Gaia Piccardi, Corriere della Sera 12/07/2012, 12 luglio 2012
«AMORE E’ NON PARLARE DI TENNIS»
La sventurata rispose dopo un virgin daiquiri alla fragola di troppo. Mettetevi nei suoi panni, signore all’ascolto, però. Siete Maria Sharapova, la tennista. Avete vinto Wimbledon, nel 2004, a 17 anni e tre mesi, apparecchiandovi un futuro da atleta più pagata nella storia dello sport al femminile (numero 15 nell’ultima top-50 di Forbes: per otto anni di contratto, rinnovato nel 2010, Nike le verserà 70 milioni di dollari fino al 2018).
Siete Maria Sharapova, dunque, alla festa del vostro diciottesimo compleanno. È il 19 aprile 2005. Nel locale si manifesta, come un tatuatissimo Houdini, il cantante dei Maroon 5, Adam Levine, irresistibile pop star all’apice del successo. Va a finire come era scritto che andasse a finire.
In orizzontale. Ed è chiaro che oggi, a sei anni dall’intervista che le è rimasta appiccicata addosso come un marchio d’infamia («Fare sesso con la Sharapova è stata una delusione totale: peggio che scoprire che Babbo Natale non esiste!» disse quel gentleman made in Usa al magazine russo Exile) e a quattro mesi dal matrimonio programmato il 10 novembre con Sasha Vujacic, ex stella dei Los Angeles Lakers in Nba ora in Turchia all’Anadolu Efes di Istanbul, il bacio ad Adam Levine (e tutto il resto) è il rovescio che Maria mai avrebbe voluto che le partisse dalla racchetta.
L’intervista fu smentita. Più per dovere di decenza che per convinzione. E Maria Yuryevna Sharapova, che vista da vicino è una straordinaria bellezza siberiana (è nata a Nyagan per sfuggire alla nube di Chernobyl che nell’86 investì Gomel, dove i genitori, Yuri e Elena, vivevano) legnosa come una matrioska, di quell’episodio, è comprensibile, non parla volentieri. S’illumina, invece, quando racconta l’istante folgorante che ogni donna innamorata coltiva dentro di sé come una reliquia: il momento in cui, dopo qualche relazione effimera come quei servizi che sembrano destinati all’ace e invece finiscono fuori (il collega americano Andy Roddick e Charlie Ebersol, figlio del presidente del network Nbc Sport), ha deciso che Sasha Vujacic era l’uomo della sua vita. «È stata una sensazione netta, inequivocabile. È stato il giorno in cui, con Sasha, mi sono sentita al sicuro».
Un’esistenza da globetrotter, inseguendo titoli Slam (quattro, finora: l’ultimo, a giugno, a Parigi) e il trono di numero uno (è ridiventata regina dopo il Roland Garros ma a Wimbledon ha perso il primato), non poteva che trovare capolinea tra le braccia di un simile: alto (Maria è 1.88, Sasha 2.01), comprensivo («Sasha è un atleta, capisce le mie esigenze, non mi chiede mai di parlare di sport e, soprattutto, non si arrabbia quando faccio un pisolino il pomeriggio!»), totalmente allineato alle esigenze del tennis jet-set che la Sharapova ha esportato sui courts: game, set, match and glamour. «Ci frequentavamo da un po’, come amici, quando mi sono accorta che con lui non dovevo truccarmi, vestirmi sexy, atteggiarmi a quella che non sono. Non ne sentivo l’esigenza. Lì la nostra relazione ha fatto il salto di qualità. Non c’è niente di più bello che poter essere se stesse con il proprio boyfriend».
Nel novembre 2009, l’annus horribilis in cui Maria lottava per tornare al top dopo un’operazione alla spalla che le aveva fatto temere il ritiro, sono stati visti per la prima volta, insieme, a un concerto degli U2 a Los Angeles. Nell’ottobre 2010, Sasha ha regalato a Maria l’anello di fidanzamento da 250 mila dollari, mettendosi in ginocchio nella casa di Manhattan Beach, in California. Il matrimonio è fissato per il 10 novembre, a Istanbul, dove Vujacic gioca a basket e la Sharapova vivrà part time. Un superbambino è atteso a breve, a giudicare dall’entusiasmo con cui Maria parla del progetto: «Oggi desidero essere la tennista migliore del mondo, ma a breve cercherò di essere una brava moglie, e poi una brava mamma». Sorride, finalmente più morbida e femminile: «Magari la prossima volta che ci vedremo starò allattando mio figlio...».
Piccole donne crescono, maturano, si evolvono. E smaltiscono nella raccolta differenziata la collezione di cd dei Maroon 5.
Gaia Piccardi