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 2012  luglio 12 Giovedì calendario

L’ORMA SUL SANGUE NEL SALOTTO DELLA STRAGE

Sangue, tutto quel sangue, dappertutto. Fu un massacro che sapeva di dopoguerra, dei tempi di Rina Fort a Milano, quando sangue e demoni stavano nella vita quotidiana. Si era già nel ’75, eppure un demone s’aggirò di certo anche quella notte del 29 ottobre a Napoli, spargendo morte nel tranquillo palazzo borghese di via Caravaggio 78. Un demone o più demoni, ché non si capì mai se l’assassino agì da solo o fu aiutato a scannare i Santangelo, la famiglia del quarto piano: Mimmo, ex capitano di lungo corso dai molti traffici («cinquant’anni di vita oscura», ne scrissero i giudici); la sua seconda moglie Gemma, sposata dopo la strana morte della prima; la figlia diciannovenne di lui, Angela; e perfino il cane Dick, soffocato e buttato nella vasca da bagno coi padroni, in quella pila di cadaveri che quasi parve un rituale.
Molto tempo è passato, e l’ombra protegge ancora il mostro - o i mostri - di via Caravaggio. Eppure oggi c’è chi pensa di riaprire il caso, clamorosamente. «So da fonti certe che qualcuno alla Scientifica ci sta lavorando», si sbilancia la criminologa Imma Giuliani, che con un pool di specialisti s’è impegnata a riaccendere le luci su questo giallo: «Furono trovate due impronte su una bottiglia di whisky, una parziale e una buona. Poi c’è il bicchiere da cui l’assassino bevve. Con il Dna e i mezzi di indagine di adesso le possibilità ci sono tutte».
L’assassino bevve dal bicchiere, sì, l’assassino stava nel salotto di casa Santangelo. Dobbiamo ripartire da qui, da questa immagine assurdamente familiare, per raccontare la storia di quella strage. Mimmo e Gemma sono a tavola - frittata di maccheroni, tonno - stanno cenando. Angela no, non cena, ha l’influenza: è sul lettone nella loro stanza, sta scrivendo a Nicola, il fidanzato che presto potrebbe sposare. In quella famiglia dall’apparente normalità c’è tensione nascosta. Mimmo non si capisce di cosa campi, chiede prestiti alla figlia che già lavora, è stato infine scagionato da ogni sospetto dopo aver ucciso per un fatale errore la prima moglie con un’iniezione d’antibiotico cui lei era allergica; Gemma, l’ostetrica incontrata e sposata subito dopo, ha paura «di finire male», in casa passa gente strana; Angela svela una premonizione: «Morirò scannata», mormora a un amico, giorni prima. E accenna a un fantomatico «ingegnere» che perseguiterebbe lei e i suoi.
Ecco, alla porta di quella casa dove nulla è come appare, adesso qualcuno bussa. Mimmo va ad aprire. Conosce l’ospite, perché lo fa entrare subito, vanno in salotto, gli offre da bere, quello s’accende anche una sigaretta. Parlano. Di cosa? Soldi? Un ricatto? Il vecchio capitano di marina conosce un segreto che potrebbe valergli una svolta nella vita? Nella conversazione scatta una molla, ora l’ospite si trasforma in belva, afferra un oggetto pesante (si disse una statuetta) colpisce Mimmo alla testa. Poi va nelle altre stanze a completare l’opera. Sgozza le vittime dopo averle tramortite, le trascina in bagno. Solo Angela viene lasciata sul letto, avvolta nel piumone: l’agenda, su cui annotava tutto, svanisce. Sono ore lunghe, il mostro è al lavoro nella casa, quasi a lasciare tracce di proposito, le scie di sangue in corridoio, le impronte delle sue mani insanguinate sul davanzale, un’orma numero 42 nel sangue rappreso in salotto.
Al piano di sotto Caterina Simonetti sente trambusto: «Stanno facendo un trasloco a quest’ora?», si chiede. Le pare di udire un’eco di rumori, come due persone in parti diverse dell’appartamento. Lo racconterà anche al processo. Il delitto viene scoperto nove giorni dopo, quando i parenti si preoccupano e la polizia entra in quella che ormai è una tomba, dove l’assassino ha staccato i contatori. Presto, tutto pare risolto: incastrano un nipote di Gemma, che fa la vita da dandy e spende molto; forse voleva soldi dalla zia, dicono. Lo arrestano, un teste giura d’averlo visto quella notte sfrecciare sulla Fulvia di Mimmo. Gli danno l’ergastolo. Suo fratello, avvocato, lo difenderà con rabbia e passione, facendolo scagionare. No, niente nomi. Oggi i due fratelli sono anziani, chiedono oblio, un diritto per chi ha sofferto ingiustamente. Restano nell’aria ipotesi di mostro. L’ «ingegnere», strano malavitoso cui i Santangelo affittarono una casa e chissà quali traffici faceva. Il «dottore», un medico che s’era incapricciato di Angela, le aveva presentato Nicola e usciva in barca coi fidanzatini. Frammenti di verità. Un errore basta, se il Dna svelerà qualcosa servirà cautela. Tino Simonetti, il figlio di Caterina, aveva undici anni al tempo del delitto: «Nei mesi successivi il palazzo si svuotò. Io e mia sorella passavamo i pomeriggi in cui i nostri genitori erano al lavoro, sulle scale, a guardarci le spalle, con due coltelli in mano. Stare in casa ci spaventava. Ho continuato a guardarmi le spalle per tanto tempo». Dopo 37 anni i fantasmi non hanno ancora lasciato via Caravaggio.
Goffredo Buccini