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 2012  luglio 15 Domenica calendario

ALLA «BANCA CDP» 20 MILIARDI DELLA BCE

Prima l’acquisto della Snam e lo scontro con Terna, ora lo scontro con Bernabè sul progetto di cablaggio in fibra ottica nelle grandi città italiane che portate avanti con Metroweb: sembra proprio che le polemiche sull’uso delle risorse pubbliche per finanziare progetti che spetterebbero ai privati vi lascino del tutto indifferenti...
Sfatiamo questo luogo comune una volta per tutte: Cdp non usa risorse pubbliche. Impiega risorse private, i risparmi di 25 milioni di italiani. E deve impiegarli oculatamente, secondo il criterio del prudente "investitore di mercato". Se non lo facessimo, violeremmo la legge, lo statuto, e le regole europee: e Eurostat consoliderebbe il debito della Cassa nel debito pubblico: sarebbe un bel autogoal per il Paese! Come la tedesca KfW e la francese Caisse des Dépôts siamo partecipati dallo Stato (loro al 100%, noi al 70%) ma siamo considerati dall’Europa una market unit privata, con una missione pubblica: sostenere l’economia italiana, contribuire alla infrastrutturazione e alla crescita del Paese.
E il braccio di ferro con Telecom che cosa c’entra con questa mission?
C’entra: l’ammodernamento della rete di telecomunicazioni è un asset fondamentale per la crescita e la competitività. Ci chiediamo se possiamo contribuirvi. Ma non siamo in competizione con nessuno. Anzi, tra CDP, Fondo strategico italiano, F2i, Metroweb e Telecom Italia, è da tempo aperto un dialogo sulla possibilità di farlo insieme.
Il timore di Telecom Italia, che ha già in cantiere un proprio progetto di sviluppo delle reti, è però un altro: che la vostra vera intenzione sia quella di usare Metroweb, società che di fatto controllate attraverso F2i, per sviluppare una rete alternativa in fibra ottica nelle principali città italiane, lasciando fuori dal gioco l’ex monopolista nazionale. Per Telecom, avere lo Stato come concorrente è una pugnalata alle spalle. E non ha tutti i torti...
No, non è così. Noi non siamo lo Stato. E F2i, azionista di maggioranza di Metroweb, è un fondo privato, che investe in progetti infrastrutturali a ritorni di mercato: nel fondo F2i abbiamo meno del 10%, alla pari con quattro grandi banche italiane e straniere, e altri investitori privati. F2i ha acquisito il controllo di Metroweb dopo una competizione con altri fondi infrastrutturali europei (Axa, Antin, Clessidra, 3i). Il Fondo strategico italiano ha poi deciso di coinvestire con F2i, per aiutare a esportare in altre città il modello di Metroweb, sviluppato con successo a Milano.
E questa non è forse concorrenza con i piani di Telecom?
Al momento sono due piani diversi. Metroweb intende realizzare una infrastruttura di rete in fibra ottica fino alle case e agli uffici offerta a tutti gli operatori in condizioni di parità di accesso e di neutralità tra loro. Telecom Italia prevede invece il cablaggio in fibra ottica solo fino agli "armadi", per proseguire (per ora) con la rete in rame usando la tecnologia Vectoring. Gli stessi produttori del Vectoring (Alcatel-Lucent e Huawei) affermano che questa tecnologia presenta nelle aree ad alta densità di traffico due problemi: consente di collegare ad alta velocità solo una piccola frazione dell’utenza e non consente di garantire parità di accesso ai concorrenti di Telecom, nelle forme richieste dalle autorità di regolazione.
Quindi il progetto di Telecom non funziona?
Diciamo che non sembra rappresentare una risposta adeguata alla crescita esponenziale dei volumi di traffico nelle aree ad alta densità, mentre può essere la soluzione ideale altrove. In più, la rete in fibra lungo i marciapiedi costituirà anche la necessaria infrastruttura di backhauling delle reti di telefonia mobile, nelle aree ad alta densità di traffico. Per restare al passo con le economie più avanzate, almeno una parte del Paese deve dunque essere cablato in fibra ottica to the home. Swisscom lo sta facendo per il 40% delle case e degli uffici svizzeri. Metroweb lo prevede per il 20% degli italiani.
Ripeto il punto: per Telecom Italia questa è concorrenza sleale. Senza contare il fatto che in Italia non c’è spazio per due operatori di rete.
Concorrenza sì, sleale no. In un’economia di mercato, l’incumbent non ha il diritto al monopolio. È vero invece che in Italia, salvo limitate eccezioni, non c’è spazio per la realizzazione di infrastrutture di rete in concorrenza fra loro. Ed è questa la ragione per la quale Cdp, Fsi, F2i e Metroweb hanno dichiarato di voler cooperare con Telecom Italia. Un tavolo negoziale è da tempo aperto. Dirò di più: Bernabè in persona mi pregò la scorsa estate di accettare la presidenza del cda di Metroweb, sottolineando che il progetto era visto con favore da Telecom Italia. Lo ripeté in pubblico al convegno di Between di Capri, lo scorso ottobre. Che cosa è cambiato da allora?
Forse che sembrate pronti ad andare avanti anche da soli…
No, abbiamo sempre ripetuto che siamo pronti a tutte le possibili intese. Compresa la costituzione di un’unica società della rete che unisca tutte le forze, le competenze e le risorse. Poniamo solo due condizioni: che sia garantita a tutti gli operatori totale parità di accesso, che si adottino le soluzioni tecnologiche che consentano di non aumentare, ma semmai di ridurre il nostro svantaggio competitivo. Nelle città e nei distretti industriali, la rete di nuova generazione in fibra ottica è una delle condizioni della competitività del Paese.
Le novità annunciate giovedì dalla Kroes non spiazzano il progetto Metroweb?
Al contrario. E per due ragioni: perché annunciano regole più stringenti contro discriminazioni anticompetitive, e perché prevedono tariffe che potranno incentivare gli investimenti sulla fibra ottica.
La Cdp è ormai di fatto il braccio operativo del Governo in tema di politica industriale. Possedete il pacchetto di maggioranza di Eni, siete la controllante della Snam, azionisti di riferimento di F2i, del Fondo strategico e del Fondo italiano di investimento, che a loro volta comprano quote di aziende private in cui vedono prospettive di sviluppo. Eppure, lei continua a ripetere che per tutte queste operazioni non vengono usate risorse pubbliche.
È un fatto: CDP non impiega un euro del contribuente, non usa soldi del Tesoro. Al contrario, presta soldi al Tesoro, contribuendo al finanziamento del debito pubblico (sono 130 miliardi di CCT e BTP in meno da collocare sul mercato). Sui prodotti del risparmio postale c’è la garanzia dello Stato, sui bonds con cui si finanzia la nostra gestione ordinaria no. Ma la garanzia dello Stato è una garanzia di ultima istanza concessa ai risparmiatori postali. E garanzie pubbliche sono previste in parecchi altri casi, per esempio per la raccolta di fondi delle banche italiane tramite specifiche emissioni, o per certi prestiti alle Pmi, o per le garanzie prestate da Sace: ma ciò non trasforma i soggetti garantiti in enti pubblici, e i loro investimenti/finanziamenti in aiuti di Stato. Del resto, KfW e Caisse des Dépôts hanno una garanzia dello Stato addirittura su tutte le loro obbligazioni e sono al 100% pubbliche: ma anch’esse restano fuori dal perimetro delle Pubbliche amministrazioni.
A sentirla parlare, sembra quasi che la Cdp, più che una holding industriale, sia quasi una banca...
Non siamo né una holding industriale, né una banca. Siamo una istituzione finanziaria non bancaria, classificata come tale dalla Bce; e siamo sottoposti alla speciale vigilanza della Banca d’Italia prevista dagli artt. 107 e 108 del testo unico. Abbiamo un core Tier 1 pari a 28. Grazie a una prudente gestione, e mantenendo un’alta liquidità (che serve nel contempo a finanziare il debito pubblico), siamo in grado di trasformare risparmio a breve (come quello postale) in finanziamenti e investimenti a medio-lungo termine: la risorsa, purtroppo, oggi più rara e perciò più preziosa. Penso ai 18 miliardi destinati a prestiti alle Pmi a 3-10 anni (dei primi 8 miliardi hanno profittato oltre 52mila imprese); ai 4 miliardi che il Fondo strategico ha cominciato a utilizzare per apportare capitali di rischio ad aziende sane che ne hanno bisogno per investire e crescere; e ai miliardi che stiamo destinando a sostenere l’export e l’internazionalizzazione delle imprese. Sono le nostre priorità; per ciò abbiamo curato che l’acquisizione di Snam fosse per noi cash neutral: per non indebolire la nostra potenza di fuoco nel sostegno delle imprese.
Finora la Cdp è intervenuta soprattutto sul settore industriale. Il caso Monte dei Paschi di Siena ha però fatto ventilare l’ipotesi che possa intervenire in cordate di rafforzamento patrimoniale delle banche. In fondo converrebbe a tutti: per le banche, sarebbe un intervento certamente meno oneroso della sottoscrizione dei Tremonti Bond; dal punto di vista del mercato, come dimostra il successo del bond della Snam, sarebbe una garanzia in più. E visto che siete un soggetto "quasi privato", non si potrebbe gridare alla nazionalizzazione delle banche. Lei che ne pensa?
Il settore bancario è tra quelli che il Governo ha classificato come "strategici", dunque è nel perimetro del Fondo strategico. Ma restano fermi i limiti generali, stabiliti dalla legge e dallo statuto: FSI non è la GEPI; può intervenire solo in società «che risultino in una stabile situazione di equilibrio finanziario, patrimoniale ed economico e siano caratterizzate da adeguate prospettive di redditività»; e lo fa per sostenerne la crescita e gli investimenti, non per sostituire azionisti in difficoltà. Si tratta di valutazioni rimesse in piena autonomia (e responsabilità) agli amministratori del Fondo.
Sul mercato gira voce che vi siate addirittura finanziati alla Bce utilizzando i famosi prestiti a tre anni con tasso 1% per ben 20 miliardi di euro. È vero?
Non posso né confermare né smentire la cifra. Ma è vero: avevamo l’opportunità di utilizzare la LTRO della Bce e lo abbiamo fatto. La Bce accetta come collaterale i mutui che abbiamo erogato agli enti locali, consapevole che, grazie alla delegazione sul pagamento delle imposte che è prevista per legge, si tratta di un collaterale solidissimo. Sono risorse in più per sostenere l’economia, finanziare le Pmi e le infrastrutture, contribuire al finanziamento del debito pubblico.