla Corte dei Conti. (p. 19)
• Forze politiche presenti in Parlamento avrebbero avuto addirittura l’interesse allo scioglimento anticipato delle Camere, essendo sufficiente un solo anno per conseguire i fondi elettorali relativi all’intera legislatura, anche per gli anni in cui essa non si è mai svolta in conseguenza della sua cessazione anticipata. E forse non è un caso che dal 2006 al 2008 vi siano stati ben due scioglimenti anticipati, con legislature della durata di appena due anni, poco oltre il limite annuale previsto dalla legge per accedere alla manna. (p.20)
• Ma quali sono i passaggi che concretamente portano al conseguimento dei fondi elettorali? Li elenchiamo brevemente.
1) si deposita la richiesta di pagamento indicando un numero di conto corrente;
2) la Camera dei deputati - l’Ente erogatore dei fondi - paga sulla base di quella che, con evidente ipocrisia giuridica, viene definita «l’apparenza del diritto», perché si tratta solo di controlli puramente cartolari e formali, tesi a verificare unicamente che la richiesta di pagamento sia ben compilata in ogni sua parte, senza risalire, ad esempio, a chi sia effettivamente il soggetto percettore; basta una semplice auto-dichiarazione, accompagnata dalla fotocopia della carta di identità di colui che si "autodichiara" rappresentante del partito politico. (p. 27)
• […] I partiti - o meglio chi chiede il pagamento dei fondi - devono predisporre appositi rendiconti e/o consuntivi, ma anche in questo caso il gruppo dei Revisori contabili procede solo a una verifica materiale sulla corretta compilazione dei documenti. La Corte dei Conti, dal canto suo, lamenta di non potere esercitare alcun controllo sostanziale dopo quello meramente formale effettuato dall’Ente erogatore, ossia la Camera dei deputati; quest’ultimo, a sua volta, dovrebbe garantire un controllo attraverso un proprio organo, l’Ufficio di Presidenza. Il massimo del conflitto di interessi, dunque: un’identificazione piena quanto assurda tra i controllati (i partiti e/o i soggetti che ricevono í fondi) e il controllore. […] (pp. 28)
• 2008, elezioni politiche: la Corte dei Conti accentua le critiche, presenta i conti sui rimborsi ricevuti e le spese elettorali dei partiti dal 1994 al 2008 e calcola il rapporto percentuale tra spese e contributi e tra spese e contributi per cittadino. I numeri sono più eloquenti di qualsiasi discorso: i contributi ai partiti nel periodo di tempo indicato hanno superato i 2 miliardi di euro (2.253.612.233) mentre le spese per le campagne elettorali dichiarate dagli stessi partiti e controllate dalla Corte dei Conti sono state di circa 600 milioni di euro circa (579.004.383). Inoltre, la progressione ingiustificata dei contributi è dimostrata dal rapporto tra spese e contributi per cittadino, che passa da 0,83 euro pro-capite del 1994 (elezioni politiche) a 10,05 euro delle elezioni politiche del 2008. (pp. 35-36)
• «Il rilevante vantaggio finanziario», prosegue la Corte, « di cui i partiti godono percependo il contributo per varie tornate elettorali è ancora più sensibile se il divario fra l’ammontare delle spese e i rimborsi erogati viene tradotto in percentuali. Il differenziale raggiunge livelli globali molto elevati» e cioè i partiti incassano il 389,22% in più di quanto hanno speso effettivamente. Considerato il rapporto tra spese dei partiti e contributi dello Stato per cittadino nelle elezioni politiche del 2006 e del 2008 i partiti hanno speso 2,47 euro per cittadino e hanno incassato 10,05 euro per cittadino. Se si aggiungono i rimborsi elettorali degli anni 2009-2012 e quelli che i partiti riceveranno, per gli anni 1994-2012, i contributi assommano a 2 miliardi 760 milioni di euro, oltre 3 miliardi rivalutati. (pp. 36-37)
• Altri rilievi e proposte della Corte di Conti riguardano: - il pagamento degli interessi legali sulle somme dovute ai partiti nell’ipotesi di erogazione ritardata per temporanea difficoltà di disponibilità di bilancio. Per cui se lo Stato non può pagare alle scadenze stabilite e ritarda, i rimborsi vengono pagati con gli interessi! (p. 37)
• Anche i Revisori sono controllori che non controllano. Nominati dalle Presidenze dei due rami del Parlamento, nei rapporti annuali dichiarano che la loro indagine si limita al «rispetto formale degli obblighi informativi previsti dalla legge e alla verifica della completezza del contenuto dei documenti esaminati secondo lo schema legale». […] Eppure nel rapporto del 2006 mettono nero su bianco che su 26 richieste di finanziamenti pubblici e altrettanti documenti esaminati solo 6 formazioni politiche avevano i rendiconti regolarmente redatti; 20 «non potevano essere considerati regolarmente redatti». Le irregolarità si sono ripetute quasi nelle stesse proporzioni nel 2006 ma non hanno avuto alcuna conseguenza per nessun partito. […] Eppure, a parere dei Revisori, nei casi di violazione dell’articolo I della legge del 1999 i Presidenti delle Camere potrebbero sospendere i finanziamenti. Potrebbero, ma non lo fanno. (pp. 38-39)
• Nel 2009, su 67 richieste di rimborsi elettorali di partiti e movimenti, 7 hanno avuto i rimborsi ma non hanno trasmesso il rendiconto; 26 «non potevano essere considerati regolarmente redatti» e nonostante le numerose osservazioni non è successo niente; la maggior parte dei partiti non ha allegato il verbale di approvazione del rendiconto e non ha esplicitato i valori di bilancio del 2008. […] L’UDC presenta dichiarazioni congiunte superiori a 50 mila euro difformi rispetto alle indicazioni dei Revisori; parla di imprese partecipate che non risultano; manca una dichiarazione riguardante la partecipazione a società editrici di giornali; alle donne è destinato un importo inferiore a quello previsto dalla legge; la relazione dei Revisori non indica la data; c’è una differenza riguardante i contributi tra quanto dice il rendiconto e quanto dice la Tesoreria. (pp. 39-40)
• C’è un’altra autorità che ogni anno invia una relazione semestrale alle Camere e si occupa del rispetto della legge sui conflitti di interesse (20 luglio 2004). L’articolo 5 comma 1 della legge dice che «i membri del governo devono inviare all’Autorità Antitrust una dichiarazione relativa alla situazione di incompatibilità entro 30 giorni dall’assunzione della carica»; il successivo comma 2 dispone che: «il titolare di una carica di governo nonché il coniuge e i parenti entro il secondo grado sono tenuti a dichiarare all’Autorità (entro 90 giorni dal giuramento) i dati relativi alle proprie attività patrimoniali, ivi comprese le partecipazioni azionarie e le relative variazioni». Il significato della legge è evidente: il controllo dell’Antitrust dovrebbe servire a verificare se uno facendo il ministro o il sottosegretrario utilizza l’incarico per arricchirsi e se l’interesse personale entra in conflitto con quello generale. Le relazioni dal 2006 al 2011 riguardanti i governi Prodi e Berlusconi dicono che gli interessati non inviano volentieri i dati riguardanti i loro patrimoni e soprattutto sono molto resistenti i loro familiari. L’Autorità, come ha sempre fatto la Corte dei Conti, coglie l’occasione delle Relazioni al Parlamento per analizzare e criticare l’efficacia della legge sui conflitti di interesse, mettendone in rilievo tutti gli aspetti negativi di cui il più clamoroso riguarda il titolare della carica: se nel consiglio dei ministri viene approvato un provvedimento che provoca conflitti tra l’interesse generale e quello del presidente del consiglio, ma il provvedimento lo presenta il ministro dello sviluppo economico o dell’economia, non esiste alcun conflitto di interesse. È sufficiente che l’interessato esca e poi rientri. Così come non esistono conflitti se gli atti vengono assunti da dirigenti ministeriali nell’ambito delle proprie competenze e attribuzioni ministeriali. Insomma, se qualsiasi presidente del consiglio e qualsiasi ministro o sottosegretario vogliono fare un affare impunemente approvando un provvedimento che incrementi i loro patrimoni e lo chiedono a un loro collaboratore, ministro o funzionario, magari in cambio di avanzamenti di carriera o di altro, è sufficiente che si allontanino per qualche istante dall’aula, affinché non ci sia conflitto di interessi. (pp. 42-43)
• Andiamo alle tecniche volte ad assicurare la gestione personale e indisturbata dei fondi. La più brutale ed efficace […] è: espello tutti con la clausola di stile «per indegnità politica e morale», […]. Le espulsioni di massa dei militanti politici sono spesso realizzate al solo scopo di prevenire persino ogni dannosa curiosità sull’impiego dei fondi. Vi sono anche sistemi più subdoli. Io sono il capo di un partito perché l’ho fondato: il partito è mio, e nessuno può metterci becco. Per garantirmi costituisco un’associazione privata che chiamo con lo stesso nome del partito, parallela a esso, e che tengo occulta per anni. Siccome amo la trasparenza, pubblico su internet lo statuto del partito, ma mi guardo bene dal pubblicare l’antefatto, ovvero l’atto costitutivo dell’associazione, che dimostra che di essa sono l’unico socio, al massimo con altri pochissimi, fidati familiari o prestanome, e soprattutto dal dichiarare che è l’associazione che "governa" il partito, dato che ne introita i fondi. In questo contesto è anche irrilevante che per vario tempo, per ragioni interne, io rimanga unico socio dell’associazione che ho costituito apposta. Di problemi non ne sorgono: nessuno sa; quelli che sanno non protestano, e la Camera, che paga i fondi, si accontenta delle mie dichiarazioni. Ciò che è certo è che i soldi pubblici, decine di milioni di euro, li ho sempre gestiti io e continuo a farlo. In un secondo momento, poiché non è possibile che un’associazione rimanga troppo tempo a socio unico - perché qualcuno potrebbe obiettare che è solo un paravento - chiamo a farne parte io stesso gli altri soci. Per rispettare la mission iniziale devono essere di assoluta fiducia e, a questo punto, ditemi voi, chi dovrebbero essere se non un mio congiunto e l’assistente che mi ha sempre seguito? Se non rispettassi queste regole, d’altra parte, arrecherei un danno all’obiettivo sociale, poiché vanificherei lo scopo per il quale l’associazione di famiglia è stata costituita: assicurare la gestione dei fondi elettorali del partito. […] Nel frattempo l’assistente che mi spedisce i rendiconti e le richieste di pagamento alla Camera lo nomino parlamentare e gli faccio ricoprire le vesti di tesoriere sia dell’associazione che del partito. […] Inutile dire che l’associazione ha propri organi e resta - e deve essere - ben separata dal partito, […]. Nessuno d’altra parte mi potrebbe tacciare di mancanza di trasparenza e di chiarezza: è l’associazione che introita i fondi del partito, […]. Ovviamente il trucco […] può riuscire solo in un partito che abbia una forte componente leaderistica e personale. […] Traiamo le conclusioni: quelli che affermo essere i rendiconti del partito sono in realtà solo i bilanci dell’associazione di famiglia; i rendiconti/bilanci me li autoapprovo senza che sia necessario disturbare per queste incombenze il mio congiunto o il tesoriere/assistente che comunque è preciso, fa il suo dovere fino in fondo provvedendo a inoltrarli; io stesso mi auto-liquido ingenti somme, e la legge, che è rigorosissima - lo dirò sempre - me lo consente, e ne consente la liquidazione ai miei "fedeli". Rispetto a questo schema, esiste una variante ancor peggiore: posso costruire uno schermo all’interno del partito separato da esso, parallelo e occulto ai più, tranne che, ovviamente, ai fedelissimi che ho messo alla direzione. Il prezzo per loro è la nomina a parlamentari e a capi gruppo alla Camera e al Senato, posto quanto mai vantaggioso, dato che anche i gruppi, a loro volta, incassano molti altri fondi senza che nulla si sappia su come vengono amministrati. (pp. 49-52)
• Nel caso dell’UDEUR, secondo varie e articolate ricostruzioni di stampa, sia i fondi pervenuti al giornale del partito, «Il Campanile», sia gli stessi fondi del partito sarebbero stati amministrati in modo personale, al punto che in tali contesti «la politica sembra la prosecuzione della famiglia» del politico Clemente Mastella «con altri mezzi». [M. Lillo, Per chi suona il campanile, in L’Espresso, 1 novembre 2007). Secondo un’inchiesta del settimanale del «Fatto Quotidiano» «la storia imprenditoriale della Mastella Real Estate, a prescindere dall’esito penale, merita di essere ripercorsa perché rappresenta un caso unico di famiglia che, dopo essersi fatta partito, diventa società immobiliare». [27 maggio 2010] […] Il partito UDEUR era locatario di due appartamenti di rappresentanza in Largo Arenula: al secondo piano era sita la sede del partito e al quarto piano il giornale «Il Campanile». Il 7 aprile del 2005 viene offerto dall’INAIL all’UDEUR di pagare l’immobile con ampio sconto. Si tratta di un’offerta di gran lunga inferiore ai prezzi di mercato dell’epoca. Ed essa, soprattutto, non spetta ad altri che al partito, unico titolare del diritto di prelazione. Parrebbe quindi logico che ad acquistare sia quanto meno una diramazione del partito. L’acquisto è effettuato dalla società Il Campanile Srl che nel maggio 2006 diviene interamente proprietà di Clemente Mastella. Il 10 luglio dello stesso anno, l’ex società del partito compra l’appartamento e poi cambia nome in Servizi e Sviluppo. L’ex tesoriere dell’UDEUR, Tancredi Cimmino, pone in evidenza con quanta disinvoltura il segretario politico effettuasse dei prelievi di somme anche ingenti dai conti correnti del partito. Sentito dal quotidiano, Cimmino precisa: «Era normale che il segretario mi chiedesse soldi per la sua attività e io gli consegnavo le somme senza chiedere la loro destinazione». Seri dubbi sempre sull’impiego dei fondi pubblici del partito provengono, infine, dall’inchiesta denominata ARPAC a Napoli, alla cui udienza preliminare vengono depositati atti i quali attesterebbero che il denaro del partito sarebbe stato utilizzato da una società che fa capo ai due figli dei coniugi Mastella per acquistare immobili in Roma. Due verbali, sempre dell’ex tesoriere e parlamentare UDEUR Tancredi Cimmino, comproverebbero lo storno dei fondi del partito per l’acquisto di ville. Secondo l’avvocato della signora Alessandra Lonardo, moglie di Mastella, però, l’ex parlamentare potrebbe essere animato da intenzioni di rivalsa dopo essere stato allontanato dal partito dallo stesso Mastella, il quale non si fidava più di lui dopo alcuni ammanchi di denaro: vicende per le quali Mastella preferì non sporgere denuncia. Sempre guardando all’ UDEUR […] Un’inchiesta di «Panorama» riporta il documento con cui, nel 2008, si procedette all’espulsione di massa: «Con la presente comunico che il segretario politico del partito, senatore Clemente Mastella, ha sospeso dal partito la Signoria Vostra» e ha deciso «il deferimento al collegio dei probiviri per l’espulsione». Provvedimento firmato da Massimo De Luccia, all’epoca neoresponsabile organizzativo dell’ UDEUR, sconosciuto sino a poco prima. Destinatari: tutti i parlamentari e i dirigenti di rilievo del partito. Per citare solo qualche nome: Mauro Fabris, ex capogruppo alla Camera, già nel 1999 al fianco di Clemente Mastella; Antonio Satta, ex vicesegretario; Angelo Picano, già responsabile organizzativo. Praticamente tutti i membri del consiglio nazionale, i consiglieri regionali ecc. sono stati sospesi con la solita formula: «indegnità morale e politica» o «danno all’immagine del partito». Si è realizzata, in definitiva, un’«epurazione di massa» come afferma l’ex senatore Maurizio Calvi, di Latina, sospeso per «aver nociuto all’immagine del partito attraverso iniziative e dichiarazioni in contrasto con la linea politica». [L. Maragnani, Mastelle, ex-Clemente: “fuori tutti, il tesoretto è mio, in Panorama, 30 marzo 2008]. […] Il deputato Antonio Satta aveva inutilmente e per primo invitato Mastella a dimettersi, diffidandolo dal gestire da solo i fondi elettorali: «Clemente non può pensare di gestirli da solo, come faceva quando i bilanci si approvavano senza, controllo»’. È stato sospeso. La questione di fondo è «pre politica»: chi controlla i fondi elettorali controlla il partito. Nella fattispecie 1,3 milioni di euro l’anno, per tre anni. […] Analoghi meccanismi per i finanziamenti al «Campanile», che erano 1,153 milioni nel 2004; 1,331 milioni nel 2005; 1,179 nel 2006. (pp. 56-58).
• DI PIETRO. Il 26 luglio 2004, un giorno prima dell’approvazione del piano di ripartizione dei fondi elettorali da parte dell’Ente erogatore Camera dei deputati, veniva adottata una «delibera di associazione» (che riportiamo in appendice) - mai resa nota - la quale attestava che i tre soci esclusivi dell’associazione Italia dei Valori erano i signori Antonio Di Pietro, Susanna Mazzoleni (la moglie) e Silvana Mura, queste ultime due chiamate da Antonio Di Pietro, rimasto «socio unico», dopo l’allontanamento di Mario Di Domenico (insieme a Silvana Mura uno dei due soci originari). […] si tratta di due strutture diverse e separate - l’associazione e il partito - ciascuna delle quali potrebbe presentarsi alla Camera e pretendere il pagamento dei rimborsi. (pp. 59-61).
• Altrettanto surreale è il sistema che si basa su quelle che potremmo definire le "offerte ai defunti della politica" elargite attraverso i fondi pubblici. È il caso dei "partiti fantasma" ovvero dei partiti e movimenti politici giuridicamente estinti, addirittura confluiti in altri soggetti politici più ampi, i quali incredibilmente hanno proseguito per anni a incassare milioni, e milioni di euro. […] Nella relazione al bilancio 2009 di Forza Italia firmata dal tesoriere Sandro Bondi si legge: «Il movimento [Forza Italia, ndr] resterà in attività almeno fino a tutto il 2012 anche per consentire la presentazione dei propri rendiconti annuali, a norma di legge indispensabili per completare l’incasso dei residui rimborsi spese elettorali rimasti di propria diretta pertinenza e per permettere la percezione da parte dell’istituto di credito interessato dei crediti elettorali a esso ceduti nel 2007, le cui erogazioni in caso diverso sarebbero sospese». In pratica, a partire dal 2006, Forza Italia ha incassato non solo i rimborsi elettorali riconosciuti per la legislatura che si è interrotta in anticipo, ma anche una quota di quelli spettanti al nuovo gruppo politico «Popolo della Libertà» per il periodo 2008-2013. Alleanza nazionale ha cessato la propria attività nel 2008 e vi sono tuttavia ancora una sede, un comitato di gestione e, i soldi dei fondi elettorali. Il bilancio del 2009 viene chiuso con un attivo di 75 milioni di euro. Nel frattempo è stata costituita una fondazione denominata anch’essa Alleanza nazionale […]. Analoghe situazioni in Rifondazione comunista che ha continuato a incassare per anni per avere partecipato alle elezioni 2006. […] Si è svolta di recente un’assemblea federale, o almeno così è stata definita, che doveva decidere su circa 20 milioni di euro di attivo del partito della Margherita, che ha anch’esso ricevuto i fondi elettorali fino al 2011 per aver partecipato alle elezioni politiche del 2006. Quante migliaia di iscritti vanta oggi il partito della Margherita? In verità nessuno. Sui circa 400 eletti dell’assemblea federale, l’organo statutario della Margherita, si contavano non più di quattro partecipanti. Tra essi: Francesco Rutelli, oggi fondatore di API - Alleanza per l’Italia; il tesoriere Luigi Lusi, attualmente senatore del Partito democratico; Luciano Neri, all’epoca responsabile della Circoscrizione Esteri della Margherita e oggi componente del coordinamento della Circoscrizione Estero del Partito democratico […]. (pp. 63-65)
• Nel caso della Margherita dal bilancio del 2009 si evince un’imponente liquidità, pari a 24 milioni e 636 mila euro, […]. Per ammissione del tesoriere Luigi Lusi, la somma rimasta del partito-che-non-c’è è infatti ancora superiore. Del resto non hanno spese neppure per il personale. […] Le convocazioni a tali assemblee - che più che federali dovrebbero forse definirsi carbonare - pare non arrivino a tutti. […] Ancora Arturo Parisi ironizza: «Di solito le riunioni dell’assemblea per discutere i bilanci vengono convocate in orari come quello del matrimonio di Renzo e Lucia. L’ultima volta eravamo in cinque». […] Le conclusioni le lasciamo a Luigi Lusi, secondo cui: «L’Assemblea federale della Margherita si è, invece, chiusa nella stessa giornata di lunedì con l’approvazione all’unanimità del rendiconto consuntivo 2010, senza alcun debito pregresso (Margherita non ne ha mai avuti sin dalla sua nascita), con 6 dipendenti ancora in pancia, con un avanzo, al 2010, di 2,5 milioni 921 mila e 198,77 euro: cifre pubblicate e accessibili a tutti». (pp. 66-67)
• LA LEGA NORD E IL "PATTO DI FERRO", ANZI D’ORO, CON SILVIO BERLUSCONI. […] Nato - secondo quanto riportato dalla stampa - mediante la donazione di ingenti somme alla Lega, sfociate anche in tal caso in un "contratto", che pare prevedesse addirittura la cessione del simbolo. In un’intervista il 22 giugno 2011, l’ex dirigente leghista Gilberto Oneto - nel 1996 responsabile dell’identità culturale nel «Governo della Padania» e autore di vari servizi sul quotidiano «La Padania» e su Radio Padania Libera - ha dichiarato che tra Lega Nord e Berlusconi esiste un patto firmato da un notaio che "lega" indissolubilmente tale gruppo alle scelte di Berlusconi. Silvio Berlusconi, che ha un forte senso pratico degli affari, avrebbe acquisito anche - stando a tali dichiarazioni - la titolarità del marchio della Lega alle elezioni politiche. Conferme provengono da un esponente della Lega, Gigi Moncalvo che in un’intervista del 14 ottobre 2011 dichiarava: «Bisogna risalire al 2000 quando Berlusconi capisce che senza la Lega non vince le elezioni. Per questo viene incaricato Aldo Brancher di ricucire i rapporti ai minimi termini tra il Cavaliere e il Senatùr. Proprio Brancher riuscì a far siglare ai due questo accordo [...] la Lega era soffocata dai debiti: il partito non riusciva a pagare il mutuo di via Bellerio, a Bossi avevano pignorato la casa; la radio, il quotidiano e la televisione del partito assorbivano una quantità di denaro spaventosa e infine c’erano le problematiche relative ai costi della campagna elettorale, visto che la legge sul finanziamento pubblico dei partiti era stata sospesa dal referendum» [Affari italiani, 14 ottobre 2011]. Parte del patto sarebbe stata la rinuncia da parte di Silvio Berlusconi a una serie di azioni di risarcimento danni promosse contro il direttore della «Padania» Gianluca Marchi e contro lo stesso Umberto Bossi. L’operazione, stimata complessivamente in 70 miliardi, sarebbe stata oggetto di una contrattazione privata tramite un apposito "mediatore" che Moncalvo individua nella figura dell’on. Brancher. […] Già in vista delle elezioni del 2001 Forza Italia aveva concesso delle fideiussioni per risanare ogni debito della Lega. […] Poco prima delle elezioni politiche del maggio 2001 Forza Italia e Lega Nord stipularono un «contratto che trasferiva al signore di Arcore finanche la proprietà del simbolo leghista, Alberto da Giussano con spadone e tutto. In particolare, come documentato, Berlusconi ha fatto avere due miliardi di lire alla Lega alla vigilia delle politiche 2001». Secondo una ricostruzione del «Fatto Quotidiano», in prossimità delle elezioni, due settimane prima, la Banca di Roma concesse un fido del valore di 20,4 miliardi di lire a Forza Italia. Nel documento interno alla Banca pubblicato dal «Fatto» si legge testualmente: «LINEA DI CREDITO DI LIT 20/MILIARDI, DI CUI LIT 2/MILIARDI DISTACCATI CON M/C IN FAVORE DELLA LEGA NORD». Silvio Berlusconi si sarebbe dunque fatto carico sul piano personale di una fideiussione di importo ingente in favore del partito Lega Nord nell’ipotesi in cui forza Italia fosse insolvente […] Ma è la clausola riguardante la Lega Nord a meritare una spiegazione accurata. Come contenuto nella ricostruzione di Giorgio Meletti e Paola Zanca: «La sigla M/C sta per «mandato di credito» e significa che il tesoriere del partito di Bossi o un suo delegato è autorizzato da Forza Italia a farsi versare dalla Banca di Roma fino a 2 miliardi di lire dei 20,4 del credito complessivo concesso. La formula però implica che la Lega Nord ha il diritto di incassare i soldi, ma non ne resta debitrice verso la banca, che continua ad avere per tutta la cifra concessa un solo debitore in prima istanza che è Silvio Berlusconi come prestatore della garanzia fideiussoria». […] Una lettura delle date fornisce conferma di queste ricostruzioni. «Il comitato fidi vara la prima delibera per la concessione del credito [...] il 28 marzo 2001: mancano dieci giorni alla scadenza della presentazione delle liste. II giorno dopo, in via del Plebiscito, si tiene un vertice tra Berlusconi e Bossi proprio per le liste. Alle precedenti politiche del 1996 la Lega ha deciso di andare per conto suo, contribuendo così in modo decisivo alla sconfitta di Berlusconi e alla vittoria di Prodi. Per Berlusconi è decisivo rimettere insieme la coalizione nei collegi che lo aveva fatto vincere la prima volta, nel 1994. Le trattative incominciano nel 1999 e si protraggono in modo tortuoso per mesi. Sullo sfondo, le difficoltà finanziarie di Bossi. Il 28 giugno 2000 l’amministratore di Forza Italia, Giovanni Dell’Elce, scrisse alla Banca di Roma una lettera di questo tenore: «Vi diamo incarico di aprire in favore del movimento politico Lega Nord, che assistiamo finanziariamente, un credito complessivo di due miliardi di lire». La notizia fu pubblicata pochi giorni dopo da Repubblica. Un segnale, probabilmente, perché Berlusconi ha poi sganciato i 2 miliardi solo a liste fatte. Oggi Dell’Elce dice di non ricordare niente: «Sono storie vecchie». C’è da chiedersi se la Lega Nord abbia mai restituito il credito […]. (pp. 69-72)
• L’uso improprio delle norme sulla proprietà industriale a proposito dei simboli di partito sono del tutto disdicevoli in politica prima che nulle e invalide, non trattandosi, sino a prova contraria, di beni da porre in commercio. Eppure tali pratiche si sono andate diffondendo in questi ultimi anni, […]. Ad esempio, come si legge nel suo statuto, «Il nome del Movimento 5 Stelle viene abbinato a un contrassegno registrato a nome di Beppe Grillo, unico titolare dei diritti d’uso dello stesso». E fu Grillo che profetizzò, guarda caso, che «i partiti sono morti». […] Anche il logo della Lega Nord sarebbe stato registrato come di proprietà di Umberto Bossi (33%), Manuela Marrone, sua moglie (33%) e del senatore leghista Giuseppe Leoni (33%), e successivamente, stando alle dichiarazioni sopra riportate e sino ad ora non smentite, ceduto a Berlusconi o posto sotto la sua "tutela"’. (pp. 73-75)
• Ma quanto costa davvero oggi la politica? Secondo i calcoli del «Sole 24 Ore» 23 miliardi all’anno tutto compreso: 1,7 miliardi Camera e Senato e 2,1,3 miliardi le altre istituzioni dello Stato. Tagliare i costi della politica, salvaguardando quelli della democrazia, è il vero problema […]. Per esempio, i 154 mila eletti, tra Camera, Senato, Regioni, Province e Comuni, ridotti del 36,5% e cioè poco più di un terzo, lasciando al loro posto il personale che ci lavora, produrrebbero un risparmio di 1,8 miliardi all’anno. (p. 76)
• Dal 1999 al 2008 i "rimborsi elettorali" sono aumentati del 1.110%. Scrive Giancarlo Pagliarini: «Quasi tutti dicono che bisogna cambiare la legge elettorale, ma non ho ancora sentito nessuno dire che bisogna cambiare la legge sui rimborsi elettorali» [in Allarme Milano, Speranza Milano, 10 novembre 2010]
• La ragione è presto detta: nessuna attività economica rende di più. Le spese di Rifondazione comunista, per la campagna elettorale del 9-10 aprile del 2006 erano state di un milione e 636 mila euro, mentre, in base ai voti ottenuti, i contributi erano di 6 milioni e 987 mila euro all’anno, per i cinque anni di tutta la legislatura 2006-2011. In totale 34 milioni 932 mila euro. Quindi, 100 euro investiti da Rifondazione, sono diventati 2135 euro. Un "ritorno all’investimento" che non si sogna neanche Bill Gates. Per le elezioni del 2008, invece, il record spetta alla Lega Nord: le spese accertate dalla Corte dei Conti sono state di 2 milioni e 940 mila euro e in base ai voti ottenuti il Carroccio ha incassato 8 milioni e 277 mila euro all’anno per cinque anni. In totale 41 milioni 385 mila euro. Dunque 100 euro investiti dalla Lega nella campagna elettorale del 2008 sono diventati 1408 euro. Per quanto riguarda i partiti maggiori la Corte dei Conti ha certificato per le elezioni del 2008 per il PDL una spesa di 54 milioni e un incasso di 206 e per il PD una spesa di 18 milioni e un incasso di 180. Solo per questi due partiti la somma del contributo pubblico è stata di 382 milioni, più del doppio del gettito 2008 dell’imposta sul gioco del Totocalcio e dell’Enalotto (179 milioni). Nel zoo8 i partiti hanno ricevuto contributi per 291,5 milioni di euro, una cifra analoga ai 300 milioni presi dai fondi FAS per fronteggiare la crisi degli stabilimenti FIAT di Pomigliano D’Arco e di Termini Imerese. (pp. 76-78).
• Le istituzioni italiane spendono molto di più delle omologhe europee e funzionano peggio. È utile comparare i costi dell’anno 2010 di Camera e Senato con quelli dell’Assemblea Nazionale e del Senato Francese. In Francia le due assemblee costano meno di un terzo delle nostre, ma per entrambe, la voce più alta di spesa […] è quella per le segreterie parlamentari sia della Camera che del Senato. Su una spesa di circa 292 milioni di euro, questa la cifra totale per l’Assemblea Nazionale, le segreterie costano circa 160 milioni di euro e al Senato le percentuali non cambiano. Per quanto riguarda i contributi ai gruppi parlamentari della Camera e del Senato, dopo il referendum del 1993, sono andati ad aggiungersi ai finanziamenti per le spese elettorali, per scopi diversi:
- contributi (1994-1997) per rimborso spese di segreteria e rappresentanza ai deputati: 92 milioni e 300 mila euro che a prezzi correnti diventano 124 milioni e 700 mila euro circa;
- contributi ai gruppi parlamentari (1994-1997): 50 milioni di euro pari a 68 milioni di oggi;
- rimborsi delle spese sostenute dai deputati per l’esercizio del mandato parlamentare (contributo eletto-elettore) per mantenere il rapporto con gli elettori, nel collegio dove viene eletto (1998-2010): 399 milioni di euro, 447,5 milioni a prezzi correnti;
- contributi per i funzionamento dei gruppi e per le retribuzioni del personale (1998-2010): 345 milioni e 411 mila euro pari a 381 milioni di oggi.
Per il Senato i contributi sono stati poco più della metà. I gruppi parlamentari della Camera negli anni 1994-2010 hanno ricevuto 886.764.482 euro pari a 1 miliardo e 20 milioni di euro a prezzi correnti. Avendo il Senato la metà dei parlamentari della Camera, i gruppi hanno ricevuto almeno 500 milioni di euro ai prezzi correnti. Complessivamente 1,5 miliardi di euro. (pp. 78-79)
• Indennità dei parlamentari e sui vitalizi. Se si calcola l’indennità netta, cioè quanto va in tasca a ciascun parlamentare, è vero che le nostre sono le più alte d’Europa. In quest’ottica una delle poche misure giuste assunte dal governo Berlusconi da poco dimissionario, con le varie manovre finanziarie, è stata quella di demandare a una apposita commissione tecnica diretta dal Presidente dell’ISTAT di rapportare le indennità italiane alla media europea dei trattamenti economici onnicomprensivi dei titolari di cariche elettive dei paesi simili all’Italia. Credo che avremo qualche sorpresa perché le indennità lorde negli altri paesi sono più elevate che nel nostro dal momento che le retribuzioni dei collaboratori sono molto più elevate. Per cui «mettendo insieme indennità parlamentari, diaria, spese di viaggio, spese di segreteria, spese telefoniche, contributo eletto-elettore, retribuzioni dei collaboratori, il costo complessivo mensile lordo di un deputato è più basso rispetto alla Francia, Germania, Gran Bretagna e al Parlamento europeo. Al primo posto c’è il Parlamento europeo con 34.750 euro; segue la Germania con 27.364 euro, la Francia 23.067 euro, la Gran Bretagna a 21.090 e l’Italia 20.487. In altre parole il collaboratore può guadagnare quanto o più del deputato ed è pagato direttamente dalla istituzione: 19.708 euro al Parlamento europeo, 14.712 in Germania, 10.581 in Gran Bretagna e 9131 in Francia. In Italia guadagna 3.690 euro. (p. 80)
• Gli assegni vitalizi o "pensioni" esistono anche negli altri paesi: in Francia e in Gran Bretagna sono alimentati dai contributi dei parlamentari in carica e in Germania e al Parlamento europeo non è previsto alcun contributo. In Francia il vitalizio somiglia a una pensione, dal 2018 occorreranno 62 anni, l’importo dipende dagli anni di contribuzione e il limite massimo è di 41,5 anni di contribuzione. Il parlamentare deve versare un contributo mensile del 10,55%,pari a 787 euro mensili. A questa "pensione ordinaria" se ne può aggiungere una integrativa aumentando il contributo mensile a 1181 euro, pari al 15,82% della indennità. In Germania i deputati non versano contributi e ricevono, a partire da 67 anni, una pensione pari al 2,5% dell’indennità parlamentare per ogni anno di mandato fino a un massimo di 27 anni per un importo pari al 67,5% dell’indennità. In Inghilterra si può godere di una pensione a 65 anni e l’importo varia a seconda dell’entità dei contributi. Con un contributo dell’11,9% si ha diritto a I/40 dell’ultima retribuzione moltiplicata per ogni anno di mandato. Nel Parlamento europeo non ci sono contributi da versare e la pensione si può percepire a 63 anni. L’ammontare è pari al 35% dell’indennità parlamentare per ogni anno di mandato fino a un massimo del 70%. Camera e Senato, in Italia, pagano 2.329 vitalizi diretti e 1.043 di reversibilità. La spesa complessiva è di 196 milioni di euro l’anno, meno di quanto incassano i partiti di finanziamento in un anno. Il più grande scandalo italiano è che 44G6 tra deputati e senatori svolgono un secondo lavoro e alcuni anche un terzo e un quarto. «Quando sono entrato in Parlamento nel 1979 - ricorda Stefano Rodotà - non avevo mai voluto svolgere la professione di avvocato e fino ad allora avevo dato non più di tre o quattro pareri professionali. Diventato parlamentare sono stato sommerso dalla richiesta di pareri, tutti importanti, tutti pagati benissimo. Cosa era successo? Si erano accorti che ero un giurista capace? Non credo. Penso invece, che sul mercato aveva un suo peso il fatto che ero un parlamentare. Aggiungo: una fondazione molto importante, qualche anno fa fece una ricerca sui redditi dei parlamentari sottolineando la progressiva crescita degli introiti da professione privata durante il mandato». (pp. 79-81)
• Enrico Berlinguer, […] in un’intervista a Eugenio Scalfari del 1981: «I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientele: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello, e non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l’iniziativa, sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un "boss" e dei "sotto-boss". I partiti hanno occupato lo Stato e le sue istituzioni, a partire dal governo. Hanno occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Rai-tv, alcuni grandi giornali. Insomma, tutto è già lottizzato e spartito o si vorrebbe lottizzare e spartire. E il risultato è drammatico. Tutte le "operazioni" che le diverse istituzioni e i loro attuali dirigenti sono chiamati a compiere vengono viste prevalentemente in funzione dell’interesse del partito o della corrente o del clan cui si deve la carica. Un credito bancario viene concesso se è utile a questo fine, se procura vantaggi e rapporti di clientela, un’autorizzazione amministrativa viene data, un appalto viene aggiudicato, una cattedra viene assegnata, un’attrezzatura di laboratorio viene finanziata, se i beneficiari fanno atto di fedeltà al partito che procura quei vantaggi. (pp. 83-84)
• Tutti dovrebbero sapere che il nostro è uno dei paesi più corrotti al mondo e che la corruzione costa 60-70 miliardi di euro all’anno, dal momento che alla tradizionale corruzione politico-amministrativa e imprenditoriale va sommata quella mafiosa. La mafia, infatti, non ha più bisogno di uccidere: corrompe e compra. La corruzione è causa determinante della esplosione del debito pubblico e impedisce al Paese di competere. (pp. 84-85)
• Mentre il Paese conosce una crisi che non ha precedenti e rischia il default, le aziende partito sono solide perché hanno le entrate certe dei contributi dello Stato che per alcune superano di dieci volte le spese elettorali per le quali ricevono i soldi. Più che di profitti si può parlare di rendite che non hanno riscontro in nessun’altra attività commerciale ed economica e, forse, nemmeno finanziaria speculativa. Per stabilire il valore delle aziende-partito italiane è indicativo il patrimonio netto.
PD. Ha l’unico bilancio certificato da una società di revisione (Pricewaterhouse Coopers) e si trova su internet. Il partito nel 2010 vale 125.928.854 euro. Nel 2009 vantava crediti per 172.052,731 euro; aveva disponibilità liquide per 17.993.038 euro e 15 milioni di debiti: azienda medio-grande piuttosto solida.
PDL. Vale poco più di due milioni (2.018.801) avendo ceduto tutti i crediti, ha 8,5 milioni di debiti e 11 milioni di disponibilità liquide. Una grande azienda che rischierebbe il fallimento se nei momenti in cui sono necessari soldi non intervenisse Berlusconi a garantire con il suo patrimonio personale.
AN. Vale 76,914.109 euro, ha crediti per oltre 82 milioni, debiti per poco più 1 milione e 200 mila euro, un avanzo di gestione di 38,5 milioni euro: media azienda solidissima.
IDV. Vale 37.499.763 di euro; ha crediti per 32 milioni di euro; debiti per 250.984 euro verso gli istituti di previdenza e circa 37 milioni in cassa: media azienda solidissima a marcata conduzione personale.
Lega Nord. Vale 33.261.323 di euro, vanta crediti del finanziamento pubblico per 18,5 milioni, ha debiti per poco più di 1 milione e in cassa circa 24 milioni: media azienda solida a forte conduzione personale.
UDC. Vale 21.922.997 di euro, ha crediti per 24,5 milioni di euro, poco più di i milione in cassa: media azienda con buona solidità. (pp. 86-87)
• I contributi ai giornali, veri e finti, di partito dal 1990 a oggi sono stati 697.182.863 euro che rivalutati fanno 850.851.746 euro. […] Nel 2009, ultimo anno di erogazione dei contributi, lo Stato ha distribuito 178.657.891 euro per mezzi di comunicazione di partito, […]. (p. 87)
• […] la legge 7 agosto 1990 n. 250, la legge fondamentale dalla quale ha avuto origine il finanziamento ai giornali politici e di partito […]. (p. 88)
• La classifica dei primi dodici [GIORNALI], in base ai soldi ricevuti, è la seguente:
l’Unità: 130.319.818 - 169.250.411; Secolo d’Italia: 60.084.466 - 76.477.238; Liberazione - Rifondazione comunista: 53.582.613 - 63.610.888; Lega Nord - Padania: 53.061.095 - 62.328.343; Il Foglio - Convenzione per la giustizia: 39.515.790 - 44.649.530; Popolo - Partito popolare: 28.869.077 - 41.885.133; Opinione della Libertà: 26.066.333 - 30.568.690; Roma - Mediterraneo: 25.722.018 - 29.437.187; Europa - Margherita: 24.840.887 - 26.657.851; Voce Repubblicana: 22.194.913 - 31.362.195; Notizie Verdi, Sole che ride, Terra: 21.155.682 - 24.361.968; Libero - Opinioni Nuove - Movimento Monarchico: 21.942.644 - 24.928.717. Le cifre della seconda colonna sono rivalutate a oggi. A seguire, non in ordine di finanziamento: «Il Denaro», «Giornale d’Italia» - Pensionati, «Movimento Comunisti Italiani», «Rinascita della sinistra», «Ragioni del Socialismo», «Liberal», «Gazzetta Politica», «Italiani nel mondo», «Unione di centro», «La Discussione», «Cronache di Liberal», «Cristiano Sociali», «Il Campanile», «Borghese», «Avvenimenti», «Avanti della domenica», «Area destra» e altri. Dietro a molti giornali ci sono nomi di capipartito, ministri ed ex ministri. (pp. 92-93).
• I partiti hanno più possibilità di intascare utili quanto più diretto è il controllo delle istituzioni e delle amministrazioni. L’istituzione più vicina ai cittadini e più controllabile è il Comune, […]. Nel libro Paesaggio Costituzione cemento del 2010 Salvatore Settis, […] scrive: «L’Italia ha il più basso tasso di crescita demografica d’Europa e uno dei più bassi del mondo» e «il più alto tasso di consumo del territorio. Negli 11 anni dal 1991 al 2001 l’ISTAT registra un incremento delle superfici urbanizzate del 15%, ben 37,5 volte maggiore del modesto incremento demografico degli stessi anni (0,4%) mentre nei sette anni successivi l’incremento delle superfici edificate è stato del 7,8%. Tra il 1990 e il 2005 la superficie agricola utilizzata in Italia si è ridotta di 3 milioni e 663 mila ettari, un’area più vasta della somma di Lazio e Abruzzo: abbiamo così convertito, cementificato o degradato in quindici anni, senza alcuna pianificazione, il 17,06% del nostro suolo agricolo». E non è finita perché «ogni giorno da Vipiteno a Capo Passero», […] «vengono cementificati 161 ettari di terreno. Pari a 251 campi di calcio». Uno studio pubblicato dalla Regione Calabria (giugno 2009), aggiunge Settis, «ha registrato 5210 abusi edilizi nei 700 chilometri delle coste calabresi, mediamente uno ogni 35 metri, di cui 54 all’interno delle Aree Marine Protette, 421 in Siti di interesse comunitario e 130 nelle Zone a protezione speciale, incluse le Aree Archeologiche [e] vedremo insediarsi fra Mantova e Verona Motor City, quattro milioni e mezzo di metri quadrati con un gigantesco autodromo, enormi centri commerciali, un parco divertimento doppio di Gardaland, sale espositive di case automobilistiche, e così via, un investimento da un miliardo di euro, a cui partecipano gli stessi enti (come la Regione Veneto) che devono rilasciare le autorizzazioni e promuovere le valutazioni di impatto ambientale’". […] Eppure la Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della nazione. È scritto nell’articolo 9, definito «il più originale della nostra Costituzione» da Carlo Azeglio Ciampi. (pp. 94-95)
• Da una inchiesta dell’«Espresso» su "Affittopoli" la signora Polverini, governatrice del Lazio, per alcuni anni e fino al 2004, prima di diventare presidente della giunta regionale, è stata residente in una casa dell’ATER all’Aventino pagando 130 euro al mese. (p. 96)
• Le società partecipate delle Regioni, e degli Enti locali si sono moltiplicate e con esse i consigli di amministrazione e gli amministratori retribuiti che sono diventati migliaia e costano 2,5 miliardi di euro. Le aziende degli Enti locali (Comuni e Province) nel 2009 erano 40.000 e gli amministratori 38.000 tra consiglieri, membri dei consigli di amministrazione e sindaci. Le società regionali sono 600. Il Veneto ne ha 22 con 238 posti disponibili e la Campania 37 e 255 cariche da distribuire. Ad esse vanno aggiunte oltre 1000 cariche degli enti intermedi, come consorzi, parchi, enti di bonifica ecc. Gli amministratori, a cominciare da quelli delle società nazionali, sono quasi sempre ex politici, parlamentari e amministratori locali da sistemare con stipendi più elevati di quelli dei parlamentari. […] Si sono anche riempite di familiari, amici e clientes. (pp. 96-97)
• Prendiamo Bergamo, dove le società sono arrivate alla incredibile cifra di 39 con compiti che nulla hanno a che vedere con le esigenze dei bergamaschi. I casi più clamorosi sono quello della Vocem, società campana acquistata nel 2004 dalla Provincia di Bergamo per costruire una centrale a biomasse nel comune di San Salvatore Telesino in provincia di Benevento, affossata da una tempesta di ricorsi e da una sentenza del TAR di Napoli perché l’autorizzazione non era stata chiesta per costruire un impianto per produrre energia elettrica da biomasse ma per «un impianto di smaltimento di rifiuti» che in quell’area agricola era vietato. Ma la Vocem aveva già speso 4 milioni di euro e lo Stato ne ha chiesto la restituzione, per cui la Provincia ha dovuto ripianare il debito della partecipata. La Mistral Spa partecipata attraverso Bergamo Energia, società del gruppo Abm, a sua volta partecipata al 100% dalla Provincia, avrebbe dovuto costruire impianti eolici nel territorio di Foggia con un investimento di 16 milioni di euro, ma è fallita e anche in questo caso i debiti, sono stati ripianati dalla holding. Non contenti, i bergamaschi di Abm hanno costituito a Roma la Abm E&E con un socio di Pagani in provincia di Salerno e hanno acquistato un cogeneratore per fornire energie ai pastai di Benevento. Anche questa operazione è fallita. A Parma non è andata meglio: le società partecipate sono 47 e hanno fatto un buco di 650 milioni di euro costringendo la giunta e il sindaco a dimettersi perché, oltre agli arrestati e agli indagati, i debiti stavano per portare al fallimento il Comune. A Pavia, la vecchia municipalizzata fondata nel 1903, che aveva sempre gestito bene acqua, gas e trasporti, nel 2000 ha partorito 16 aziende che contavano 90 tra amministratori e sindaci (la vecchia municipalizzata ne aveva cinque che percepivano modesti gettoni di presenza) con un costo di circa 1 milione di euro l’anno. Conseguenza immediata è stato l’aumento delle tariffe dei servizi con il record in tutta la Lombardia. È evidente che la moltiplicazione di posti e di incarichi retribuiti, assegnati per meriti politici e fedeltà ai capi, ha un ritorno finanziario per i partiti, che incassano contributi sugli stipendi e sulle consulenze, ma stravolgono anche gli equilibri democratici interni […]. (pp. 97-98)
• Al Comune di Roma Massimino Varazzani, nominato dal governo commissario straordinario per sanare il debito pregresso del Campidoglio, con un compenso di 400 mila euro l’anno, ha offerto una consulenza di 4 milioni a società esterne per l’affidamento del «servizio di assistenza tecnico-contabile, anche nella gestione dei rapporti con gli uffici di Roma capitale, con l’obiettivo di acquisire e organizzare tutte le informazioni necessarie e propedeutiche alle attività di pagamento, transazione e rendicontazione di competenza della gestione commissariale», che tradotto dal burocratese, neolingua che fa più danni di uno tsunami, in italiano significa che il commissario ha bisogno di qualcuno che lo aiuti a fare di conto e a esaminare la documentazione. La domanda è d’obbligo: ma possibile che nel comune di Roma non ci sia qualcuno: un laureato in economia e commercio, un ragioniere, un avvocato, un contabile che possa aiutare il dottor Varazzani? Certamente che c’è, ma delle due l’una: o il dottore non si fida e pensa che quando va alla toilette gli cambino i numeri o vuole far lavorare qualche società in crisi con i tempi che corrono. Varazzani viene strapagato ma è contestatissimo: nominato la prima volta nel 2010 con decreto del Presidente del consiglio la nomina è stata annullata dal TAR per cui è stato nominato una seconda volta nel 2011. Ma il TAR l’ha già sospeso e ora si attende il verdetto del Consiglio di Stato. Pare che i giudici amministrativi valutino eccessivo l’onorario di 400 mila euro in periodo di vacche magre, una nota stonata di fronte alle proteste del sindaco Alemanno al "suo" governo, per i tagli lineari che imporranno la chiusura di servizi essenziali. E poi Varazzani non dovrebbe essere proprio bisognoso se cumula cariche come: amministratore delegato di Fintecna, vicepresidente dell’ENAV, consigliere della SOGEI, nonostante la legge Frattini sui conflitti di interesse preveda che la carica di Commissario di governo è incompatibile con altri incarichi.
• I dipendenti pubblici in Italia sono 3 milioni e 400 mila. Nei Comuni nel 2005 erano 428.281 e i dirigenti 5.712; nelle Province 56.660 e 1712 dirigenti e nelle Regioni 81.356 e 6296 dirigenti. Il resto nello Stato. Eppure le consulenze sono aumentate di anno in anno e solo in piccola parte giustificate dalle necessità delle amministrazioni. Nel 2003 erano 148.449 con un costo di 919 milioni di euro correnti; nel 2004 146.518 per un costo di 1 miliardo e 97 mila euro; nel 2010 il costo pubblicato dal sito della Funzione Pubblica è di 1,6 miliardi di euro, ma secondo «il Sole 24 Ore» è di 2,5 miliardi. La differenza potrebbe essere dovuta al fatto che non tutte le amministrazioni hanno trasmesso i dati sulle consulenze. (pp. 100-101).
• […] un aneddoto raccontato da John Kennedy: «Un generale francese un giorno ordinò al suo giardiniere di piantare un albero nel giardino. Il giardiniere gli fece presente che quell’albero cresceva lentamente e che sarebbe passato un secolo prima che arrivasse a completo sviluppo. Al che il generale rispose: «Allora non c’è tempo da perdere. Piantalo nel pomeriggio». (pp. 101-102)
• Sulle consulenze la Corte dei Conti è intervenuta continuamente con Linee guida e note istruttorie. Dal 2003 al 2010 ne ha scritte e inviate oltre cento, […]. (p. 102)
• Corruzione. Secondo il «Corruption perceptions index» l’Italia nel 2010 è precipitata al 67° posto su 178 paesi del mondo, mentre nel 2005 era al 41° posto. A sua volta il GRECO - Groupe d’Etats Contre la Corruption - del Consiglio d’Europa, nel 2009 inviò al governo italiano un rapporto con 22 raccomandazioni per combattere efficacemente la corruzione. Il governo Berlusconi, che ha insabbiato insieme al Parlamento una sua proposta di legge anticorruzione, modesta ma forse utile per discutere il problema, ha risposto nel gennaio di quest’anno. E alla fine del maggio scorso il GRECO ha dato il suo giudizio impietoso. Ha trovato del tutto insufficienti sette giustificazioni, solo parzialmente attuate sei, soddisfacenti le altre sulle quali chiede informazioni supplementari. Chiede anche di "mettere in quarantena" gli accusati di corruzione senza attendere la sentenza definitiva. Il GRECO sa bene che in Italia gli accusati e anche gli indagati di corruzione se sono in Parlamento ci restano e se non ci sono hanno molte probabilità di entrarci. Nella graduatoria riguardante la percezione della corruzione, nei primi trenta posti ci sono i paesi che hanno un debito pubblico gestibile, una pubblica amministrazione efficiente, competono nell’economia mondiale, la criminalità organizzata è residuale e ha rapporti marginali con la politica e le istituzioni. Ma, soprattutto, non c’è bisogno di sentenze definitive, che arrivano molto prima, ma, dai cittadini e dagli organi di informazione, per essere esclusi dalla politica e dalle istituzioni. (pp. 105-106)
• 1974 - LEGGE SUL FINANZIAMENTO PUBBLICO. Dopo dieci anni di dibattiti culturali e politici sulla opportunità di finanziare i partiti con soldi pubblici, nel 1974, in pochi giorni, a stragrande maggioranza e con la sola opposizione del Partito liberale, il Parlamento approvava la legge n. 195 sul finanziamento pubblico dei partiti politici. La proposta di legge presentata dagli onorevoli Piccoli DC, Mariotti PSI, Cariglia PSDI e Reale PRI, capigruppo dei partiti che sostenevano il governo, è stata discussa e approvata in otto giorni dalla Camera con 344 voti favorevoli e 44 contrari e inviata il 9 aprile del 1974 al Senato che il 17 l’ha approvata. […] La legge assegnava 15 miliardi di lire di rimborsi elettorali ai partiti che presentavano liste in più di 2/3 dei collegi e ottenevano un quoziente in una circoscrizione e 300.000 voti di lista o più del 2% e 45 miliardi all’anno ai gruppi parlamentari «per l’esplicazione dei propri compiti e per l’attività funzionale dei relativi partiti» così divisi: 15 al Senato e 30 alla Camera. Il finanziamento ai partiti passa attraverso i gruppi parlamentari e «i presidenti dei gruppi sono tenuti a versare ai rispettivi partiti una somma non inferiore al 95% del contributo riscosso». […] Positivi i punti riguardanti il divieto di ricevere finanziamenti «sotto qualsiasi forma, diretta o indiretta, dalla pubblica amministrazione, da enti pubblici e società con partecipazione di capitale pubblico superiore al 20% o di società private da essi controllate»; le sanzioni penali, con condanne da 6 mesi e 4 anni per le violazioni delle norme, e il divieto di cedere a terzi i crediti sul finanziamento pubblico. Tutte norme che partiti e singoli hanno facilmente aggirato o che sono state modificate (cessione dei crediti) da leggi successive. […] Ma soprattutto è stata accantonata la proposta di collegare finanziamento e riforma dei partiti con l’introduzione della loro responsabilità giuridica nella legge dello Stato […]. Il problema di ricondurre i partiti sotto l’imperio della legge è stato rimosso al punto che permane una situazione paradossale: per la dottrina giuridica i partiti sono veri e propri poteri pubblici ma non sono regolati dal diritto. Scelgono i candidati al governo del Paese, delle Regioni, delle Province e dei Comuni; di fatto nominano deputati e senatori, i presidenti delle società di servizi ed enti economici come Rai, ENI, ENEL, Ferrovie, Finmeccanica ecc., pur essendo la loro attività interna al di fuori di ogni controllo. […] Ciò che è certo è che nessuno controlla. Tutto è lasciato alla discrezione dell’oligarca che controlla gli organi del partito, ammesso che ci siano, e la cassa, fa eleggere, anzi nomina, i propri protetti, gli amici e i familiari, li chiama a gestire il finanziamento pubblico. […] Come viene giustificato il finanziamento pubblico? Con la necessità di evitare la corruzione del sistema democratico perché «al divieto dei finanziamenti illeciti fa da contrappeso il finanziamento pubblico». Tremenda illusione smentita dai fatti svelati da Mani Pulite, dai finanziamenti illeciti e dalla corruzione […]. (pp. 110-111)
• Il senatore di maggioranza Luigi Vernaschi prende atto che i partiti non sono amati ma ne attribuisce la responsabilità al fascismo e si esibisce citando Pericle in Tucidide: «Un cittadino ateniese non trascura lo Stato per curare il governo della sua casa, e persino quelli di noi che sono maggiormente impegnati hanno una idea molto giusta della politica. Noi siamo i soli a considerare chi non ha interesse alla vita pubblica non una persona da poco, ma una persona inutile». […] «i partiti oggi negano per sussistere quello che promettevano per esistere». L’affermazione è di Paul Valéry citato dal senatore Augusto Premoli […]. (p. 114)
• Il senatore Salvatore Valitutti, […]: «I partiti italiani sono come quella giovane signora di Kent che sapeva cosa significava l’invito a cena a base di vino e di cocktail. Anche loro sanno cosa è il finanziamento occulto ma non sono in condizione di rifiutarlo. Il finanziamento pubblico non farà diminuire quello privato e occulto». (p. 116).
• 1981 - MODIFICHE ALLA LEGGE - AUMENTO DEL FINANZIAMENTO - DEBITO PUBBLICO. […] Nel 1981 la legge sul finanziamento pubblico ai partiti viene modificata. Per l’anno 1980 il contributo per il funzionamento dei partiti passa da 45 miliardi a 72 miliardi e 630 milioni e per il 1981 a 82 miliardi e 886 milioni. Inoltre vengono introdotti i contributi elettorali per le elezioni regionali a statuto ordinario e a statuto speciale: 20 miliardi di lire per le prime e 5 miliardi per ogni elezione nelle regioni a statuto speciale. Complessivamente dai 60 miliardi precedenti per funzionamento dei partiti e contributi elettorali si passa a 75 miliardi del 1980 e 115 miliardi e 516 milioni, del 1981. Quasi il doppio. Nella legge i divieti previsti dalla legge del 1974 ai partiti vengono estesi ai membri del Parlamento italiano, agli europarlamentari, ai consiglieri regionali, provinciali e comunali. Inoltre è detto che in presenza di violazioni con condanne passate in giudicato vengono tagliati i contributi per una somma doppia di quanto avuto in maniera illegittima. Infine, contributi superiori ai 5 milioni di lire devono essere dichiarati con una dichiarazione congiunta del donatore e del ricevente da depositare alla Camera. […] (p. 120)
• I fatti e i numeri parlano chiaro. Il debito pubblico, dall’Unità d’Italia al 2005, è stato studiato da Paolo Sylos Labini con modelli matematici. Due economisti, Giuseppe Conti e Giuseppe Mastromatteo, hanno verificato i modelli di Sylos Labini e Luigi Pasinetti, molto simili, sulla sostenibilità del debito pubblico in Italia dal 1860 al 2005. Per grandi periodi la sostenibilità del debito è stata la seguente:
1860-1897: situazione fragile e debito insostenibile;
1898-1926: (età giolittiana, compresa la grande guerra e il dopoguerra): debito sostenibile
1927-1934: allontanamento dalla zona di sostenibilità;
1935-1942: stabilizzazione;
1943-47: sostenibilità;
1948-1980: stabilità;
1981-1994 insostenibilità;
1995-2000 miglioramento;
dal 2001 crescita vertiginosa del debito.
• Oscar Giannino, utilizzando i dati delle serie storiche della Banca d’Italia, fornisce i numeri del debito con un confronto tra prima e seconda Repubblica e la media giornaliera nella vita dei singoli governi dal 1994 in poi. Il debito è calcolato in euro e rivalutato a oggi.
1946-1992 (prima Repubblica): 795 miliardi di euro; 47,5 milioni di media giornaliera;
1992-1994: governi Amato e Ciampi: da 795 a 994 miliardi; 285 milioni di media giornaliera;
1994-2011: 1931 miliardi.
Medie giornaliere in milioni al giorno:
I governo Berlusconi: 330,1 - record storico; governo Dini: 207,3; I governo Prodi: 96,2; D’Alema: 76,3; Amato: 124,5; II e III governo Berlusconi 124,5; II governo Prodi 97, 5; IV governo Berlusconi: 217.
Giannino, precisando che non ha simpatie per i governi di centrosinistra, sottolinea che:
1) non è assolutamente vero quanto afferma Berlusconi e cioè di avere ereditato il debito dalla prima Repubblica;
2) i governi Amato e Ciampi sono stati costretti ad affrontare una crisi molto grave e non dissimile dall’attuale. Se ci soffermiamo sugli anni ottanta e novanta dobbiamo constatare che i valori del debito si allontanano progressivamente dalla zona di stabilità e che il rapporto debito-PIL passa dal 57% al 125% nell’arco di 15 anni. Per cui «la gravità assunta dal peso del debito avvenuta attorno alla metà degli anni ottanta cominciava a raggiungere proporzioni da economia di guerra in tempo di pace». (pp. 120-121)
• Nel libro L’imposta patrimoniale scritto nel 1946 e pubblicato da Chiare Lettere, Einaudi sosteneva: «Il miracolo che l’imposta patrimoniale è chiamata a compiere in Italia è davvero grande: nientemeno che mutare a fondo la psicologia del contribuente». (p. 121)
• Il debito pubblico italiano, terzo al mondo, […]. (p. 121)
• Nella Milano da bere […] era tutto in vendita. […] La sanità, […] era uno dei terreni privilegiati perché circolavano tanti soldi […]. Per capire come è stato fabbricato il debito pubblico, quali sono stati i rapporti tra politica e affari, come si comportavano partiti e istituzioni, pochi esempi sono sufficienti. Nel 1989 a Parigi, nell’ospedale di Porte de Choisy, privato e interamente convenzionato, il dottor Guy Vallancien, segretario dell’Associazione nazionale degli urologi francesi, assicurava che un trattamento completo di litotripsia (rottura dei calcoli per esitare l’intervento chirurgico) costava allo Stato circa 4000 franchi, pari a 900 mila lire. All’interlocutore, volato a Parigi per poter testimoniare con cognizione di causa, nel processo in corso a Milano nel quale era imputato l’assessore regionale alla sanità, che incredulo gli chiedeva: com’è possibile? «È semplice - spiegava l’urologo - il paziente viene la mattina con la sua macchina e se ne va la sera. È necessario un solo infermiere. Il medico fa il suo lavoro e se c’è bisogno viene chiamato». L’interlocutore era incredulo perché lo stesso trattamento, nella clinica Città di Milano, allora di proprietà dell’ingegnere Salvatore Ligresti, anch’essa convenzionata dal 1985, compresa la retta di degenza, troppo lunga per essere necessaria, costava alla Regione Lombardia 7 milioni di lire. (pp. 122-123)
• Nel mese di febbraio del 1993, in piena tangentopoli, il Centro di ricerca e documentazione Luigi Einaudi, diretto da Mario Deaglio, ha calcolato che negli anni ottanta, all’aumento del debito, passato da 137 a 772 miliardi di euro attuali, la corruzione aveva contribuito con 75 miliardi di euro, sempre valutati a oggi. Per venire ai giorni nostri, la Corte dei Conti fa sapere che la corruzione costa 60 miliardi di euro all’anno e si capisce anche perché: alla tradizionale corruzione politica, amministrativa e imprenditoriale si è aggiunta quella mafiosa, dal momento che la mafia invece di uccidere corrompe e compri avendo a disposizione 150 miliardi all’anno di denaro da riciclare, che secondo Banca Italia equivalgono al 10% del PIL 2009, e sono in percentuale il doppio della media mondiale. Facendo quattro conti si può affermare che la corruzione vale da 1/4 a 1/3 del debito pubblico italiano. (pp. 126-127)
• Il 20 marzo del 1974, il «Corriere della Sera» si era esercitato a fare i conti dei costi «dell’Azienda partito PSI» presa a campione. […] I conti del «Corriere» non erano esatti: il PSI del 1974 non costava cinque miliardi, ma 8 miliardi e 748 milioni, a fronte di un finanziamento pubblico di 4 miliardi e 993 milioni. La DC costava 21 miliardi e 220 milioni e il PCI 23 miliardi. Nel 1976, dopo soli due anni dall’approvazione della legge sul finanziamento pubblico, la DC costava 28 miliardi e 700 milioni, il PCI 33 e il PSI 12,5 miliardi. Nel 1980 il costo della Democrazia cristiana era raddoppiato (circa 42 miliardi), quello del Partito comunista era aumentato di tre volte e mezzo (circa 71 miliardi) e il Partito socialista costava più del doppio (circa 18 miliardi). Negli anni successivi e fino a Mani Pulite, i costi dei partiti sono aumentati senza freni e nelle loro casse sono entrati miliardi di tangenti che non figuravano nei bilanci […]. (pp. 127-128)
• I tesorieri, a conoscenza dei finanziamenti illeciti, diversamente da tanti compagni di viaggio senza scrupoli, sono a volte anche persone che hanno una propria dignità. (p. 129)
• Nello stesso anno, 1985, il tesoriere del PSI, davanti alla direzione sottolineava che «compagni e simpatizzanti hanno aderito con entusiasmo e responsabilità alle iniziative di autofinanziamento assunte dal partito che copre il 60% delle spese». Tra i finanziatori ufficiali del partito socialista in quell’anno di elezioni regionali, spicca Publitalia 80, di Berlusconi e dell’Utri, con 871 milioni di contributi sotto forma di sconti televisivi, offerti, nella stessa misura, anche alla Democrazia Cristina. I debiti galoppano: nel 1991, alla vigilia di Mani Pulite, la DC mette a bilancio 13 miliardi di debiti cumulati negli anni precedenti, il PDS 45,5 miliardi e il PSI 26,5 miliardi. Debiti che le banche pagano perché ai partiti nessuno dice di no. Le entrate ufficiali dei tre partiti più importanti sono cospicue e solo per un terzo coperte da contributi dello Stato ma le spese sono enormi perché i partiti sono grandi organizzazioni burocratiche che assorbono parte consistente delle entrate. La DC nel 1991 incassa circa 78 miliardi, 15 in meno rispetto all’anno precedente, ma solo per il personale: 510 dipendenti tra Roma e la periferia, spende 25,5 miliardi. Allora, come oggi, i contributi privati più consistenti arrivavano dalle imprese di costruzione e immobiliari, […]. Il legame tra i partiti e il settore immobiliare è la causa più evidente della devastazione del territorio del Bel Paese. Commentando il bilancio del 1991 il senatore Citaristi, plurinquisito di Mani Pulite, manifestava tutta la sua insoddisfazione per i contributi pubblici insufficienti e sottolineava che nel 1981 il personale della Dc assorbiva il 39,7% del contributo statale mentre il 60,63% veniva impiegato per attività politiche. Dieci anni dopo, la spesa per il personale assorbiva tutto il contributo dello Stato e la Dc, a suo dire, per fare politica, faticava a trovare i soldi. Il partito di maggioranza relativa aveva partecipazioni in due società capofila che a loro volta partecipavano con quote di maggioranza una quindicina di società immobiliari ed editoriali. Tra queste ultime, le agenzie di stampa AGI e Asce, sopravvissute. Le immobiliari della DC erano vere corazzate: governavano circa 200 immobili che ospitavano le sedi del partito, sparse in tutto il Paese. Il PDS non era da meno e aveva il vantaggio di una forte militanza che all’occorrenza diventava una efficiente macchina di soldi. Nello stesso anno le entrate delle tessere e dei contributi dei parlamentari dell’ex Partito comunista erano di 72 miliardi di lire, con un versamento medio procapite per la tessera di 50.320 lire, a fronte di un contributo dello Stato di circa 20 miliardi. Sull’intera somma, 15 miliardi li versavano i parlamentari. Ma il personale costava circa 16 miliardi e la corazzata PDS era piena di debiti. Il PSI, nonostante le tangenti dichiarate da Craxi, dalle tessere ufficialmente introitava circa 26 miliardi mentre il contributo dello Stato era meno della metà. Anche per il PSI la spesa più consistente era quella per il personale, oltre 12 miliardi, il disavanzo dell’anno era di oltre 25 miliardi e il debito enorme. Il PSI, come la DC e il PDS aveva molte partecipazioni maggioritarie in società simili: immobiliari, di servizi e editoriali per la pubblicazione dell’«Avanti!», di «Mondo Operaio» e di altri giornali minori. Ogni anno e fino alla vigilia di Mani Pulite, i tesorieri dei tre maggiori partiti nel sottoporre il bilancio alla discussione delle direzioni nazionali, lamentavano la inadeguatezza del finanziamento pubblico, «congelato dal 1981 mentre le spese per beni e servizi per l’attività dei partiti sono cresciute del 141%». (pp. 129-131)
• I partiti che sono spariti con il loro nome e si sono trasformati, come AN e FI nel PDL, Margherita e Democratici di sinistra nel PD, hanno difeso con le unghie e i denti la conferma del nome, attraverso la costituzione di associazioni e fondazioni, con l’obiettivo esplicito di continuare a prendere i finanziamenti. […] Il neonato PDL, d’accordo con FI e AN, che l’hanno costituito, ha ceduto tutti i crediti dei rimborsi elettorali per la ragguardevole somma di oltre 155 milioni di euro a Banca Intesa-Banca Infrastrutture Spa, che si è specializzata nell’anticipare i soldi ai partiti in cambio della cessione dei crediti dei rimborsi e di una congrua somma per gli interessi. I 155 milioni ceduti dal PDL erano così ripartiti: 75% a FI pari a 115 milioni e 25% ad AN pari a 38 milioni e 700 mila euro. Anche gli interessi da pagare, oltre 10 milioni, sono stati ripartiti nella stessa proporzione. […] la Margherita avendo fatto attività limitata ha risparmiato ed ha un bel gruzzolo in cassa, mentre i Democratici di sinistra pur avendo un bel patrimonio immobiliare, al 31 dicembre 2009 hanno un disavanzo di 142,5 milioni di euro e debiti verso le banche per oltre 177 milioni di euro. Chi sa conservare i soldi dei rimborsi elettorali sono l’IDV di Di Pietro e la Lega di Bossi, […]. (pp. 132-133)
• Basta dare uno sguardo ai bilanci per accorgersi che i partiti italiani vivono di solo finanziamento pubblico essendo le donazioni private ridotte al lumicino. I cittadini, anche quelli iscritti, non hanno alcuna fiducia nei partiti e non li finanziano più. Il PDL, per l’iscrizione fa pagare da 25 a 50 euro e incassa, in tutto il Paese, il solo contributo di Marco Bisagno da Verona superiore a 50 mila euro e 1.941.829 euro di contributi inferiori. Per un partito pieno di benestanti non è proprio il massimo. Il PD, erede della grande tradizione militante comunista, a fronte di 172 milioni di euro di crediti per rimborsi elettorali incassa, 576.904 euro di contributi da persone fisiche. Non va meglio l’IDV che nel 2009 riceve donazioni per 50.193 euro dai simpatizzanti in tutto il Paese. (p. 133)
• Dal 1974 al 1993, anno del referendum che ha cancellato il finanziamento pubblico, i partiti hanno incassato 1.615.913.293.000 (mille e seicento miliardi novecento cento, tredici milioni duecentonovantatremila lire) pari a 877.834.854 di euro che rivalutati al 2010 diventano 2 miliardi e 852.934.609. (p. 134)
• Craxi prende il coraggio a due mani e il 3 luglio 1992, durante il discorso di fiducia al governo Amato, chiama in causa tutti i partiti: «Bisogna innanzitutto dire la verità delle cose e non nascondersi dietro nobili e altisonanti parole di circostanza che molto spesso, e in certi casi, hanno tutto il sapore della menzogna. Si è diffusa nel Paese, nella vita delle istituzioni e delle pubbliche amministrazioni, una rete di corruttele grandi e piccole che segnalano uno stato di crescente degrado della vita pubblica. E così all’ombra di un finanziamento irregolare dei partiti, e ripeto, al sistema politico, fioriscono e si intrecciano casi di corruzione e concussione, che come tali vanno definiti, trattati, provati e giudicati. E, tuttavia d’altra parte, ciò che bisogna dire, e che tutti sanno del resto, è che buona parte del finanziamento politico è irregolare o illegale. I partiti, specie quelli che contano su apparati grandi, medi e piccoli, giornali, attività propagandistiche, promozionali e associative, e con essi molte e varie strutture politiche operative, hanno ricorso e ricorrono all’uso di risorse aggiuntive in forma irregolare o illegale. Se gran parte di questa materia deve essere considerata materia puramente criminale, allora gran parte del sistema sarebbe un sistema criminale. Non credo che ci sia nessuno in quest’aula, responsabile politico di organizzazioni importanti, che possa alzarsi e pronunciare un giuramento in senso contrario a quanto affermo: presto o tardi i fatti si incaricheranno di dichiararlo spergiuro». L’intervento del leader socialista fu accolto da un silenzio assordante. Avendo ricevuto ben 11 avvisi di garanzia per finanziamento illecito e corruzione Craxi, che l’11 febbraio del 1993 si era dimesso dalla segreteria del partito, […]. Il leader socialista giustificò con la necessità di finanziare la politica e il funzionamento dei partiti i finanziamenti illeciti e affermò che se il finanziamento illecito era materia criminale allora valeva per tutti. […] Nelle motivazioni della sentenza della Corte di Appello di Milano dell’8 febbraio 2005 del processo a Maurizio Raggio è scritto che Craxi davanti al magistrato, nel sottolineare che «al sistema d’illegalità diffusa partecipavano in forme diverse tanto i maggiori gruppi economici, quanto i partiti di governo e di opposizione, aveva candidamente ammesso che nel quadriennio 1987/1990 erano pervenuti al PSI in forma extra contabile contributi per complessivi 187 miliardi di lire». Nella sentenza della Corte di Appello, confermata dalla Cassazione il 29 aprile del 2009, si legge anche: «Il giudice di primo grado tuttavia rileva che nei suoi corposi memoriali Craxi si è sempre guardato dall’accennare alla disponibilità dei conti International Gold Coast e Constellation Financicre, che all’epoca non erano ancora stati scoperti e costituivano per lui un importante "tesoretto" riposto nelle fidate mani, prima di Tradati, poi di Raggio, condannato all’esito del giudizio abbreviato a 3 anni e 4 mesi di reclusione e interdizione dai pubblici uffici per 5 anni, per riciclaggio e ricettazione». Tenuto conto che alla somma di 187 miliardi era necessario aggiungere tutte le tangenti delle Regioni, delle Province, dei Comuni, dei tantissimi Enti governati dal PSI, che andavano ai tesorieri e nelle tasche dei singoli, si può capire quale sia stato negli anni ottanta il prelievo dalle casse dello Stato e dalle tasche degli italiani e come finanziamenti illeciti e corruzioni abbiano alimentato e ingigantito il debito pubblico. Ma Craxi ha commesso anche un errore tacendo l’esistenza dei due conti personali che hanno fatto il giro dei paradisi fiscali e sui la quali sono transitati circa 50 miliardi di vecchie lire. Forse aveva taciuto nella speranza che non fossero mai scoperti. Se avesse detto che anche una parte di quel denaro era servito per il partito e per l’«Avanti! » (come in effetti è stato) e che quanto rimasto veniva restituito allo Stato, avrebbe messo in serie difficoltà i dirigenti degli altri partiti, i due discorsi fatti alla Camera sarebbero stati più credibili e forse non sarebbe fuggito ad Hammamet. (pp. 135-136)
• 1993 - REFERENDUM ABROGATIVO. Al referendum abrogativo promosso dai radicali per cancellare il finanziamento pubblico aveva partecipato il 77% degli elettori e il 90,3% aveva votato per l’abrogazione della legge. Nel mese di dicembre dello stesso anno, in vista delle elezioni politiche del 27-28 marzo del 1994, il Parlamento aggira l’ostacolo e approva la legge sui rimborsi elettorali. Il contributo incassato nel 1994 dai partiti per le elezioni politiche, europee e regionali sarde è stato di 138 miliardi e 55 milioni di lire, pari a 71 milioni e 299 mila euro, che rivalutati in prezzi correnti diventano oltre 103 milioni di euro. […] Così, dopo l’entrata in vigore della legge 515 del 1993 che imponeva limiti alle spese elettorali dei partiti e dei singoli, il rimborso delle spese elettorali era già di 1600 lire moltiplicate per il numero degli abitanti della Repubblica. Con il paradosso che lo Stato da una parte conteneva le spese delle campagne elettorali e dall’altra spingeva i partiti a spendere di più. (p. 137).
• 1996 - COMMISSIONE ANTI-CORRUZIONE. È al governo Romano Prodi che ha vinto le elezioni battendo Berlusconi. […] Il 26 settembre 1996, a sorpresa, Luciano Violante, Presidente della Camera, propone la costituzione di una commissione anti-corruzione composta da 25 deputati, con criteri proporzionali, con il compito di esaminare «i progetti di legge recanti misure per la prevenzione e la repressione dei fenomeni di corruzione». […] Ma la Commissione nasce morta perché:
- i deputati designati a farne parte erano di terza e quarta fila e quindi non contavano nulla. Essendo sconosciuti sarebbero stati ignorati dagli organi di informazione, mentre la Commissione Bicamerale, con tutti i capipartito dentro era assediata dalla stampa.
- la maggior parte dei 25 nominati dal Parlamento di corruzione non si erano mai occupati e non ritenevano l’argomento importante;
- le proposte di legge che più hanno preoccupato la maggioranza trasversale della commissione erano quelle che prevedevano controlli di legalità anche per i membri del governo, i parlamentari e gli amministratori regionali e locali. È noto che i parlamentari rifiutano qualsiasi controllo di legalità che riguardi loro e i familiari. […] I lavori della Commissione, che dovevano concludersi in tre mesi per dare segnali precisi alla pubblica opinione, si sono protratti fino al 2001 e nel silenzio generale la Commissione è stata sciolta senza informare il Parlamento. (pp. 138-139)
• 1997 - CONTRIBUZIONE VOLONTARIA. […] legge n. 2 del gennaio 1997 sulla contribuzione volontaria dei cittadini per finanziare la politica. Presentata al Senato dai senatori Luciano Guerzoni (sinistra democratica-Ulivo) e Marco Preioni (Lega) con distinte proposte poi unificate e approvata in Commissione affari costituzionali in sede deliberante per bruciare i tempi, il testo fu inviato subito alla Camera che ne iniziò la discussione nel mese di agosto per riprenderla a settembre. La legge, novità assoluta, prevedeva la destinazione volontaria del 4 per mille dell’IRPEF di ciascun contribuente al finanziamento della politica e un tetto massimo di finanziamento di 110 miliardi, per cui se le somme incassate fossero state superiori i soldi sarebbero stati messi a disposizione del bilancio dello Stato, se fossero state inferiori, i partiti avrebbero ricevuto le somme effettivamente incassate. Altri punti qualificanti erano:
- le detrazioni fiscali per le contribuzioni liberali;
- i finanziamenti alle organizzazioni periferiche per il 30% del totale ricevuto;
- i controlli dei bilanci;
- il divieto di chiedere detrazioni fiscali da parte di persone fisiche, società di capitali ed enti commerciali che avessero dichiarato passività nelle dichiarazioni dei redditi dell’anno precedente a quello nel quale avevano versato i contributi;
- l’obbligo di allegare ai bilanci dei partiti quelli delle società partecipate, anche tramite fiduciarie o per interposta persona e per le società editrici di giornali e periodici, ogni altra documentazione prescritta dal garante per la radiodiffusione e l’editoria. (pp. 141-142)
• 1999 - SI CANCELLA IL REFERENDUM. Le cose sono peggiorate con l’approvazione della legge n. 157 del 1999 che prevedeva il contributo di 4000 lire moltiplicato per il numero dei cittadini iscritti nelle liste elettorali della Camera: nemmeno di quelli che andavano a votare!, con ulteriore aumento del cosiddetto contributo per le spese elettorali che passava da 138 miliardi del 1994 a 175 miliardi pari a oltre 90 milioni di euro. […] I tempi di discussione e di approvazione sono rapidi anche questa volta. Ma […] per superare le obiezioni dell’opposizione di Alleanza nazionale e di Fini si moltiplicano le sedute di commissione e di aula. Alla Camera la Commissione affari costituzionali dal 14 gennaio al 24 febbraio si riunisce nove volte e l’aula, a marzo, cinque volte. Il Senato mantiene lo stesso ritmo, modifica il testo e lo rimanda alla Camera che lo approva senza modifiche. In tutto 4 mesi che per il Parlamento italiano costituiscono una evenienza davvero rara. (p. 143)
• la legge del 1999 contiene norme che vale la pena ricordare:
- il quorum per ottenere i finanziamenti si abbassa dal 3% dei voti (legge 515 del 1993) all’1% con evidente sollecitazione a moltiplicare le liste elettorali e a favorire la frantumazione politica e istituzionale;
- il tetto per i contributi liberali passa da 100 a 200 milioni di lire;
- se si interrompe la legislatura i partiti hanno diritto solo ai rimborsi per un numero di anni pari alla durata della legislatura […].
La legge è stata approvata definitivamente con 279 sì e 130 no ed è entrata in vigore il giorno successivo alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. (pp. 144-147)
• Il 26 luglio del 2002 viene approvata la legge n. 156, Disposizioni in materia di rimborsi elettorali, che al posto delle 4000 lire moltiplicate per il numero degli iscritti nelle liste elettorali della Camera, dal momento che bisogna ragionare in euro, dice che per ognuno dei quattro fondi (Camera, Senato, europee e regionali) i partiti incassano un euro all’anno, sempre moltiplicato per il numero di iscritti nelle liste elettorali. In sostanza anziché 4000 lire moltiplicate per il numero degli elettori, quattro euro moltiplicati per il numero degli elettori per cinque anni della legislatura. Quindi anziché 200 milioni di lire circa 200 milioni di euro che in cinque anni fanno un miliardo. Ma non è finita qui. Un vero e proprio "colpo di mano" a parere di Giancarlo Pagliarini, ex ministro del Bilancio del primo governo Berlusconi, uscito dalla Lega, è stato compiuto con il decreto del 30 dicembre 2005 convertito «in una lunghissima e orribile legge, all’inizio del 2006 (n. 51/06) chiamata “mille proroghe”». Nell’articolo 39-quater-decies (sic!) sono state sostituite delle espressioni che, lo abbiamo già constatato, cambiano in peggio - e non di poco - i criteri del finanziamento dei partiti. Alla formula «il versamento è interrotto» nei casi di scioglimento anticipato del Parlamento si è preferito il nuovo assunto per cui «il versamento è comunque effettuato». È stato sufficiente cambiare «interrotto» con «comunque effettuato», scrive Giancarlo Pagliarini «per fare incassare ai partiti politici, se non sbaglio i calcoli, circa 300 milioni di euro sulle elezioni del 2006 che con il vecchio testo i partiti non avrebbero incassato. Più altri 200 milioni sulle elezioni del 2008, se l’anno venturo ci saranno le elezioni anticipate». […] Anche in questo caso è stata una corsa contro il tempo: approvazione della legge di conversione al Senato il 2 febbraio 2006 e il 9 febbraio alla Camera. L’11 febbraio il Presidente della Repubblica ha sciolto le Camere. Piccolo particolare: il governo Berlusconi aveva chiesto la fiducia. Ma la legge del 2006 contiene anche altre norme micidiali: - la possibilità per i partiti di cedere a terzi i crediti del finanziamento pubblico, operazione severamente proibita dalle leggi precedenti; - l’impossibilità per i creditori dei partiti «di pretendere dagli amministratori l’adempimento delle obbligazioni del partito se non qualora questi ultimi abbiano agito con dolo o colpa grave». Per cui gli amministratori sono esenti da responsabilità civile; - l’istituzione di un fondo di garanzia per pagare i debiti dei partiti maturati prima dell’entrata in vigore di questa legge, alimentato dall’1% delle risorse stanziate; - l’aumento fino a 50.000 euro dei contributi senza l’obbligo di rendere note le generalità di chi li versa. (pp. 148-150).
• FRANCIA. I contributi ai partiti politici sono di due tipi: Contributo annuale a carico del bilancio dello Stato e Rimborso delle spese elettorali.
a) Il contributo annuale istituito con legge del 1988 più volte modificata si divide in due frazioni. La prima è assegnata ai partiti che alle elezioni per il rinnovo dell’Assemblea Nazionale abbiano presentato candidati in almeno 50 circoscrizioni e abbiano ottenuto almeno l’1% dei voti espressi in tali circoscrizioni al primo turno. La seconda frazione viene assegnata sulla base della rappresentanza parlamentare ai partiti che passati al primo turno siano riusciti a ottenere una rappresentanza all’Assemblea Nazionale o al Senato. Per cui ogni parlamentare all’inizio della legislatura deve comunicare all’Ufficio di Presidenza della propria assemblea a quale partito è collegato. I partiti per legge devono avere tra i candidati una presenza femminile. Tra il numero dei candidati di ciascun sesso non può esserci un differenza superiore al 2% del totale dei candidati, pena sanzioni sui finanziamenti della prima frazione. Lo stanziamento complessivo per il contributo statale è rimasto invariato dal 1995 al 2007: circa 80,2 milioni di euro. Tra il 2003 e il 2007 il contributo erogato è stato di 73,2 milioni di euro perché alcuni partiti sono stati penalizzati avendo violato la regola della parità tra i sessi. Nel 2010 il contributo è stato di 74,8 milioni di euro.
b) Il rimborso delle spese elettorali viene assegnato ai candidati alle elezioni presidenziali e ai candidati all’Assemblea Nazionale, ed è soggetto a un limite di spesa di 38.000 euro per ciascun candidato, maggiorato di 1,26 euro per abitante della circoscrizione elettorale. Per avere il rimborso il candidato deve ottenere almeno il 5% dei voti al primo turno. Il rimborso è pari al 50% del limite fissato e non può superare le spese effettive sostenute dal candidato. Per i candidati alle presidenziali il limite di spesa è fissato in 13,7 milioni di euro al primo turno e in 18,3 al secondo turno. Il rimborso forfettario dello Stato per le elezioni presidenziali nel 2007 è stato di 44 milioni di euro. Mentre per le elezioni legislative dello stesso anno l’ammontare complessivo del rimborso elettorale è stato di 43.137.676 euro, i 7634 candidati hanno dichiarato spese effettive per 78 milioni e 789 mila euro. Dei 7.634, 239 non hanno presentato il conto della campagna elettorale e sono stati esclusi i candidati che non hanno raggiunto il 5%. Complessivamente tra contributo annuale e rimborso delle spese elettorali nel 2007 lo Stato ha erogato contributi per circa 116 milioni di euro a fronte di una spesa elettorale certificata di circa 79 milioni di euro. In Italia per le elezioni politiche del 2006 la spesa dei partiti riconosciuta dalla Corte dei Conti è stata di circa 123 milioni di euro e i contributi dello Stato di 499 milioni, 645 mila 745 euro con una differenza percentuale del 406,63%.
Finanziamenti privati: una legge del 2005 stabilisce che i partiti politici possono avere finanziamenti privati tramite un mandatario, un’associazione di finanziamento e direttamente da persone fisiche. Le associazioni devono avere l’approvazione della "Commission nationale des comptes de campagne et de financements politiques" e devono dimostrare che hanno come unico scopo sociale il reperimento dei fondi per finanziare un partito politico fornito di Statuto nel quale sia indicato il territorio nel quale intende fare attività politica. Il mandatario deve aprire un conto bancario o postale sul quale versa tutti i saldi ricevuti per il partito che rappresenta. Solo persone fisiche possono dare contributi privati, che non possono superare la cifra di 7500 euro all’anno, e le donazioni superiori a 150 euro devono essere fatte con assegno, bonifico, prelievo automatico o carta di credito. Insomma deve restare traccia anche se la somma è minima. Ricordiamoci che in Italia i contributi possono essere di 50 mila euro e chi li dà può non dichiararli. In Francia sono vietate donazioni da parte delle persone giuridiche. Il mandatario nella ricevuta che rilascia a chi fa una donazione può omettere il nome del partito beneficiario solo per contributi inferiori ai 3000 euro. La violazione delle norme prevede un’ammenda di poche migliaia di euro e la detenzione per un anno. I rendiconti dei partiti devono essere certificati da due Revisori e depositati alla Commíssion nationale che blocca il finanziamento pubblico per l’anno successivo se accerta violazione degli obblighi. Tra le sanzioni è prevista la ineleggibiltà del candidato per un anno, comminata dal Consiglio Costituzionale.
Il finanziamento pubblico diretto e indiretto ai primi 10 partiti politici dimostra un equilibrio tra finanziamento pubblico, che per il 2007 è stato di 69 milioni di euro, e contributi privati. Il confronto con i partiti italiani dimostra che il rapporto è molto squilibrato a favore del finanziamento pubblico. Nel 2005 per FI, DS, AN, Comunisti italiani, il finanziamento pubblico rappresentava l’80% delle entrate; per la Margherita, Il Nuovo PSI, la Lista Pannella il 90% e per l’Italia dei Valori il 99%. Negli anni successivi lo squilibrio è andato sempre più aumentando a favore del finanziamento pubblico. A conferma che i cittadini italiani non finanziano i loro partiti e persino gli iscritti e gli eletti versano poco e malvolentieri. In Italia, la disaffezione viene confermata dai versamenti del 5 per mille. Ai primi cinque posti si piazzano Medici senza frontiere, Emergency, UNICEF, AIRC e AIL, che raccolgono più di un milione di preferenze e 36 milioni di euro, mentre le fondazioni politiche ne ricevono poche migliaia: Nuova Italia di Gianni Alemanno su circa 40 milioni di contribuenti ha ricevuto 406 preferenze e 7 mila euro e Italiani europei di Massimo D’Alema e Giuliano Amato, 93 sostenitori e 15 mila euro.
• GERMANIA. In Germania i partiti politici hanno responsabilità giuridica e sono regolati dalla legge sui partiti approvata il 24 luglio del 1967. Dopo molte modifiche imposte ai legislatori dal Tribunale Costituzionale Federale è stata approvata la legge del 31 gennaio 1994. Nei suoi interventi il Tribunale Costituzionale ha imposto al Bundestag (il Parlamento federale) di evitare quanto in Italia finora è stato impossibile e cioè di confondere il finanziamento pubblico per il funzionamento dei partiti con il rimborso delle spese elettorali e di ridimensionare gli sgravi fiscali sulle donazioni ai partiti. Inoltre, con una sentenza del 2004 ha imposto di ripartire il contributo pubblico anche ai partiti minori. I contributi pubblici, che non possono superare i 133 milioni di euro all’anno, sono divisi in due parti:
- un contributo proporzionale ai voti ricevuti e cioè 0,85 euro per ogni voto valido fino a 4 milioni di voti e 0,70 euro oltre i 14 milioni;
- un contributo di 0,38 euro per ogni euro che ciascun partito riceve sotto forma di autofinanziamento.
[…] Il confronto tra finanziamento pubblico e autofinanziamento per l’anno 2010, riguardante i primi dieci partiti politici è il seguente: finanziamento pubblico 129 milioni di euro, autofinanziamento 218 milioni. La legge tedesca impone vincoli severi e sanzioni alle violazioni sia per il finanziamento pubblico sia per quello privato. Una donazione privata fino a 1000 euro può essere data in contanti; contributi superiori a 10 mila euro nel corso di un anno devono essere registrati con il nome e l’indirizzo del donatore, mentre in Italia fino a 50 mila euro la donazione può essere anonima; le donazioni che superano i 50 mila euro in Germania devono essere segnalate immediatamente al Presidente del Bundestag che le pubblica con il nome del donatore. Sono vietate le donazioni:
- da organismi di diritto pubblico e da imprese a partecipazione pubblica superiore al 25% delle azioni;
- dalle fondazioni politiche;
- che superino i 1000 euro quando non sia noto il donatore;
- che provengono dall’estero.
Per donazioni vietate un partito perde il diritto al finanziamento pubblico per una somma pari a tre volte gli importi ricevuti illegalmente. […] I rendiconti devono essere approvati con delibera formale dai presidenti dei partiti, dal Presidente del Bundestag, che approva dopo l’esame di un revisore o di una società di certificazione dei bilanci, che ha il potere di chiedere informazioni e documenti, e infine sono sottoposti alla verifica della Corte Federale dei conti, l’equivalente della nostra Corte dei Conti. Sono previste sanzioni penali con il carcere fino a tre anni che diventano cinque se si dimostra che chi ha violato le regole aveva interesse a favorire o a danneggiare qualcuno. […] Accanto ai partiti politici in Germania operano le Fondazioni finanziate dallo Stato che per legge e statuto sono autonome, devono evitare qualsiasi commistione finanziaria con i partiti di riferimento o scattano incompatibilità tra i rispettivi dirigenti. Cioè non si può avere allo stesso tempo un incarico di direzione nel partito e nella Fondazione […]. (pp. 154-157)
• REGNO UNITO. Essendo i partiti privi di personalità giuridica il finanziamento pubblico è marginale. Le donazioni ai partiti politici durante la campagna elettorale del 2010 sono state di 26,3 milioni di sterline a fronte di 6 milioni di finanziamenti pubblici. Il confronto con l’Italia è immediato: i partiti sono finanziati dallo Stato, hanno rilevanza costituzionale, ma rifiutano responsabilità giuridiche e controlli perché sono associazioni private. Sono due le caratteristiche dell’ordinamento inglese: prevalgono i servizi sul finanziamento e ne usufruiscono tutti i partiti; i finanziamenti sono attribuiti ai partiti di opposizione con una particolare dotazione al leader dell’opposizione, per lo svolgimento dell’attività parlamentare e per le spese di viaggio. Tra i servizi più significativi: spazi televisivi e radiofonici per i candidati alle elezioni politiche, una sorta di contributo indiretto valutato tra 3 e 10 milioni di sterline annue con divieto di acquistare ulteriori spazi per fare pubblicità; registrazione degli elettori a carico delle comunità locali; servizi postali gratuiti per la propaganda elettorale; spazi pubblici per riunioni e incontri per le elezioni politiche, europee e locali. Il finanziamento privato è regolamentato dall’Electoral Administration Act del 2006 che ha istituito un organismo indipendente di vigilanza - la Electoral Commission - che impone una serie di obblighi ai partiti sui finanziamenti e sulle spese. Tutti i finanziamenti privati, provenienti da singoli o da società, da imprese o da organizzazioni sindacali, superiori a 1000 o a 5000 sterline in un anno, a seconda se ricevute da un membro del partito o da un’associazione collegata ai partiti, devono essere segnalati alla Commissione, che li registra e li pubblica. Per i candidati al Parlamento il limite di spesa è di 7150 sterline alle quali si aggiungono 7 o 5 pences per ciascun elettore a seconda che sia candidato in un’area urbana o rurale […] (pp. 157-158)
• SPAGNA . Lo Stato e le Comunità autonome finanziano i partiti politici spagnoli in base alla Ley Organica del Regimen Electoral General del 1985, con:
- rimborsi delle spese elettorali a livello statale e regionale;
- sovvenzioni annuali per le spese di funzionamento;
- sovvenzioni straordinarie per i referendum;
- sovvenzioni annuali delle Comunità autonome per le spese di funzionamento nel proprio territorio;
- contributi ai partiti dai gruppi parlamentari delle Camere e dalle Assemblee delle Comunità autonome.
Nelle elezioni politiche del 2008 per le spese elettorali il contributo è stato di 21.167 euro per ciascun seggio ottenuto al Congresso dei deputati o al Senato; 0,79 euro per ciascun voto ottenuto da ogni candidato al Congresso e 0,32 euro per ciascun voto ottenuto dai candidati eletti al Senato. Poiché i deputati sono 350 e i senatori 263 il contributo è stato di circa 7,5 milioni di euro per gli eletti alla Camera e di 5,5 milioni di euro per gli eletti al Senato. Il finanziamento annuale complessivo ai partiti e per ciascuna forza politica negli ultimi 10 anni è passato da 57 a 82 milioni di euro ai quali è da aggiungere il contributo di 4 milioni e 228 mila euro per la sicurezza dei parlamentari. Nulla a che vedere con gli incrementi dei contributi italiani. I gruppi parlamentari del Congresso e del Senato per il 2011 hanno ricevuto dalle rispettive assemblee, attraverso i bilanci interni, circa 2 e 6 milioni di euro. Una parte di questi soldi possono girarli ai rispettivi partiti. Ma per dare un’idea dell’entità delle somme, i gruppi parlamentari della Camera in Italia ricevono circa 35 milioni di euro, che vanno aggiunti al cosiddetto rimborso delle spese elettorali. Anche in Spagna sono possibili finanziamenti privati in forme diverse regolati da una legge del 2007 che prevede di identificare chiunque versi contributi da rendite patrimoniali per importi uguali o superiori a 300 euro. Dicasi 300 euro in Spagna e più di 50 mila in Italia! In Spagna sono assolutamente vietate le donazioni anonime e le donazioni di più di 100 mila euro annuali che comunque vanno sempre registrate. I rendiconti delle donazioni pubbliche devono essere presentati alla Corte dei Conti che a sua volta entro sei mesi sottopone una relazione all’approvazione del Parlamento, che successivamente viene pubblicata nella Gazzetta Ufficiale di Stato. La Corte dei Conti ha il potere di irrogare sanzioni pecuniarie ai partiti che abbiano ottenuto donazioni in violazione alle norme di legge, fino a un importo pari al doppio del contributo ricevuto illegalmente. Inoltre la Corte può proporre di non assegnare i contributi pubblici. (pp. 158-159)
• […] Come me ha scritto Dimitri Deliolanes, riprendendo un graffito che si legge su un muro di Atene, «in un mondo per pochi non c’è posto per nessuno». (p. 162)
• I partiti politici trovano definizione nell’art. I del Regolamento CE n. 2004 del 4 novembre 2003 del Parlamento europeo e del Consiglio, relativo allo Statuto e al finanziamento dei partiti pubblici a livello europeo: «Si intende per "partito politico" un’associazione di cittadini che persegue obiettivi politici e che è riconosciuta o istituita in conformità dell’ordinamento giuridico di almeno uno Stato membro». (p. 168)