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 2012  luglio 12 Giovedì calendario

STORIA (E NOSTALGIA) DELLE PREFERENZE TRA ACCUSE DI BROGLI E RIABILITAZIONI —

Nell’ottobre del 2005 ci provò Teodoro Buontempo, ma il tentativo di reintrodurre le preferenze fallì miseramente. «Sono assolutamente isolato nel partito...», commentò l’onorevole ex missino scorrendo i tabulati che avevano fatto carta straccia del suo ardito emendamento: 487 no, 70 sì e quattro astenuti. Da allora è cambiato tutto. Nell’opinione pubblica ha cominciato a farsi largo l’idea che a innescare la degenerazione della «casta» siano state le liste bloccate del Porcellum e ora i partiti sono costretti a fare i conti con il tabù infranto delle preferenze.
Gli ex An ci hanno ripensato. Il Pd invece resiste, arroccato dietro l’anatema di Bersani sull’Italia che rischia di posizionarsi «tra Tangentopoli e la Grecia». La convinzione al vertice del partito è che tornare indietro faccia lievitare scandalosamente i costi della politica e favorisca il malaffare, ma anche tra i democratici, forse per rompere l’accerchiamento, comincia a formarsi un partito delle preferenze. Beppe Fioroni è tentato, Enrico Letta non è pregiudizialmente contrario, Marco Follini suggerisce «sommessamente» a Bersani di non fare le barricate: «So bene che le preferenze non sono l’ultimo grido, ma ritengo siano una freccia in più all’arco dei cittadini». Luciano Violante pensa che «non esistono punti di vista non negoziabili», ma intanto riafferma la «netta contrarietà» del Pd. Mentre Pierluigi Castagnetti si è convinto che gli elettori non capiscano le resistenze di Bersani: «Non è più serio dire "le preferenze non ci piacciono ma noi siamo pronti a confrontarci"?». L’odore di naftalina c’è, come ha detto Renato Schifani le preferenze sanno «di prima Repubblica». In Parlamento sono tornati a riecheggiare epici duelli, sfide fratricide che hanno fatto la storia della Democrazia cristiana: Aldo Moro contro il doroteo Vito Lattanzio, Franco Marini contro Vittorio Sbardella, Remo Gaspari e Lorenzo Natali protagonisti di memorabili «derby» Pescara-L’Aquila...
Se nel Pci l’elettore andava in sezione e riceveva un foglietto con i nomi da barrare sulla scheda, nella Dc scorreva il sangue. Molto si è scritto di Achille Lauro, che a Napoli soleva regalare la scarpa destra prima del voto e la sinistra «a cose fatte». Meno nota è forse la storia del fanfaniano Bernardo d’Arezzo, che il venerdì prima del voto spediva un ambiguo telegramma ai concittadini che gli avevano chiesto favori: «Carissimo, sono lieto comunicarti avvenuto mio interessamento tua pratica...». Clemente Mastella, eurodeputato del Pdl, ricorda con nostalgia le sue prime Politiche, quando approdò alla Camera sull’onda di 64 mila voti, in cordata con tre campioni delle preferenze: «Era il 1976 e invitammo i cittadini di Benevento a votare l’anno, perché Ciriaco De Mita era il numero uno della lista, io ero il nono, Gerardo Bianco il settimo e Giuseppe Gargani il sesto». Accordi, trucchetti, investimenti milionari, compravendite e anche brogli erano la norma, come conferma una esilarante aneddotica. Riccardo Misasi (Dc), capolista, voleva far eleggere Pietro Buffone ed ecco che la propaganda gridava urbi et orbi: «Vota 1 e 6 Buffone!». Anno dopo anno, la corsa all’ultimo voto è andata degenerando. Ogni tetto di spesa è stato sforato, ogni possibile muro tappezzato di manifesti illegali.
Dopo il referendum del 1991, che abolì le preferenze multiple, scoppiò violenta la polemica sull’uso del normografo, il righello che al Sud veniva carinamente distribuito per facilitare la scrittura dei nomi. «Un tentativo indegno di plagiare gli analfabeti», tuonò il Patto referendario di Segni alla vigilia delle Politiche del ’92. In quell’anno il più votato su scala nazionale fu Umberto Bossi, con oltre 240 mila preferenze e nel Lazio sbancò Achille Occhetto con centomila. Le circoscrizioni delle Europee, poi, hanno consentito bottini record. Emilio Colombo nel 1979 tornò alla vita politica grazie a 860.147 preferenze, Lilli Gruber nel 2004 stracciò Berlusconi con 1.117.990 e chissà se è vero che Massimo D’Alema, il quale allora ne conteggiò 832 mila, ha avviato un ragionamento sul ritorno al passato. Il senatore e costituzionalista Stefano Ceccanti spera che non sia vero: «Le preferenze? Sono il male assoluto...».
Monica Guerzoni