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 2012  luglio 12 Giovedì calendario

Tre anni di galera per una bugia Il codice penale è da stracciare - Ho quasi paura a scriverne. Una paura generica, vaga

Tre anni di galera per una bugia Il codice penale è da stracciare - Ho quasi paura a scriverne. Una paura generica, vaga. Non sarà che poi succeda qualcosa di brut­to anche a me? Ma la notizia bisogna pur darla, accompagna­ta da un rispettoso commenti­no: Renato Farina, indebitamen­te radiato dall’albo dei giornali­sti per una storia di servizi se­greti (da qualcuno in Ita­lia equiparati alla mafia) è stato ieri condannato dal Tribunale di Milano a 2 anni e 8 mesi di reclu­sione, senza condizionale. Furto con scasso, rapina a mano armata,bancarotta fraudo­lenta? Nossignori. Per questi reati, l’onorevole Farina (Pdl) se la sarebbe cavata con una pena inferiore, proba­bilmente. In pratica, egli non ha fatto nulla di male. Nel senso che non ha recato dan­no ad alcuno, non c’è una parte lesa, non c’è una vittima, qualcuno che ab­bia sofferto. Al contrario, Renato (a vol­te furbissimo, altre ingenuo ai limiti della stupidità) ha cercato di agevola­re, sul piano dei buoni sentimenti, una persona, anzi due, in grosse difficoltà psicologiche. La storia è questa. Il letto­re è informato che Lele Mora trovasi in galera da circa un anno perché la sua azienda è saltata per aria, creando bu­chi contabili, debiti eccetera. Roba complicata.L’uomo,come sempre ac­cade in questi casi, ha perso amici e au­tostima; in una parola, vive da cani. D’altronde, in cella come vuoi campa­re? Farina, un cattolicone che ha le ta­sche piene di corone del rosario bene­dette e di immaginette della Madonna, ha deciso nello scorso febbraio di an­darlo a trovare. È fatto così: quando non va in chiesa, va in prigione a conso­lare gli afflitti. Suppongo abbia messo piede in tutti i reclusori nazionali. Nei quali, essendo parlamentare della Re­pubblica, ha libero accesso nell’eserci­zio delle sue funzioni di controllo. Co­sicché, un bel dì si è recato anche a Ope­ra, dove «risiede» il detenuto Mora, ex gestore di una ditta specializzata nel piazzare dive, divette e aspiranti tali in programmi televisivi e affini. Ma inve­ce di recarsi da solo, si è fatto accompa­gnare da un tale di vent’anni, amico, pa­re, di Lele. Lecito o no? Lo ignoro. Ma so che un deputato ha diritto di portar­si appresso un collaboratore. Fisso o av­ventizio? Altro mistero. È un fatto che il ventenne di cui sopra, a posteriori, non è stato giudicato idoneo al ruolo di col­laboratore. Perché? Lo scopriremo quando leggeremo la sentenza. Sia come sia, Farina, per aver detto che l’accompagnatore era un proprio aiutante, è stato denunciato per falso in atto pubblico. E qui comincia la gra­na. La denuncia si trasforma in inchie­sta, quindi in processo, che si è celebra­to ieri mattina con l’esito drammatico riferito: 2 anni e 8 mesi di reclusione. Si­curamente i giudici hanno applicato la legge. Ma se gli effetti prodotti dal codi­ce sono questi, o c’è qualcosa che non va nelcodice o c’è qualcosa che non va in chi lo ha interpretato. Non lo dico perché sono amico di vecchia data del condannato: la realtà è che una pena si­mile per un reato (reatino) come quel­lo attribuito a Farina grida vendetta al cospetto di Dio, nel quale Renato si osti­na ad avere fede. Mah! Affari suoi. Affari di tutti invece che una vicenda tanto marginale si sia conclusa con un castigo degno di un criminale incallito, non di un omone placido reo di aver condotto con sé un ragazzo al colloquio - legittimo - con un poveraccio dietro le sbarre da tem­po, benché non sia ancora stato proces­sato. Siamo di fronte- da un punto di vi­sta almeno umano- a una pena incon­grua per eccesso, emessa con una rapi­dità insolita per la giustizia di casa no­stra: cinque mesi soltanto sono trascor­si dal reato al giudizio di primo grado. Un record in un Paese nel quale domi­na la prescrizione per decadenza ter­mini. Come mai per Farina il Tribunale ha acceso il turbo? La domanda merite­rebbe una risposta che, però, non avre­mo. Pertanto, rimarremo con il dubbio che per lui sia stata percorsa una corsia preferenziale di cui non sospettavamo l’esistenza. Motivo? Non ne ho idea. O meglio, ne avrei una ma non oso mani­festarla per codardia, per piaggeria nei confronti della magistratura di cui ho terrore. Mi auguro che le toghe dell’appello siano più miti e valutino con maggiore clemenza sia il reato (se di reato si trat­ta) sia la personalità di chi lo ha com­messo.