VARIE 16/7/2012, 16 luglio 2012
APPUNTI PER GAZZETTA - NAPOLITANO CONTRO I GIUDICI
CORRIERE.IT
Giorgio Napolitano contro i giudici di Palermo. Il presidente della Repubblica ha infatti firmato il decreto con cui affida all’Avvocatura dello Stato l’incarico di sollevare il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato. Il Quirinale, in altri termini, va all’attacco della procura di Palermo, in relazione alla vicenda delle telefonate intercettate tra il consigliere del presidente per gli Affari giuridici Loris D’Ambrosio e l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino a proposito della presunta trattativa tra Stato e mafia negli anni 90. Durante l’attività d’intercettazione ci sarebbero state anche un paio di telefonate fra Mancino e Napolitano, telefonate che avrebbero dovuto essere distrutte, provvedimento che il procuratore del capoluogo siciliano Francesco Messineo non ha ancora disposto. A giudicare sul conflitto sarà la Corte costituzionale.
IL COMUNICATO - A spiegare le ragioni della decisione di Napolitano è lo stesso comunicato stampa in cui il Quirinale dà la notizia: «Alla determinazione di sollevare il confitto, il presidente Napolitano è pervenuto ritenendo dovere del Presidente della Repubblica, secondo l’insegnamento di Luigi Einaudi, evitare si pongano, nel suo silenzio o nella inammissibile sua ignoranza dell’occorso, precedenti, grazie ai quali accada o sembri accadere che egli non trasmetta al suo successore immuni da qualsiasi incrinatura le facoltà che la Costituzione gli attribuisce».
IL DECRETO - Il dispositivo con cui Napolitano dà mandato all’avvocatura dello Stato di sollevare il conflitto di attribuzione è stato pubblicato sul sito del Quirinale. È evidente che l’iniziativa del Colle punta ad evitare che le intercettazioni che coinvolgono il capo dello Stato, ancorché ritenute non rilevanti per i pm, non finiscano agli atti del procedimento a disposizione delle parti. «La Procura, dopo aver preso cognizione delle conversazioni, le ha preliminarmente valutate sotto il profilo della rilevanza e intende ora mantenerle agli atti del procedimento perché esse siano dapprima sottoposte ai difensori delle parti ai fini del loro ascolto e successivamente, nel contraddittorio tra le parti stesse, sottoposte all’esame del giudice ai fini della loro acquisizione ove non manifestamente irrilevanti». Il che sarebbe, a giudizio del Colle, una violazione delle prerogative presidenziali: «Le intercettazioni di conversazioni cui partecipa il Presidente della Repubblica, ancorché indirette od occasionali, sono invece da considerarsi assolutamente vietate e non possono quindi essere in alcun modo valutate, utilizzate e trascritte e di esse il pubblico ministero deve immediatamente chiedere al giudice la distruzione».
M. Br.
CORRIERE.IT - RISPONDONO I GIUDICI
MILANO - L’operato della Procura di Palermo nell’inchiesta sulla presunta trattativa tra Stato e mafia che avrebbe coinvolto l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino «risponde ai principi del diritto penale e della Costituzione», e nelle intercettazioni «non sono state violate le prerogative costituzionali del capo dello Stato»: così ha dichiarato il procuratore della Repubblica Francesco Messineo riguardo al conflitto d’attribuzione sollevato dal Quirinale per le intercettazioni delle telefonate tra il presidente Napolitano e Mancino. «Sono sereno - ha continuato il procuratore -. Le intercettazioni sono state occasionali e imprevedibili». Mentre Antonio Ingroia, uno dei pm titolari dell’inchiesta ha dichiarato: «Nessuna intercettazione è risultata rilevante su chi ha immunità».
IL PARERE DI INGROIA - Ancora più netto il parere di Antonio Ingroia, l’aggiunto che coordina le indagini palermitane sulla trattativa Stato-mafia: «Se l’intercettazione non è rilevante per la persona che è sottoposta a immunità e lo è per un indagato qualsiasi, può essere utilizzata», afferma l’inquirente, sottolineando la piena legittimità del proprio operato e di quello degli altri sostituti coinvolti. «Secondo la nostra posizione - aggiunge Ingroia - per altro confortata da illustri studiosi, se l’intercettazione è rilevante nei confronti della persona intercettata, allora è legittima. Non esistono intercettazioni rilevanti nei confronti di persone coperte da immunità. E per quelle non coperte da immunità non c’e bisogno di alcuna autorizzazione a procedere».
SEVERINO: IL COLLE HA USATO IL MEZZO GIUSTO - Per il ministro della Giustizia, Paola Severino, a Mosca per una serie di incontri e un bilaterale con il collega russo, «il capo dello Stato ha utilizzato il mezzo più corretto» sollevando un conflitto di attribuzioni nei confronti della Procura di Palermo, davanti alla Corte costituzionale, per la vicenda delle intercettazioni nell’ambito dell’inchiesta sulla presunta trattativa Stato-mafia». Il Guardasigilli ricorda che non si tratta del primo conflitto di attribuzione sollevato dal Quirinale: «Il presidente Ciampi lo sollevò e fu risolto in sede costituzionale sull’interpretazione della normativa di grazia». Secondo Severino, la Consulta è «l’organismo più indipendente ed elevato al quale i soggetti costituzionali titolati si possono rivolgere per le problematiche interpretative sulle leggi». Il ministro ha inoltre ricordato che lo stesso Napolitano ha citato Einaudi proprio per chiarire «il desiderio di corretta interpretazione» e «non certo di sollevare conflitti politici o polveroni».
CORRIERE.IT - IL COMUNICATO
Doveroso conflitto di attribuzione dinanzi alla Corte Costituzionale per
le decisioni sulle intercettazioni di conversazioni telefoniche del Capo
dello Stato
Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha affidato all’Avvocato Generale dello
Stato l’incarico di rappresentare la Presidenza della Repubblica nel giudizio per conflitto di
attribuzione da sollevare dinanzi alla Corte Costituzionale nei confronti della Procura
della Repubblica di Palermo per le decisioni che questa ha assunto su intercettazioni di
conversazioni telefoniche del Capo dello Stato; decisioni che il Presidente ha considerato,
anche se riferite a intercettazioni indirette, lesive di prerogative attribuitegli dalla
Costituzione.
Alla determinazione di sollevare il conflitto, il Presidente Napolitano è pervenuto
ritenendo "dovere del Presidente della Repubblica", secondo l’insegnamento di Luigi
Einaudi, "evitare si pongano, nel suo silenzio o nella inammissibile sua ignoranza
dell’occorso, precedenti, grazie ai quali accada o sembri accadere che egli non trasmetta al
suo successore immuni da qualsiasi incrinatura le facoltà che la Costituzione gli
attribuisce»
CORRIERE.IT - IL DECRETO
16/07/2012
Decreto del Presidente della Repubblica
PREMESSO che, nell’ambito di procedimento penale pendente dinanzi alla procura della
Repubblica presso il Tribunale ordinario di Palermo, sono state captate conversazioni del
Presidente della Repubblica nel corso di intercettazioni telefoniche effettuate su utenza di
altra persona;
PRESO ATTO che il procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, in
risposta a richiesta di notizie formulata il 27 giugno 2012 dall’Avvocato Generale dello
Stato, ha riferito, il successivo 6 luglio, che, "questa procura, avendo già valutato come
irrilevante ai fini del procedimento qualsivoglia eventuale comunicazione telefonica in atti
diretta al Capo dello Stato non ne prevede alcuna utilizzazione investigativa o processuale,
ma esclusivamente la distruzione da effettuare con l’osservanza delle formalità di legge";
PRESO ATTO altresì che, con nota diffusa il 9 luglio 2012 e con lettera al quotidiano "la
Repubblica" pubblicata l’11 luglio 2012, il procuratore della Repubblica ha ulteriormente
affermato tra l’altro, sempre con riferimento alle indicate intercettazioni, che "in tali casi
alla successiva distruzione della conversazione legittimamente ascoltata e registrata si
procede esclusivamente previa valutazione della irrilevanza della conversazione stessa ai
fini del procedimento e con la autorizzazione del giudice per le indagini preliminari,
sentite le parti";
CONSIDERATO che la procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, dopo
aver preso cognizione delle conversazioni, le ha preliminarmente valutate sotto il profilo
della rilevanza e intende ora mantenerle agli atti del procedimento perché esse siano
dapprima sottoposte ai difensori delle parti ai fini del loro ascolto e successivamente, nel
contraddittorio tra le parti stesse, sottoposte all’esame del giudice ai fini della loro
acquisizione ove non manifestamente irrilevanti;
RITENUTO che, a norma dell’articolo 90 della Costituzione e dell’articolo 7 della legge 5
giugno 1989, n. 219 - salvi i casi di alto tradimento o attentato alla Costituzione e secondo
il regime previsto dalle norme che disciplinano il procedimento di accusa - le
intercettazioni di conversazioni cui partecipa il Presidente della Repubblica, ancorché
indirette od occasionali, sono invece da considerarsi assolutamente vietate e non possono
quindi essere in alcun modo valutate, utilizzate e trascritte e di esse il pubblico ministero
deve immediatamente chiedere al giudice la distruzione;
OSSERVATO che comportano lesione delle prerogative costituzionali del Presidente
della Repubblica, quantomeno sotto il profilo della loro menomazione, l’avvenuta
valutazione sulla rilevanza delle intercettazioni ai fini della loro eventuale utilizzazione
(investigativa o processuale), la permanenza delle intercettazioni agli atti del
procedimento e l’intento di attivare una procedura camerale che - anche a ragione della
instaurazione di un contraddittorio sul punto - aggrava gli effetti lesivi delle precedenti
condotte;
RILEVATO che "E’ dovere del Presidente della Repubblica di evitare si pongano, nel suo
silenzio o nella inammissibile sua ignoranza dell’occorso, precedenti, grazie ai quali
accada o sembri accadere che egli non trasmetta al suo successore immuni da qualsiasi
incrinatura le facoltà che la Costituzione gli attribuisce" (Luigi Einaudi);
ASSUNTA, conseguentemente, la determinazione di sollevare formale conflitto di
attribuzione dinanzi alla Corte Costituzionale, ai sensi dell’articolo 134 della Costituzione,
avverso la decisione della procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di
Palermo di valutare la rilevanza di conversazioni del Presidente della Repubblica e di
mantenerle agli atti del procedimento penale perché, nel contraddittorio tra le parti, siano
successivamente sottoposte alle determinazioni del giudice ai fini della loro eventuale
acquisizione,
DECRETA
la rappresentanza del Presidente della Repubblica nel giudizio per conflitto di attribuzione
indicato nelle premesse è affidata all’Avvocato Generale dello Stato.
Roma, 16 luglio 2012
CORRIERE.IT - COME È ANDATA
In Italia è «assolutamente» vietato intercettare le conversazioni alle quali partecipa il Presidente della Repubblica. Lo stabilisce l’articolo 90 della Costituzione e l’articolo 7 della legge 5 giugno 1989, n. 219. Nel caso si venisse in qualunque modo in possesso di intercettazioni in cui uno degli interlocutori è il capo dello Stato le conversazioni «non possono essere in alcun modo valutate, utilizzate e trascritte e di esse il pubblico ministero deve immediatamente chiedere al giudice la distruzione». È a questo principio che fa riferimento Giorgio Napolitano nell’affidare all’Avvocatura dello Stato l’incarico di promuovere il cosiddetto «conflitto di attribuzione» nei confronti della Procura di Palermo che indaga sulla presunta trattativa tra apparati dello Stato e i capi della mafia per mettere fine alla stagione delle stragi del 92/93. A dirimere il conflitto viene ora chiamata la Corte costituzionale.
INTERCETTAZIONI SU ALTRA UTENZA - Nel decreto pubblicato sul sito del Quirinale si fa esplicito riferimento proprio a quella normativa che impedisce di intercettare le conversazioni del capo dello Stato. E questo perchè proprio durante le indagini della Procura di Palermo «sono state captate conversazioni del presidente della Repubblica nel corso di intercettazioni telefoniche effettuate su utenza di altra persona». Conversazioni che, fa rilevare il Quirinale, la stessa Procura di Palermo ha ritenuto «irrilevanti» e delle quali dunque non si prevede «alcuna utilizzazione investigativa o processuale ma esclusivamente la distruzione da effettuare con l’osservanza delle formalità di legge».
AUTORIZZAZIONE DEL GIUDICE - Ma allora perchè Napolitano solleva il conflitto di attribuzione? Una risposta in qualche modo si può trovare sempre nel comunicato del Quirinale dove si fa riferimento all’intervento il 9 luglio scorso sul quotidiano La Repubblica del procuratore di Palermo Francesco Messineo. In quella circostanza il capo della Procura siciliana disse che pur essendo quelle intercettazioni irrilevanti «alla successiva distruzione della conversazione legittimamente ascoltata e registrata si procede esclusivamente previa valutazione della irrilevanza della conversazione stessa ai fini del procedimento e con la autorizzazione del giudice per le indagini preliminari, sentite le parti». Ed è proprio questo il punto chiave della controversia che il Quirinale ritiene lesivo delle prerogative del Capo dello Stato. Cioè il fatto di mettere le intercettazioni a disposizioni delle parti e poi del Gip. Con la sottintesa preoccupazione che in questo modo finiscano facilmente anche sui giornali.
LE TELEFONATE DI MANCINO - Ma cosa concretamente hanno ascoltato i magistrati indagando sulla trattativa Stato-mafia? Difficile dirlo. I Pm di Palermo anche dopo il comunicato del Quirinale hanno tenuto a ribadire l’irrilevanza delle conversazione registrate. In ogni caso tutto lascia pensare che il tema sia in qualche modo legato alle insistenti telefonate, queste ampiamente finite sui giornali, con le quali l’ex Presidente del Senato Nicola Mancino, indagato per falsa testimonianza proprio nell’ambito dell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia, sollecitava un intervento presso i magistrati di Palermo del consigliere giuridico del Quirinale Loris D’Ambrosio. In particolare alcune tra queste intercettazioni hanno acceso il dibattito sui giornali in queste ultime settimane. Come per esempio quella del 5 aprile quando D’Ambrosio dice a Mancino: «Il presidente condivide la sua preoccupa... cioè, diventa una cosa... inopportuna...». E l’ex ministro replica: «Questi si dovrebbero muovere al più presto».
Alfio Sciacca
WWW.ILFATTO.IT
Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha affidato all’avvocato generale dello Stato l’incarico di rappresentare la Presidenza della Repubblica nel giudizio per conflitto di attribuzione davanti alla Corte Costituzionale nei confronti della Procura della Repubblica di Palermo. Oggetto del ricorso, le decisioni che i pm hanno assunto sulle intercettazioni di conversazioni telefoniche del Capo dello Stato. Secondo il Quirinale le prerogative del Colle sono state già lese dai magistrati al momento della valutazione sull’irrilevanza delle telefonate intercettate.
Decisioni che il Presidente ha considerato lesive di prerogative attribuitegli dalla Costituzione, anche se riferite a intercettazioni indirette, cioè non disposte su utenze del Quirinale. Alla determinazione di sollevare il confitto, si legge in una nota del Quirinale, Napolitano è pervenuto ritenendo “dovere del Presidente della Repubblica”, secondo l’insegnamento di Luigi Einaudi, “evitare si pongano, nel suo silenzio o nella inammissibile sua ignoranza dell’occorso, precedenti, grazie ai quali accada o sembri accadere che egli non trasmetta al suo successore immuni da qualsiasi incrinatura le facoltà che la Costituzione gli attribuisce”.
L’iniziativa del presidente trova d’accordo il ministro della Giustizia Paola Severino, in visita ufficiale a Mosca: “Il capo dello Stato ha utilizzato il mezzo più corretto – ha affermato – tra quelli previsti dal nostro ordinamento per risolvere i problemi interpretativi della legge sulle intercettazioni quando queste abbiano ad oggetto conversazioni telefoniche che hanno come interlocutore anche il capo dello Stato”. Secondo il ministro lo scopo del Quirinale è chiaro: “Non certo sollevare conflitti politici o polveroni, ma mettere in chiaro i punti di un’interpretazione che potrebbero riguardare non solo l’attuale presidente della Repubblica ma anche la funzione del presidente della Repubblica”.
Nel decreto con cui il Capo dello Stato ha promosso il conflitto di attribuzione, citando l’art. 90 della Costituzione e la legge 5 giugno 1989, n. 219, si sostiene che le intercettazioni cui partecipa il Presidente della Repubblica, anche se indirette, “non possono essere in alcun modo valutate, utilizzate e trascritte”, salvi i casi di alto tradimento o attentato alla Costituzione. “Comportano lesione delle prerogative costituzionali del Presidente della Repubblica, quantomeno sotto il profilo della loro menomazione – è scritto nel decreto – l’avvenuta valutazione sulla rilevanza delle intercettazioni ai fini della loro eventuale utilizzazione (investigativa o processuale), la permanenza delle intercettazioni agli atti del procedimento e l’intento di attivare una procedura camerale che – anche a ragione della instaurazione di un contraddittorio sul punto – aggrava gli effetti lesivi delle precedenti condotte”.
Per discutere della decisione di Napolitano si è svolta al Palazzo di giustizia di Palermo un vertice presieduto dal Procuratore capo Francesco Messineo, che sull’iniziativa del Capo dello Stato si è detto “sereno”, visto che “”tutte le norme messe a tutela del Presidente della Repubblica riguardo a una attività diretta a limitare le sue prerogative sono state rispettate”. Il procuratore ha poi aggiunto: “Ci troviamo in presenza di un’intercettazione occasionale, di un fatto imprevedibile che a mio parere sfugge alla normativa in esame. Non c’è stato alcun controllo sul Presidente della Repubblica”. Parole confermate anche dal pm Antonio Ingroia, secondo cui “non ci sono intercettazioni rilevanti su chi è coperto da immunità. Se l’intercettazione non è rilevante per la persona che è sottoposta a immunità e lo è per un indagato qualsiasi, può essere utilizzata. Secondo la nostra posizione – ha aggiunto Ingroia – per altro confortata da illustri studiosi, se l’intercettazione è rilevante nei confronti della persona intercettata, allora è legittima. Non esistono intercettazioni rilevanti nei confronti di persone coperte da immunità. E per quelle non coperte da immunità non c’e bisogno di alcuna autorizzazione a procedere”.
Secondo Sonia Alfano, eurodeputata dell’Idv e presidente della commissione Antimafia europea, “non esiste alcuna motivazione giuridica che giustifichi un atto del genere. Il Presidente Napolitano sta commettendo l’ennesimo scempio, rendendosi di fatto complice dell’isolamento dei magistrati palermitani che stanno indagando sulla trattativa Stato-mafia. E’ ormai evidente che bisogna difendere la democrazia e la Repubblica dalle gesta sconsiderate di Napolitano che, come colpito dalla stessa sindrome che caratterizzò gli ultimi mesi del settennato di Cossiga, sta scadendo nel golpismo e nell’attentato alla Costituzione”. E ancora: “Spero che le forze democratiche valutino se non ricorrano gli estremi per la messa in stato d’accusa del Presidente Napolitano”.
Sulle intercettazioni che hanno coinvolto il Quirinale era nato un caso nei giorni scorsi. Oggetto del contendere, le presunte conversazioni registrate tra l’ex ministro Nicola Mancino, indagato nell’inchiesta sulla trattativa fra Stato e mafia, e il presidente della Repubblica. Il fondatore di Repubblica Eugenio Scalfari aveva scritto un duro commento contro la Procura di Palermo, sostenendo che l’attività di intercettazione avrebbe dovuto essere interrotta immediatamente, appena fosse risuonata la voce del Presidente.
A Scalfari aveva risposto Messineo: “Nell’ordinamento attuale nessuna norma prescrive o anche soltanto autorizza l’immediata cessazione dell’ascolto e della registrazione quando, nel corso di una intercettazione telefonica legittimamente autorizzata, venga casualmente ascoltata una conversazione fra il soggetto sottoposto ad intercettazione ed altra persona nei cui confronti non poteva essere disposta alcuna intercettazione”.
Articolo 7, comma 3 della legge 5 giugno 1989 n. 219
3. Nei confronti del Presidente della Repubblica non possono essere adottati i provvedimenti indicati nel comma 2 (cioè le intercettazioni) se non dopo che la Corte costituzionale ne abbia disposto la sospensione dalla carica.