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 2012  luglio 16 Lunedì calendario

MILANO —

Vale 337 miliardi di euro l’importo di tutti i titoli di Stato in scadenza negli ultimi sei mesi del 2012 e nei primi sei del 2013. In totale, si tratta di quasi un quinto dell’intero debito pubblico italiano. Lo scadenziario, preparato dal ministero dell’Economia, parla di grandi numeri soprattutto nella seconda parte del 2012 più che nei sei mesi a seguire. Da luglio a dicembre di quest’anno, infatti, lo Stato deve rimborsare ben 218 miliardi: oltre l’11% di tutto il debito. Sono soldi che inevitabilmente arriveranno soprattutto da nuove emissioni, quindi dalle prossime aste. Con la speranza che l’ultima recentissima tendenza al ribasso dei tassi prosegua, in modo che il Tesoro possa spuntare condizioni più favorevoli in termini di interessi.
Scadenze e vita media
Ma non ci sono solo i tassi, con il loro sali (spesso) e scendi (qualche volta), nella fotografia del debito pubblico italiano. Dall’anno scorso, quando la crisi ha colpito Bot, Btp e Ctz, il vento è girato anche su un altro fronte del debito tricolore. E’ quello della vita residua media dei titoli di Stato, cresciuta costantemente dai 5,56 anni del 2002 fino ai 7,20 del 2010, per poi ripiegare ai 6,99 anni del 2011 e ai 6,71 anni del 2012 (fino ad ora). Che cosa vuol dire? Al Tesoro, evidentemente, nelle nuove emissioni stanno puntando di più sulle scadenze brevi, perché costano meno sul mercato. Tanto che, come ha comunicato il ministero qualche giorno fa, l’asta dei titoli a medio-lungo termine prevista per il prossimo 14 agosto è stata annullata, mentre «tutte le altre aste si terranno regolarmente».
La disdetta di agosto
Non è una novità — quella di un agosto con qualche asta in meno — ha precisato il Tesoro, parlando nella nota di «analogia con la scelta adottata negli ultimi anni» e «in considerazione del positivo andamento delle entrate fiscali». Resta comunque il fatto che la tendenza di lungo termine — una vita residua del debito sempre più lunga e scadenze quindi sempre più lontane — si è invertita, proprio in concomitanza con quel 2011 che ha a suo modo portato nella finanza pubblica italiana una crisi nata anni prima nella finanza privata anglosassone.
Se si parla di debito, quindi di passività, è giusto però dare un’occhiata anche all’altra parte del bilancio, quella delle attività. A fronte di un debito pubblico calcolato da Banca d’Italia intorno ai 1.948 miliardi, ci sono «asset» che ne valgono 1.798. La stima è riportata dagli analisti di Mediobanca, che suddividono quei circa 1.800 miliardi per categoria, in una sorta di classifica in cui la parte del leone la fanno gli immobili e le infrastrutture.
Il confronto
In ogni caso, la variabile chiave resta naturalmente il tasso d’interesse. Perché tutto non si può vendere, le tasse (evasori a parte) sono già alte e la capacità di rifinanziarsi resta quindi fondamentale. Soprattutto, appunto, in questi sei mesi a venire con i loro 200 e passa miliardi di Bot, Btp, Cct e Ctz in scadenza.
Eppure, a proposito di semplici tassi, questa crisi che in molti chiamano «la più grande dagli anni Trenta» sembra un topolino rispetto a quanto successo poco meno di venti anni fa. I rendimenti medi lordi sul mercato primario dei titoli di Stato italiani (il costo della raccolta del debito pubblico) tra 1992 e 1993 avevano raggiunto il 17,13% — per poi scendere anche sotto il 2% con l’euro in salute — mentre qualche mese fa, al picco delle tensioni, non sono saliti oltre il 6,92% (dati raccolti da Banca Albertini Syz). Certo, una ventina di anni fa la situazione era ben diversa: si poteva stampare moneta, le recessioni non erano «monstre» come oggi, eccetera eccetera. Un’altra grande differenza tra il passato della lira e il presente dell’euro è il «fiscal compact», l’accordo europeo che impone nuovi vincoli al bilancio pubblico.
Fisso o variabile
C’è poi qualcosa, sempre sul fronte del debito, che sta cambiando in questi ultimi mesi. E può fare luce su quello che potrebbe succedere domani. E’ la suddivisione tra titoli pubblici a tasso fisso e a tasso variabile. I primi sono passati dal 35% del totale nel 1993 al 70% dell’anno scorso, con un andamento a volte alternante, a volte sempre positivo come negli ultimi anni. Tranne il 2012, dove la quota del fisso è tornata a scendere a vantaggio dei titoli variabili o indicizzati. Che sono quelli che meglio possono proteggere — chi li compra — dall’inflazione. Lira o euro che sia.
Giovanni Stringa