14 luglio 2012
Due articoli: SICILIA SENZA FONDO – La Regione siciliana sarà costretta, probabilmente, a restituire seicento milioni a Bruxelles
Due articoli: SICILIA SENZA FONDO – La Regione siciliana sarà costretta, probabilmente, a restituire seicento milioni a Bruxelles. Contemporaneamente rischia di vedersi bloccati altri sei miliardi. È questa l’ultima perla prodotta dagli uffici di Palazzo dei Normanni, l’antica reggia di Ruggero d’Altavilla costruita dopo aver cacciato i saraceni dall’isola. L’Unione europea ha riscontrato palesi irregolarità negli appalti finanziati con i suoi soldi. Così ha chiesto di riaverli indietro e se la Regione non sarà in grado di fornire adeguate garanzie può scordarsi altri interventi nel futuro. Per l’economia dell’isola sarebbe il disastro. La Regione, infatti, non ha più soldi da spendere avendo il bilancio interamente impegnato fra sanità e spese per il personale. Le uniche disponibilità rimaste per investimenti sono quelle in arrivo dall’Europa. Ma in fondo questo è solo uno degli esempi della pessima gestione delle risorse pubbliche di cui l’isola è quotidianamente protagonista. Perché la Regione Lombardia spende in cancelleria nove euro per cento abitanti e la Sicilia 102? In fondo una penna è sempre una penna e un foglio di carta solo un foglio di carta. A Palermo come a Milano. Eppure ci può essere una differenza di undici volte come ha accertato la Corte dei Conti. Per non parlare della sanità. C’è lo scandalo, ormai diventato simbolo di tutti gli sprechi siciliani del 118. Ha 3.300 dipendenti. Undici per ogni ambulanza. Complessivamente la cura della salute assorbe nove miliardi di euro. Più della Finlandia che ha più o meno gli stessi abitanti ma un livello di efficienza nemmeno paragonabile. Non a caso all’inizio dell’anno è stato chiuso il reparto di oncologia dell’Ospedale Civico di Palermo. I medici avevano sbagliato le dosi della chemioterapia. L’errore è costato la vita ad una giovane donna madre di una bimba piccola. A ucciderla era stata la cura, non il tumore. E la formazione? Ogni anno la Regione spende da 200 a 300 milioni per tenere in vita un servizio senza alcuna utilità pubblica. Non è mai accaduto che la partecipazione ai corsi finanziati dalla Regione fosse titolo preferenziale per l’accesso al mondo del lavoro. Tanto più che abbondano ancora le aule per sartine o parrucchiere. Il settore della formazione in Sicilia è annualmente oggetto delle appassionate denunce della Procura della Corte dei Conti. Requisitorie regolarmente ignorate. I corsi sono appesantiti da assunzioni senza regole e gestito da amministratori che spesso non contabilizzano l’attività e, nonostante tutto, riescono a ottenere sempre nuovi finanziamenti. Qualche volta la magistratura riesce a presentare il conto degli abusi: un ente di formazione è stato citato per un milione di danni, un altro è stato condannato a restituire 200 mila euro. Ma sono gocce nel mare dello spreco. E poi i rifiuti: un sistema sottoposto a pressioni clientelari e affaristiche di ogni genere. Senza contare, ovviamente le infiltrazioni mafiose. Il caso più clamoroso è quello del Coinres, un consorzio che raggruppa 22 comuni della provincia di Palermo. Anche qui assunzioni irregolari (oltre 200), affidamento di servizi senza gare, gestione disinvolta. Un danno di 3 milioni e 830 mila euro. Indagini aperte anche sul dissesto dell’Amia, società del Comune di Palermo, diventata famosa per aver aperto un ufficio di rappresentanza a Dubai dovendo spiegare all’emiro come spazzare la sabbia del deserto. Ora c’è da sfatare un mito, peraltro molto caro ai siciliani. L’avarizia da parte dello Stato. Se c’è una cosa che a Palermo non sono mai mancati sono i trasferimenti da parte dello Stato e, oggi dell’Unione europea. Che poi l’amministrazione non sia stata capace di spenderli o li abbia buttati via è un altro discorso. Per esempio nell’ isola resta il gettito dell’Iva. Doveva servire a sviluppare l’attività economica. La Regione per incassare più tasse sarebbe stata motivata a incentivare la produzione. In realtà la ricchezza è servita solo ad aumentare la voracità delle clientele e degli sprechi. Senza però poter intervenire. Lo Statuto dell’Autonomia è blindato più ancora della Costituzione. Cambiarlo è quasi impossibile. Nino Sunseri *** A GODRANO SONO TUTTI FORESTALI: 9 LAVORATORI SU 10 PAGATI DAL CORPO – Il paese dei forestali. E non lo si scrive tanto per fare, non è una provocatoria generalizzazione. Lo documenta Panorama da oggi in edicola. Il cronista del settimanale Antonio Rossitto è infatti andato a Godrano, mezz’ora da Palermo. Paesino che conta 1.096 abitanti. Di questi, 190 sono per l’appunto a libro paga del Corpo Forestale siciliano. Il 17 per cento. «Ma togliendo anziani, donne e disoccupati, si può dire che il 90 per cento dei miei concittadini lavora nei boschi» conferma Matteo Cannella, sindaco 42enne al secondo mandato – e naturalmente anch’egli forestale. Così come lo è il vicesindaco, l’assessore ai Lavori Pubblici e quello al Turismo e anche il presidente del Consiglio comunale. Dunque 190 addetti che devono curare una superficie boschiva inferiore ai 2 mila ettari: tanto per fare un paragone, l’intero Molise di forestali ne conta 172, ma a fronte di 320 mila residenti e di 160mila ettari di territorio da tener sotto controllo. D’altronde, di questa faccenda del Corpo Forestale utilizzato nel sud d’Italia – Sicilia e Calabria in particolare – come serbatoio clientelare se ne parla da anni. Ma la situazione rimane invariata: Sortino, 8.900 abitanti in provincia di Siracusa, ne conta 437 per 2.500 ettari di simil foreste, mentre d’altro canto la Lombardia può contare su 260 addetti, solo che lassù gli abitanti sono quasi 10 milioni e gli ettari 660 mila. E ancora, il giornalista di Panorama aggiunge il caso di Pioppo, frazione di Monreale, 2.366 abitanti e 383 forestali: in tutto il Piemonte ce ne sono 404. E il Comune di Marineo, nel Palermitano, con i suoi 301 in servizio addirittura supera il numero di quelli su cui può contare l’intera regione Umbria, che si ferma a 279. Più in generale, l’intero corpo in servizio in Sicilia, fra braccianti e addetti antincendio e guardie e impiegati, arriva a contare 28.542 persone, per un costo annuo di quasi 693 milioni. Di questi, i precari – nel senso dei lavoratori in qualche modo stagionali, con contratti a termine – sono quasi 26 mila. Sei mesi al lavoro per 1.400 euro netti al mesi, in genere da metà a giugno a dicembre. Gli altri sei mesi, invece, a casa in disoccupazione, e paga l’Inps: in questo senso, un forestale precario con moglie e due figli prende intorno ai 1.200 euro. Facendo un calcolo complessivo, la spesa pubblica – come detto – sfiora la demenziale cifra di 700 milioni di euro. F.MAN.