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 2012  luglio 16 Lunedì calendario

DAL NOSTRO INVIATO PAOLO TOMASSELLI (CORRIERE)

FOIX — Passano cinque fuggitivi in testa sul Mur de Péguère, inedito al Tour. Il gruppone della maglia gialla Wiggins segue a oltre 15 minuti. Qualche imbecille dalle tendenze criminali ha quindi tutto il tempo per gettare sull’asfalto rugoso dell’ultimo chilometro della salita e poi anche in discesa, decine di chiodi da tappezzeria. Il primo a bucare è il tedesco Andreas Klöden, seguito da un’altra trentina di colleghi, più o meno illustri: Cadel Evans, vincitore uscente e attualmente quarto in classifica, scende dalla bicicletta dopo aver scollinato e resta due minuti in penosa attesa della sua ammiraglia, rimasta attardata per soccorrere George Hincapie, a sua volta appiedato. Evans rimane indietro di un paio di minuti, ma Wiggins e soci si accorgono che qualcosa non va e non contrattaccano: a inizio discesa Brajkovic fora, Kiserlovski scarta di lato per dargli la sua ruota e viene centrato da Leipheimer, cadendo così a terra e rompendosi la spalla. La discesa diventa un calvario.
Buca anche la maglia gialla, che si ferma a cambiare bicicletta. Le auto e le moto al seguito si ritrovano con le gomme tempestate di chiodi in un tratto di strada dove la velocità sfiora i 100 all’ora. A quel punto Wiggins e la sua Sky decidono di aspettare Evans e soci.
Lo scalatore francese Rolland, nono in classifica, fa il furbetto, finge di non capire la situazione e scatta in faccia alla maglia gialla per andare a guadagnare tempo in classifica. In pianura però la situazione si normalizza, Rolland viene ripreso ed Evans con la sua squadra rientra in gruppo. Il Tour ringrazia ufficialmente il team Sky per il suo gesto di fair play, altrimenti sarebbe stato costretto a neutralizzare la tappa, vinta dallo specialista nelle fughe, lo spagnolo Luis Leon Sanchez, al quarto successo in Francia, come sempre dedicato al fratello ciclista, morto in un incidente in allenamento.
Questa volta, lui, Sagan, Gilbert, Izaguirre e Casar, sono andati in fuga anche dalla follia dell’agguato che ha sabotato la Grande Boucle, come negli anni dei pionieri, quando i chiodi in tasca per fermare gli avversari li portavano gli stessi corridori (correva l’anno 1904). Il direttore Prudhomme al mattino si era scagliato contro i tifosi che in salita rischiano, con le loro stupide corse mascherate, di far cadere i ciclisti e alla sera è imbarazzato: «Questo è un gesto volontario, non ci sono dubbi ed è stata già aperta un’inchiesta contro ignoti. Gli imbecilli purtroppo ci sono sempre. Le forature sono state almeno un trentina, ma i chiodi erano molti di più».
In effetti poteva andare molto peggio. Anche se il teatrino di Evans, che aspetta l’ammiraglia, cambia bici due volte, con tanto di scivolata nel fosso del suo capo Ochowiz, è uno spot davvero mortificante per la corsa più importante del mondo: «Quelli che hanno buttato i chiodi sono dei criminali» dice John Lelangue, direttore sportivo dell’australiano in maglia gialla un anno fa a Parigi. Cadel, con il suo tono gentile e un po’ ironico, ha le idee abbastanza chiare sui colpevoli: «Mi era già successa due volte in Spagna una cosa simile — spiega Evans — e per questo non corro più molto spesso da quelle parti. Mi dispiace per gli amici spagnoli che ho, ma ci sono alcune persone che esagerano. Questo mi è già costato una Vuelta e altre corse. Purtroppo il mondo è pieno di gente così. Oddio, pieno non direi, per fortuna... Comunque a 70 all’ora è difficile vedere un chiodo e purtroppo io ho bucato tre volte in momenti cruciali negli ultimi 38 chilometri. Se non fosse stato per i miei compagni avrei dato addio alle possibilità di podio...».
Il fatto che nella fuga ci fossero due spagnoli, tra cui un basco (i cui tifosi arancioni imperversano sempre fra Pirenei e dintorni) è un dettaglio che ognuno può interpretare a suo modo: pensar male a volte è solo un chiodo fisso.
Paolo Tomaselli

DAL NOSTRO INVIATO GIANNI MURA (REPUBBLICA)
FOIX
Vince Luis Leon Sanchez, ma il vero protagonista è uno sconosciuto imbecille che getta chiodi sulla strada della corsa, più precisamente nella parte finale della salita detta Muro di Péguère, che il Tour affronta per la prima volta. Un imbecille, ho scritto, ma potrebbero essere due, o nove. Certamente hanno seminato i chiodi da tappezzeria dopo il passaggio della fuga e prima che arrivasse il gruppo. C’era tutto il tempo, un quarto d’ora. E’ una considerazione ovvia perché nessuno dei fuggitivi ha bucato mentre in gruppo forano almeno trenta corridori (il primo è Kloden) ma anche moto e auto del seguito. Le forature a catena possono avere effetti quasi buffi, o drammatici, o far nascere gesti sportivi come antisportivi. Il Muro di Péguère era in programma nel ’73, in senso inverso, ma i capitani delle squadre, Ocana in testa, ne ottennero la cancellazione. Troppo ripida la discesa, troppo stretta la strada. Il Muro ha un inizio blando, e non impressiona la pendenza media: 7,9% su 9.400 metri di scalata. Però gli ultimi 3.600 metri sono al 12% con punte del 18. E proprio in cima si ferma Evans, con tre chiodi nella gomma posteriore. La sua ammiraglia è ferma più indietro, perché anche Hincapie ha forato. Finalmente Evans vede una maglia rossonera, uno dei suoi. E’ Cummings, che però mette piede a terra perché ha forato anche lui. Poi arriva Burghardt, frenetico cambio di ruota. Altra foratura all’inizio della discesa. Ochowicz, nella frenesia di chi ha già perso tempo e non può perderne altro, nel tentativo di aiutare Evans scivola due volte nel fosso. La classica iella di Evans, si pensa, ma intanto i corridori continuano a forare e la strada diventa uno scenario di totale caos.
Evans ha perso due minuti. Wiggins in un tempo molto breve capisce cosa è successo: «Due o tre corridori possono forare contemporaneamente, venti o trenta no, almeno che non ci sia di mezzo un sabotaggio ». E decide che il gruppo deve rallentare e aspettare chi è stato appiedato. E’ un bel gesto, tutti si adeguano, solo Rolland lo ignora e va giù a
tutta. Dirà che non lo sapeva ma è difficile credergli. «Una pecora nera » così lo definisce Sagan, che però stava davanti. Rolland, 9º a otto minuti, è in classifica e la sua iniziativa può incrinare il bel gesto di Wiggins. Se lo rincorre, Evans non rientrerà più. Se lo lascia andare, avrà più lavoro da sbrigare. Ma le radioline servono a qualcosa, il suo ds dice a Rolland di aspettare il gruppo. Saggia mossa. Non gliel’avesse detto, Rolland avrebbe avuto vita grama.
Ogni corsa ciclistica può essere condizionata dal pubblico, non è la prima volta che lo scrivo e non sarà l’ultima. I chiodi usati hanno un effetto a scoppio ritardato. Chi ci rimette di più e sfiora il dramma è Kiserlovski, che cade in discesa e si rompe la clavicola destra. Parla Wiggins: «E’ stato un gesto stupido e molto pericoloso. Capitasse in uno stadio di calcio, la partita sarebbe sospesa. Noi sappiamo cosa comporta
questo mestiere, un contatto prolungato col pubblico, ore e ore per giorni e giorni. Possiamo solo sperare che la passione in qualcuno non diventi pazzia. Io ho sul braccio la bruciatura provocata da un fumogeno, due giorni fa». E la decisione di frenare il gruppo? «Era l’unica scelta
possibile. Non siamo macchine, il rispetto tra noi è fondamentale».
Adesso si può dire che è andata ancora bene, potevano esserci conseguenze più gravi per la salute dei corridori, ed è abbastanza strano che il sabotaggio sia stato attuato
nell’Ariège, una zona bellissima, non ricca e un po’ dimenticata, che anche grazie al Tour riesce a far parlare di sé, dei suoi castelli, delle sue abbazie romaniche, dei suoi torrenti puliti, delle sue grotte, della sua cucina rustica e buona. Anni fa i chiodi erano in pianura, nella tappa di Valence, e nel 2009 in Alsazia Oscar Freire fu colpito alla coscia dai pallini usciti da un fucile ad aria compressa. Dopo qualche giorno si scoprì che era stato un ragazzo annoiato. Freire lo perdonò, precisando che se l’avesse centrato in un occhio il perdono sarebbe stato più difficile. Ricordo una tappa sospesa per motivi di ordine pubblico, alla Vuelta del ’68 poi vinta da Gimondi. Era la tappa Vitoria-Pamplona, interrotta per una mina al km 63. Gli attentatori baschi avevano avvertito la polizia con largo anticipo, l’ordigno fu fatto brillare col gruppo ancora
lontano.
Adesso si può dire che la tappa era da neutralizzare, ma non era facile in quella bolgia, e quindi oltre al bel gesto nei confronti dei colleghi colpiti, Wiggins ha fatto anche un discreto regalo agli organizzatori, che peraltro hanno sporto denuncia contro ignoti. C’è un massiccio servizio d’ordine, al Tour, ma non si possono controllare tutti gli spettatori. E così il Muro di Péguère, che ha atteso il Tour per 99 anni, rischia di restare marchiato come teatro di un’imboscata non solo stupida e pericolosa, ma anche vile.
Poco spazio al resto della tappa. Fuga di undici, c’è dentro Sagan e quindi l’unico pensiero degli altri dieci è come farlo fuori, in senso buono, perché altrimenti si lotterebbe per il secondo posto. Ma il ragazzone tiene bene, passa terzo in cima al muro dietro Casar e Izaguirre. Li raggiunge in discesa, imitato poi da Luis Leon Sanchez e Gilbert, altro brutto cliente. L. L. Sanchez è un bel corridore, di temperamento, forte sul passo (è campione nazionale a cronometro) e sui percorsi misti. Al Tour aveva già vinto tre tappe e in questa edizione, dolorante a un polso per una caduta al primo giorno, ci aveva già provato invano per due volte. Ieri ce l’ha fatta perché ha scelto bene il tempo: Sagan stava sbocconcellando un panino, ultimo della fila. Sanchez va via a 11 km dal traguardo e vince indicando il cielo: è una dedica al fratello Leon, ciclista dilettante, morto in un incidente di moto. «Io sono stato ingenuo ma lui è stato bravo» commenta Sagan, sempre più primo nella classifica a punti. Oggi tappa per velocisti, ma si parlerà ancora molto, credo, dei chiodi di ieri. Evans ha già cominciato, su Twitter: «Mi era già capitato due volte, in Spagna. E in una occasione ci ho rimesso una Vuelta. È uno dei motivi per cui non corro più là, anche se ci vivono tanti miei amici ».