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 2012  luglio 15 Domenica calendario

TAORMINA CHIEDE LA CASA DI COGNE COME ONORARIO


Condanna o meno, gli avvocati si pagano. Più cari o meno cari che siano. Carlo Taormina ne fa una questione di principio e sottolinea che, pur non avendo bisogno dei soldi della mamma di Cogne né di quelli di nessun altro, lui il suo onorario lo pretende. Ottocentomila euro per avere difeso Annamaria Franzoni dall’accusa di omicidio del figlio Samuele Lorenzi. Era il 30 gennaio 2001 e il bambino aveva 3 anni quand’è stato ucciso. Colpito alla testa con 17 colpi mentre dormiva (o piangeva) nel lettone dei genitori. Tre gradi di giudizio stabilirono, davanti a una mole di indizi e ma non una prova, che la colpevole è la madre. Annamaria aveva 30 trent’anni allora. L’avvocato professore Carlo Taormina, suo difensore dal giugno 2002 (subentrato al professore Carlo Federico Grosso) fino al 2006, quegli euro di parcella li ha aspettati. Li ha inutilmente chiesti e richiesti alla signora, con un atto di citazione quando lei era già in carcere a Bologna, condannata in via definitiva a 16 anni. Gliene avevano inflitti 30 nei due precedenti gradi di giudizio. Annamaria è rinchiusa nel carcere della Dozza dal 2008 e avendo già scontato 4 anni (fra indulto e benefici), ne passeranno circa altri 7 prima che possa uscire. Carlo Taormina oggi non intende più aspettare: vuole i suoi 800 mila euro. Ma siccome la condannata non risponde, lui ha preparato una richiesta di sequestro cautelativo di immobile. Quale immobile? Lo chalet del delitto, «ovvio». «Ovvio », perché dice lo stesso avvocato creditore, «quella casa dell’omicidio che ha fatto il giro macabro del mondo, non se la prenderebbe nessuno. Nessuno eccetto me». Il processo di Cogne, ovvero quello mediatico per eccellenza, era stato portato avanti da Carlo Taormina con grande entusiasmo e partecipazione mediatica. «Ho lavorato senza sosta. Sono stati nominati consulenti tecnici che ancora devono essere pagati. Ho affrontato le cosiddette spese vive. Insomma ho fatto il mio lavoro e non è ammissibile che la signora Franzoni non mi paghi», la spiegazione dell’avvocato è chiara. E sostenuta da un’osservazione: «Suppongo che fra libri e interviste televisive concesse a destra e sinistra da Annamaria, di denaro nelle sue tasche ne sia entrato. Però io non ho visto una lira nemmeno di quei proventi». L’avvocato sottolinea di avere perso i contatti con la mamma di Cogne, mentre con i familiari di lei sono rimasti vivi e frequenti. «Ma non sono loro a dovermi i soldi», obietta, «è Annamaria che deve pagarmi». Invece lei sembra non pensarci. E tace. Poco importa che il suo ex avvocato non soltanto continui a ribadire la di lei innocenza con le stesse forze e animosità con le quali si batteva in aula negli anni del processo, ma abbia anche fatto un ulteriore passo. A insaputa della detenuta e di suo marito Stefano Lorenzi (l’uomo che fin dall’inizio e in ogni momento l’ha sostenuta ritenendola innocente), Carlo Taormina ha consegnato al procuratore generale di Aosta un oggetto. Glielo ha indicato una veggente come possibile arma del delitto. Cioè? «Cioè una pinza», spiega il professore, «di quelle che usano gli elettricisti e gli elettrauti per rimettere in moto le macchine. La veggente fece ritrovare l’oggetto misterioso lungo il greto di un torrente. A ridosso dello chalet. La pinza è in Procura. E Taormina spera che qualcuno si decida a compiere i rilievi del caso. Intanto aspetta i soldi.