Massimo Calandri, la Repubblica 12/7/2012, 12 luglio 2012
IERI BLACK BLOC A GENOVA OGGI PADRI DI FAMIGLIA “LE NOSTRE VITE IN BILICO”
Alberto Funaro non lo ha detto a nessuno, del processo di domani. Fa l’infermiere in un ospedale romano. «Se mi assolvono, magari alla direzione sanitaria non vengono a saperlo. Ritorno al mio lavoro, alla mia vita normale. Quella di sempre ». Però la voce è incerta. Perché altrimenti sono dieci anni di reclusione. In galera, subito. Come Carlo Arculeo, che a Palermo gestisce un agriturismo in una riserva naturale, e dicono sia pure un bravo musicista. Lui sente che domani andrà a finire male. «Pagheremo per tutti. Ma almeno basta con questo tormento: sono undici anni che vivo con la paura di vedere la mia vita distrutta. Finiamola ». Se la Cassazione conferma l’appello, lo aspettano otto anni di prigione. Qualche tempo dopo i fatti di Genova, Ines Morasca e Dario Ursino hanno avuto una bimba: nel frattempo la mamma era stata condannata a sei anni e sei mesi, il papà a sette. Abitano a Messina, lui fa l’educatore, vivono per quella piccola. Che potrebbe essere affidata alla nonna. Anche Vincenzo Vecchi, muratore milanese, ha avuto una bimba: «Mi onoro di aver partecipato da uomo libero ad una giornata di contestazione contro un’economia capitalista», aveva dichiarato al termine del primo processo. In secondo grado aveva preso 13 anni e 3 mesi, ora rischia di poter riabbracciare la figlia non prima del 2017.
Manca un solo giorno alla chiusura dell’ultimo dei maxiprocessi del G8, quello nei confronti dei presunti black bloc che devastarono e saccheggiarono
la città. Un giorno e dieci imputati. Dieci vite in bilico. Perché se le precedenti condanne saranno confermate dalla sentenza, allora per gli imputati - puniti in appello con pene tra i sei e mezzo e i quindici anni: roba da omicidi, ma in questa storia non c’è nemmeno un referto medico, solo danni alle cose - si apriranno le porte della prigione. E tranne un paio di loro, un tempo legati a gruppi antagonisti, gli altri non ci sono mai stati, in prigione. Dopo quei giorni del luglio 2001 erano tornati alle loro case, alle loro vite “normali”. Erano quasi tutti
ragazzi, sono diventati adulti. Hanno lavorato, si sono laureati, hanno messo su famiglia. Nel frattempo la giustizia ha fatto il suo corso, e ora è arrivato il conto. Anche per Antonino Valguarnera, che aveva vent’anni. E ha una storia esemplare da raccontare. «Ero arrivato a Genova da Palermo. Mai fatto politica o frequentato centri sociali. Ma credevo di poter fare anche io qualcosa per cambiare in meglio questa società», ricorda. «Il primo giorno del G8, quello della marcia antirazzista, è stato uno dei più belli della mia vita. Un arcobaleno di gente,
gridare insieme che un altro mondo era possibile». Poi quel venerdì degli scontri di piazza, la morte di Carlo Giuliani. «Mi sono ritrovato con Arculeo. Abbiamo rubato una Vespa per scappare ad una carica della polizia». L’inizio della fine. «All’inizio sembrava un gioco. Seguivamo il corteo, gli scontri. Era come girare a Mondello, e guardare le ragazze. Un’avventura. Poi il fermo, e Bolzaneto». Quel furto, la contiguità alla guerriglia, gli sono costati otto anni. «Tornato a Palermo sono partito per il militare ». Volontario in Bosnia. «Ero caposquadra, ho ricevuto un encomio e pranzato con l’ex presidente Ciampi». Nel frattempo era stato identificato da foto e filmati: un black bloc, secondo i pm. «Mi hanno rinviato a giudizio. Ma non mi sono buttato giù: ho fatto il barista, mi sono pagato gli studi e l’avvocato. Sono rimasto in famiglia». Una vita normale. «La laurea in scienze politiche. Ho fatto il direttore di produzione, poi pubblicità e comunicazione». Da cinque anni presiede un’associazione culturale studentesca che ha organizzato in città più di cento mostre. Alle amministrative si è candidato per il Pd. «La mia fidanzata, architetto, fa il vigile urbano al paese». Fino ad oggi. Domani, chissà. «Il motivo per cui sono andato a Genova era giusto, ma forse dovevo scappare dopo il primo giorno. Qualcuno ha voluto distruggere quel sogno, e noi ci siamo finiti dentro». Otto anni di galera. «Mi costituirò. Perché questo è il sistema dove ho scelto di vivere. Ma spero di svegliarmi, e scoprire che era solo un incubo».