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 2012  luglio 16 Lunedì calendario

Non tutti i podi sono uguali, a quello dei tuffi manca una piazza, più spesso due e salirci sopra è complicato, anche solo crederci può diventare estenuante perché ti prepari come gli altri, ti danni e hai solo il 33 per cento delle possibilità di avere una medaglia

Non tutti i podi sono uguali, a quello dei tuffi manca una piazza, più spesso due e salirci sopra è complicato, anche solo crederci può diventare estenuante perché ti prepari come gli altri, ti danni e hai solo il 33 per cento delle possibilità di avere una medaglia. I tuffi sono un affare cinese, dieci ori su dieci agli ultimi Mondiali, sette su otto alle Olimpiadi di Pechino. Dove sono iscritti in due quasi sempre finiscono abbracciati, primo e secondo, secondo, primo. Lo schema si ripete all’infinito indifferente ai nomi che cambiano, ai campioni che si ritirano senza lasciare spazi: vince comunque la scuola asiatica. Bisogna prendere quello che resta e Tania Cagnotto è specializzata, è una delle più brave a sgomitare per salire su quell’unico gradino ancora in ballo. A Londra ci riprova, il trucco le è riuscito spesso però mai ai Giochi. Mondiali di Montreal 2005: bronzo dai 3 metri, dietro Guo Jingjing e Wu Min Xia. Mondiali di Melbourne 2007: bronzo, sempre dal trampolino, dietro Jingjing Guo e Wu Min Xia. Mondiali di Roma 2009, quasi un miracolo, ancora dal trampolino, Cagnotto è sempre terza, Jingjing Guo è sempre prima ma in mezzo si inserisce la canadese Emilie Heymans. Zi He è quarta. Mondiali di Shanghai 2011, il difetto viene subito corretto, dal metro Cagnotto terza dietro Shi Tingmao e Wang Han. Non è frustrante sapere che la classifica è già quasi decisa prima ancora di iniziare? «Ci sono abituata, forse se fosse esistita una fase in cui era diverso ora sarebbe insopportabile, ma io sono nata con le cinesi e fin dalle prime gare internazionali ho capito come era la musica e l’ho preso per un dato di fatto. So che per noi i podi sono diversi, se arrivi dietro di loro è come vincere un oro». Quindi ne ha vinti parecchi? «Già, io almeno la vivo così. È il mio antidoto, invece di avere tre posti io ne ho uno. Se mi piazzo dietro la Cina è come quando uno sprinter arriva dietro Bolt, il primo posto buono dopo quelli che vengono dalla luna». Questa è la sua quarta Olimpiade, è una veterana però stavolta cerca una medaglia. «Ogni edizione è più emozionante e poi non so che succederà ma di certo è la prima volta che c’è uno spiraglio. A Sydney ero una bambina, ad Atene ancora inesperta, a Pechino circolavano troppi mostri sacri e le strade erano chiuse. Ed eccoci qui, quel che è fatto è fatto ormai bisogna solo tuffarsi». In questa stagione si è presa una medaglia in ogni competizione. «Ho iniziato la preparazione prima del solito ed è andato tutto come doveva, 4 podi su 4 in World Series, sempre dietro le cinesi tanto per cambiare, quindi sempre al massimo. Un percorso così dà fiducia». Chiamarsi Cagnotto le è mai pesato? «No, all’inizio mi sono curata poco del passato. Mio nonno si tuffava, mio padre si tuffava, mi pareva naturale e di conseguenza non ho valutato il successo di papà. Per fortuna quando me ne sono accorta avevo iniziato a vincere. All’esordio ero famosa come figlia, credo di aver modificato la prospettiva, mi sono fatta un nome in proprio». Suo padre è anche il suo allenatore, come è cambiato il rapporto fra voi dal 2000, debutto ai Giochi, a oggi? «Allora era un cerbero, doveva controllare le uscite serali. Si discuteva per gli orari e per la libertà, adesso il dibattito è sui tuffi. Mi disciplino da sola, anzi sono diventata più severa di lui con me stessa». E se la medaglia non arriva come reagisce? «Distinguo molto la vita dalla piscina, un podio mi farebbe sentire in cielo però la mia esistenza è altro e non ne risentirebbe in ogni caso. Il mio moroso, i miei amici, i miei genitori per loro non cambia nulla e sono queste le persone che contano». La Tania Cagnotto privata è molto diversa dall’atleta? «Sempre di più, nella vita di tutti i giorni sono meno grintosa e meno sicura però resto testarda anche quando scendo dal trampolino». Gareggia anche in sincro con Francesca Dallapè, ore e ore in coppia. Vi sopportate ancora? «Sì, ci scherziamo sopra. Ogni tanto ci si guarda e una delle due dice: “Dopo Londra non farti più vedere”. In realtà siamo affiatate e come coppia olimpica siamo fresche fresche, mai fatto insieme un sincro ai Giochi quindi ancora reggiamo. Siamo praticamente sorelle». Lei crede molto nell’amicizia tra donne, anche a Londra sarà seguita dalle fedelissime con cui esce dai tempi della scuola. «Sì, una torcida rosa per il tifo. Mi piace l’idea della sorellanza, del darsi una mano, capirsi, condividere. È una micro comunità da cui prendo energia. E a completare il supporto femminile ci sarà anche mia madre». A proposito di donne, aumentano in tutte le squadre, lei che frequenta i Giochi da 12 anni, ha visto cambiare la considerazione per le atlete? «Ora siamo più integrate, giudicate allo stesso livello degli uomini. Mi fa piacere vedere che anche i numeri ci danno la parità e sono molto fiera della portabandiera italiana. Valentina Vezzali è un modello e un esempio». Si dice che chi vince sempre diventa antipatico. Mai sperimentato? «Ci sono le persone invidiose e quelle che sono contente dei successi altrui. Anche tra i colleghi funziona così, ma gli invidiosi non sono la maggioranza a volte si fanno solo sentire di più». Sempre convinta che questa sia l’ultima Olimpiade? «Spero proprio di sì, bisogna avere la forza di lasciar andare all’apice. Non sarà semplice, ma vorrei smettere tra un paio di anni».