Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  luglio 14 Sabato calendario

LA GUERRA PER GLI INDIRIZZI “LIBERI”

Domini web liberalizzati e ad hoc, scritti in un alfabeto diverso dal nostro e accentati, per ampliare la circolazione internazionale attraverso la Rete. L’innovazione è duplice ed è stata accordata da Icann, acronimo di Internet Corporation for Assigned Names and Numbers, ente privato e no profit che si occupa dell’assegnazione dei domini e della gestione degli indirizzi ip. I primi segnali sono arrivati mercoledì, da quando cioè è possibile registrare i domini ’.it  ’ con l’accento e caratteri non latini. Oltre a chi già fa parte dell’Europa dei 27, possono farlo i Paesi dello Spazio economico europeo (See), che includono Islanda, Norvegia e Liechtenstein, oltre a Vaticano, Repubblica di San Marino e Svizzera. Questo significa che, oltre a papa.it  ,sarà possibile registrare ’pa  pà.it  ’. A questo si aggiunge la proposta di Icann, che da gennaio ad aprile ha raccolto le domande di società pubbliche e privati che intendono creare la propria estensione “su misura”. Per ora sono 22 quelli disponibili di “primo livello” (tld, “top level domain”), come  .gov  , .com, .edu, .net e 280 di livello nazionale, ad esempio .it, .uk, .fr. E le richieste “promosse” andranno online a metà del metà 2013. Da lì vedremo sbarcare in rete, ad esempio, domini come ’.drink’ o ’.apple’ che consentiranno alle aziende di rafforzare il proprio brand. Otterranno via libera le proposte che rispettano la proprietà intellettuale e sono pertinenti rispetto al profilo del richiedente.
Fiat ha già speso 2 milioni
per avere il via libera
Ma i costi sono elevatissimi. Il solo inoltro della richiesta, senza garanzia di risposta positiva da parte di Icann, era di 185mila dollari. E l’operazione di liberalizzazione frutterà all’ente circa 350milionididollari,ilquintuplodelsuobudget annuale. “Icann ha colto le richieste di altri paesi, in particolare la Cina, di aprire il mercato ai domini”, spiega Juan Carlos de Martin, co-fondatore del Centro Nexa su Internet e Società del Politecnico di Torino. L’ente, infatti, che prima dipendeva dal Dipartimento del Commercio americano, ha siglato nel 2009 un accordo con il Gac, Government Advisory Committee, costituito da supervisori internazionali per garantire maggioreindipendenzadalgovernoUsa.Afronte del trasferimento del controllo i Brics e - più in generale - le economie emergenti hanno fatto pressione affinché la supervisione dei domini, e dunquedellaRete,nonfosseesclusivamenteappannaggio del governo americano. “I tld erano onlinedamoltianniegliutentisieranoabituati”, aggiunge De Martin, convinto che alla base della liberalizzazione prevalga la volontà di Icann “di fare business”. E a confermarlo sono le previsioni quintuplicate sulle entrate nelle casse dell’ente di controllo.
Il nodo costi ha ampiamente scremato il ventaglio di aziende, enti e persone giuridiche disposti a creare un registro autonomo. A livello mondiale ci sono state soltanto 1930 richieste, di cui 884 provenienti da aziende statunitensi. Dalla Cina ne sono arrivate solo 41. In Europa, 70 dalla Germania, 54 dalla Francia, 19 dall’Olanda e appena 16 dall’Italia. “Fiat ne ha avanzatebendiecitracui’.abart’, ’.alfaromeo’, ’.fiat’, ’.lancia’ e ’.maserati’. Quindi ha già speso quasi due milioni di dollari senza la garanzia dell’approvazione da parte di Icann”, osserva Domenico Laforenza, direttore dell’Istituto di Informatica e Telematica del Cnr, al cui interno opera Registro.it  , l’organismo responsabile dell’assegnazione e dellagestionedeidomini’.it  ’.OltreaFiat,“Aruba che ha richiesto ’.cloud’ insieme ad altre sei aziendenelmondo,poiBnl,HotelCipriani,Gucci, Lamborghini e Praxi che intendono personalizzare ancor più in rete il proprio brand”. Ma il costo della richiesta non si ferma ai 185mila dollari a fondo perduto. “Bisogna dimostrare a Icann–prosegueLaforenza–chesièprovvistidi una infrastruttura che riesca a sostenere il funzionamento del registro, dalla tecnologia al personale specializzato”. Costi elevati che alcune societàdecidonocomunquedisostenere.Èilcaso del ’.roma’, richiesto dall’azienda Top Level Domains con sede nelle Virgin Islands a cui, ad esempio, potrebbe essere interessato il Comune di Roma. Eppure tra le imprese affiorano le critiche di chi, al contrario, ritiene inutile la spesa, “perché il motore di ricerca non ha bisogno dell’estensioneperriconoscerel’indirizzoweb” di un’azienda o di un’amministrazione. Inoltre, mancano studi relativi alle proiezione dei ricavi per le società derivanti dall’operazione “Difficile prevedere il potenziale volume d’affari – concludeLaforenza–Però,quandoèstatoregistrato ’.it  ’, non ci aspettavamo di arrivare a oltre 5,4 milioni di siti con questo dominio”. Un boom inaspettato. Che potrebbe replicarsi con la liberalizzazione voluta da Icann dal prossimo aprile.