Malcom Pagani, il Fatto Quotidiano 15/7/2012, 15 luglio 2012
IL FATTO DI IERI
Senza quella lastra in granito nero e quel solenne elenco di festeggiamenti in onore del tredicenne re egizio Tolomeo V, scrupolosamente inciso nella pietra nel 196 a. C. da un consiglio di sacerdoti in tre grafie, geroglifico, demotico e greco, il mondo non avrebbe mai decifrato gli antichi geroglifici egiziani e scoperto l’universo segreto dei Faraoni. Per fortuna dell’umanità e per merito di un ignoto soldatino napoleonico che il 15 luglio 1799, mentre, in piena campagna d’Egitto, scavava fortificazioni a el Rashid, sulla riva sinistra del Delta del Nilo, s’imbatté nella preziosa lapide, subito consegnata al generale della spedizione imperiale e da allora diventata per tutti la mitica “Stele di Rosetta”. Prontamente requisita dagli inglesi, dopo la débâcle francese e spedita al British Museum, dove, nonostante le ire del Cairo, continua a far bella mostra di sé. Illustre preda di guerra divenuta chiave di lettura di un’intera civiltà solo nel 1822, quando Jean François Champollion, straordinario egittologo francese studioso di papiri, tirò fuori da quel basalto freddo, il mistero dei geroglifici. Storia della “Stele di Rosetta”, universale metafora dell’incomprensibile che diventa comprensibile.