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 2012  luglio 14 Sabato calendario

PAROLA

d’ordine: sviluppo. Ma, a giudicare dal Decreto Sviluppo, quando si parla di sviluppo economico in Italia si passa nel campo della mitologia.
Il mito dei soldi pubblici.
Non c’è sviluppo? Lo Stato lo promuove per decreto. Più soldi spende, più sviluppo ottiene. Così, la prima cosa che il governo annuncia è sempre la cifra: deve essere elevata, almeno decine di miliardi, per colpire l’opinione pubblica. A prescindere da come la cifra è calcolata (a volte sembra il gioco delle tre tavolette), è ovvio che, se lo Stato aumenta la spesa di 100, il Pil sale più o meno di 100. Ma lo sviluppo è altro: è la capacità dei cittadini di produrre sempre più beni e servizi, grazie all’aumento della produttività, al miglioramento dell’organizzazione del lavoro e dell’efficienza, e all’aumento della dotazione di capitale. E questo ha poco a
che fare con la spesa pubblica. Citando Alesina e Giavazzi, alla causa dello sviluppo giova di più spendere miliardi per una corsia autostradale che fa risparmiare una ventina di minuti a qualche automobilista, o ridurre di diversi anni la durata delle cause civili? Evidentemente, la seconda. Non costerebbe un euro, e garantirebbe tanta efficienza in più. Ma bisognerebbe riformare procedure e codici, superando le lobby di avvocati, commercialisti e magistrati. E niente titoloni.
Il mito dell’incentivo.
Sgravi, sussidi, incentivi e detrazioni varie sono il piatto forte di ogni Decreto Sviluppo. Eppure, servono solo a redistribuire il reddito a favore di chi ne beneficia. L’incentivo raramente induce a consumare, risparmiare o investire di più, ma prevalentemente premia chi questa decisione l’ha già presa. La gran parte dei risparmi fiscali concessi a chi fa una ristrutturazione edilizia va a chi aveva già deciso di farla, o l’avrebbe fatta comunque. Al massimo, la decisione di spesa viene solo anticipata, come nel caso delle rottamazioni; che non hanno mai aumentato il totale della spesa nel tempo (vedi l’auto). L’esperienza estera dovrebbe insegnare:
ben 25 anni fa, Reagan varò un vasto piano di incentivi fiscali per aumentare la propensione risparmio degli americani. Si dimostrò successivamente che gli incentivi finivano in tasca di chi già risparmiava; gli altri non potevano permettersi di risparmiare e continuavano a non farlo, con o senza incentivo. Per lo sviluppo bisognerebbe fare il contrario: eliminare tutti i sussidi e gli incentivi alla produzione, e usare i risparmi per abbattere le imposte su capitale e lavoro (Irap). A proposito: che fine ha fatto il Rapporto Giavazzi?
Il mito dell’infrastruttura.
È il monumento al Buon Governo dello Sviluppo. E implica tanti soldi pubblici. Opportunamente, il Governatore Visco ci rammenta che il nostro problema non è la spesa complessiva per le infrastrutture, ma i loro costi e tempi di realizzazione eccessivi. (Pietosamente ha sorvolato su tangenti
e consorterie). Ma di iniziative per rendere trasparenti e concorrenziali appalti e procedure, e combattere la corruzione, neanche l’ombra. E poi, perché il principale beneficiario degli interventi per lo sviluppo deve essere il settore delle costruzioni? La Spagna ha basato la sua economia su costruzioni e infrastrutture. Dovrebbe essere il paese a più alta crescita in Europa: sappiamo come è andata a finire.
Il mito dello Stato imprenditore.
Politica industriale! Lo Stato favorisce la crescita facendo gli investimenti che i privati non sanno o non hanno i capitali per fare. Funziona nelle prime fasi di sviluppo, e/o quando un paese non è aperto al mercato internazionale dei capitali, come nell’Italia del boom, o in Asia negli anni ’80. Ma non oggi in Europa. Soprattutto se si riduce alla gestione del controllo pubblico delle attività. Crea sviluppo trasferire Sace e Fintecna dallo Stato alla Cassa DDPP? O che la Cassa acquisisca il controllo di Snam dalla sua controllata Eni ?
Il nome stesso, Decreto Sviluppo, è parte del mito: che la crescita si possa fare per Decreto. Fosse così, saremmo
tutti sempre più ricchi.