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 2012  luglio 15 Domenica calendario

LA POLIGAMIA? NO GRAZIE

Quando aveva dieci anni, Lola Shoneyin vide su un giornale la foto di un noto personaggio locale circondato dalle sue tre mogli: portavano lo stesso nastro nei capelli, gli stessi merletti, lo stesso sorriso. Fantastico, pensò, se lei e le sue amiche si fossero sposate con il medesimo uomo. Sarebbero andate a fare compere tutte assieme, al ristorante sempre insieme, si sarebbero vestite con abiti uguali, come sorelle.
Espose la sua teoria a sua madre, che non reagì con l’atteso entusiasmo: «sembrano felici, in realtà sono tristi e acide». Qualche anno dopo si accorse che i suoi genitori scoraggiavano i fratelli più grandi ad uscire con ragazze provenienti da famiglie poligame (mentre, a differenza di molti altri nigeriani, non avevano nessuna preclusione sull’etnia). Ribellandosi quantomeno all’ingiustizia di vedere giudicate delle donne in base alle scelte dei padri, Lola protestò. Sua madre rispose che i figli cresciuti in famiglie poligame erano spesso educati a essere infidi e ambigui. Lei stessa aveva condiviso il padre con fratellastri nati da cinque mogli.
Un quarto di secolo dopo è proprio alla descrizione dei rapporti che si instaurano in una famiglia poligama – al cui interno vive il 30 per cento delle donne nigeriane – che la poetessa di Ibadan ha dedicato il suo primo romanzo: Prudenti come serpenti (traduzione di Ilaria Tarasconi, 66thand2nd, Roma, pagg.256, euro 16), finalista all’Orange prize. Una commedia umana polifonica dove quattro mogli raccontano in prima persona una faida senza esclusione di colpi. Donne con educazione, cultura, religione e provenienza sociale differente, angeliche agli occhi del marito, ricorrono a ogni tipo di espediente per assicurarsi il favore del facoltoso poligamo e garantire il più possibile a se stesse e alla loro progenie. Una lotta all’ultimo sangue che assorbe energie, sperpera ricchezze, abbrutisce le persone mettendo a repentaglio la vita dei più deboli.
Prudenti come serpenti pare una metafora della Nigeria odierna, resa ricca dal petrolio, ma incapace di fare tesoro di questa ricchezza, devastata com’è da corruzione e lotte fratricide tra culti, culture ed etnie differenti. «Sì, sotto molti aspetti è una metafora del mio paese – afferma la scrittrice 38enne –. Spesso m’interrogo sulla cacofonia che esiste in uno stato dove si parlano più di duecento lingue. C’è un’opprimente sensazione di sfiducia e sospetto. Ci fu una guerra civile 40 anni fa, più di un milione di persone morirono. Molti covano ancora l’amarezza di quell’ingiustizia e in alcune regioni credono di essere destinati a guidare il paese. Anche con l’alfabetizzazione, c’è sempre un abisso tra chi è istruito e chi crede che la sopravvivenza dipenda soprattutto dalla furbizia. Con tutto questo rumore di fondo, coloro che hanno il potere parlano di un’unità nazionale che non esiste, che è impossibile!».
«Ho sofferto troppo nella mia vita per permettere a quella specie di ratto di rovinare tutto. È laureata, e allora? Quando ci ritroveremo dinanzi a Dio nell’ultimo giorno, ci chiederà se siamo andati all’università? No! Ma vorrà sapere se siamo stati prudenti come serpenti, perché è così che la Bibbia ci chiede di essere» sentenzia una delle spietate mogli del poligamo.
Nel romanzo, come nella realtà, soldi, privilegi, istruzione, provenienza etnica, religione, genere dividono i nigeriani. «La corruzione e il petrolio hanno dato a persone immeritevoli accesso a molto denaro. È chiaro a tutti che non è stato guadagnato onestamente, e questo ha cambiato l’attitudine delle persone verso il duro lavoro e i risultati costruttivi. Troppa gente oggi vuole arricchirsi facilmente» spiega la scrittrice che alla domanda se quello religioso sia un conflitto reale o creato ad arte per manipolare la popolazione risponde «La tensione religiosa è stata alimentata sia dai potenti sia dagli estremisti. Per esempio, almeno un terzo della mia famiglia è musulmano. Mio nonno lo era, finché non si è convertito al cristianesimo negli anni 40. Questa è la storia di molti nigeriani del Sud Ovest e del Nord. La differenza di religione solo raramente è stata causa di conflitto nelle famiglie, ancora meno nelle comunità. Ma con la schiacciante povertà e disoccupazione che attanaglia il paese, politici potenti fanno il lavaggio del cervello a giovani uomini e donne e li trasformano in fanatici. Queste persone vulnerabili sono strumenti per destabilizzare il governo e instillare la paura nella gente».
Lola Shoneyin ha sposato il figlio del premio Nobel per la letteratura Wole Soyinka che continua a denunciare, anche su queste pagine (si veda Domenica del 4 marzo 2012), i pericoli del fanatismo religioso, proponendo una sorta di nuovo umanesimo centrato sul riconoscimento della dignità del corpo umano e sul rispetto della scelta individuale. «In quanto persona non religiosa – dice la scrittrice – concordo completamente con mio genero. Come accade con ogni tipo di fanatismo, è solo questione di tempo prima che tali sistemi di credenze violino la libertà degli altri. Nella nuova ondata di fanatismo cristiano, sono spesso asserragliata da gente che sostiene che io abbia bisogno di Gesù per salvarmi. Inoltre, come donna nigeriana, sono particolarmente sensibile all’idea di dare dignità al corpo umano. C’è stato di recente un aumento della violenza sessuale contro le donne. Con le nuove tecnologie queste azioni possono essere viste da milioni di persone su internet. Le donne diventano oggetti. Il seno, la vagina, sono di proprietà di qualcun altro. Se non di Dio del governo, se non del governo del marito. Le donne devono reclamare i loro corpi».
«Sono stata violentata, mamma! Lo sapevi questo? Sono stata violentata quando avevo quindici anni» confessa finalmente una delle protagoniste di Prudenti come serpenti. «Violentata? Non mi sembra il momento di raccontare bugie così turpi. A mia figlia non sarebbe mai potuta succedere una cosa del genere». «Hai ragione, mamma. Sono rovinata, macchiata, distrutta. Sono tutte le cose che hai detto. La mia vita era distrutta e io non sapevo come rimettere insieme i pezzi. Non lo so neanche adesso». «No!. Non puoi essere stata violentata. Una figlia mia non può essere stata violentata. Non è così che vi ho cresciute», risponde incredula la madre.
«Lo stupro – afferma la scrittrice – è molto comune in Nigeria. Ci sono gruppi etnici dove le donne sono sistematicamente violentate prima del matrimonio. Per esempio tra gli Igede dello stato dei Benue. Una volta che la donna è violata è "rovinata", nessuno la vuole ed è obbligata a sposare lo stupratore, che manda doni alla famiglia come dote. Mi preoccupano alcuni aspetti delle nostre tradizioni. Non conosco molte nigeriane che non sono mai state molestate nella loro vita. E le donne hanno difficoltà a raccontare queste vicende, perché rischiano di essere stigmatizzate. Eliminando questi discorsi dalla sfera pubblica, ci precludiamo però la possibilità di cambiare lo stato delle cose».
Spesso, spiega Shoneyin, sono le donne stesse le loro peggiori nemiche: «Le posso garantire che in una discussione su una donna violentata, le prime a dire che "se l’è cercata attraverso il suo modo di vestirsi o di comportarsi", sono proprio le donne. Penso che decenni di oppressione, di competizione sfrenata, oltre a una vena critica e maligna che è andata di pari passo con fanatismo religioso, facciano sì che le donne non sappiano fare sufficientemente gruppo per difendersi l’una con l’altra».