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 2012  luglio 15 Domenica calendario

IL MINISTRO PROFUMO CONTRO I FUORI CORSO MA PER GLI ATENEI SONO MINIERE D’ORO


Gli studenti che non studiano sono cialtroni da appendere al pennone più alto della spending review. Vero. Ma fino a un certo punto. Si fa presto a tuonare, come è capitato al ministro della Pubblica Istruzione, Università e Ricerca Francesco Profumo ieri a Palermo che «gli studenti fuori corso hanno un costo anche in termini sociali». E «dobbiamo dare un segnale forte creando le condizioni affinché i nostri studenti possano seguire con regolarità i corsi e dare gli esami e soprattutto nel caso in cui abbiano un lavoro facciano una scelta: ossia quella del part time». D’accordo, quasi banale ribadirlo. Ma dietro la frase ad effetto il ministro nasconde una serie d’interrogativi. Per dire: perché, invece di inveire contro gli studenti svogliati (giusto: mio padre mi tagliò i fondi all’università già al secondo anno, per portarsi avanti col lavoro...), egli non ha ancora prodotto richiami al corpo docente o agli atenei per risolvere il problema dei «baroni», ordinari che da decenni occupano ruoli di primo piano nelle università e impediscono il ricambio generazionale? Perchè non ha evitato di citare il part time in un momento in cui già aggrapparsi un lavoro part - spesso in nero - è complicato, figuriamoci il time? Perché il ministro non ha ricordato che, con la nuova norma sul limite del 20% dal Fondo di Finanziamento Ordinario, ha di fatto liberalizzato le tasse universitarie, consentendo ad ogni ateneo di aumentarle per tutti gli studenti -in o fuoricorso – con gli stessi mediocri servizi? E aparte il fatto che non si capisce quale sia tecnicamente il «costo in termini sociali dei fuori corso», è chiaro che il ministro abbia un’amnesia sul fatto che i «fuori corsi » siano stati una categoria da anni supportata, sostenuta e nutrita dalle stesse università che ora li condannano. Vuoi perchè l’aumento progressivo delle tasse (e vale, purtroppo anche per gli studenti-lavoratori) d’iscrizione pompavano le casse degli atenei. Vuoi perché, da tutti gli istituti di statistica, i fuori corso andavano a riempire il novero non dei «disoccupati » -quali erano- ma quello degli studenti. Così lo Stato poteva vantare un numero di disoccupati inferiore alla realtà; e per le università i fuori corso non erano un «costo sociale», ma un «cespite»...